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La lezione dei maestri.

Introduzione

 ARTICOLO SCIENTIFICO

  • Data ricezione: 04/11/2025
  • Data accettazione: 12/11/2025
  • Data pubblicazione: 01/12/2025

Abstract

Il breve articolo sviluppa un’introduzione tematica ai testi presentati per il seminario “Tre grandi filosofi dell'Università degli Studi di Firenze”, 18 ottobre 2024, Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, eventi per la Celebrazione del Centenario UNIFI – Sezione di Filosofia.

 

This short article develops a thematic introduction to the texts presented for the seminar "Three Great Philosophers of the University of Florence", October 18, 2024, Department of Literature and Philosophy of the University of Florence, events for the Celebration of the UNIFI Centenary – Philosophy Section.


Parole chiave
Keywords

Ogni celebrazione dei maestri – riconosciuti, in certo modo, già nel novero dei “classici” – è rischiosa. Per attenersi alla disamina dorfliana ne Le oscillazioni del gusto, questo rischio può declinarsi secondo due direzioni principali: da una parte, lo sguardo retrospettivo sui grandi di ieri può indurre alla cristallizzazione feticistica del passato (che rende ciechi alla contemporaneità, per cui quel che c’è stato prima è, tout-court, sempre meglio di quel che c’è oggi); dall’altra parte, può risolversi in pseudo-celebrazione, cioè in ripresa che in realtà è imbarazzato congedo, perché il passato, sentito come troppo difficile, viene infine dismesso a favore di un assai più comodo presente.

Lo avevano capito bene quei filosofi e poeti tedeschi che, tra fine Settecento e inizio Ottocento, mutuarono un termine tecnico dell’embriologia blumenbachiana, il Bildungstrieb (l’impulso formativo), anche per mettere a tema la difficoltà di mantenere viva la propria vis creativa sotto il peso di classici e maestri. L’impulso formativo, infatti, è come una piantina fragile, che rischia di spezzarsi se troppo intensamente esposta al carico dei maestri antichi, sentiti, a un tempo, come tradizione irrinunciabile epotenzialmente mortifera.  Lo aveva intuito assai bene, ad esempio, il poeta e filosofo Friedrich Hölderlin, che indagò l’impulso formativo artistico nel quadro di una complessa filosofia della storia e della cultura mirante a problematizzare dialetticamente il nesso tra presente e passato. Con riferimento alla propria singolare vicenda esistenziale e poetica, a Hölderlin occorsero grandi sforzi per guadagnare una distanza di sicurezza dal “maestro” Schiller, tanto ammirato e tanto pervasivo nella sua creatività da rischiare di disseccare il Bildungstrieb del più giovane amico. Mutuando le parole di Harold Bloom, si potrebbe parlare, in relazione al rapporto tra Hölderlin e Schiller, di una vera e propria “angoscia dell’influenza”.

Appena un paio di decenni dopo Hölderlin è Leopardi, forse persino più disincantato del tedesco, a riportare al centro la questione, chiedendosi retoricamente – alla luce dei celebri inviti di Madame de Staël a svecchiare la letteratura italiana con il portato dei nuovi modelli stranieri – se non sia meglio non celebrarli affatto, i classici, anzi se possibile neppure leggerli più, anzi non leggere nulla: “Ma farà dunque mestieri non legger più; e dei veri Poeti quello sarà più grande che avrà letto meno?” (così nella Lettera ai sigg. compilatori della Biblioteca italiana in risposta a quella di Mad. la Baronessa di Staël Holstein, speranzosamente ma vanamente inviata da Leopardi ai redattori della rivista “Biblioteca italiana” in data 18 luglio 1816). La risposta, ovviamente, è no; resta tuttavia, anche in Leopardi, il vivo senso della complessità del rapporto tra creatività, eredità del passato e libertà.

Il punto circa il significato e il ruolo della celebrazione dei maestri-classici è, mi pare, tanto più urgente quando si tratti di maestri di filosofia, intesa come esercizio libero del pensiero critico; libero, ovviamente, ma non solitario né senza radici. Buon maestro di filosofia (e perciò, a volte, anche un classico: ma resta qui non discussa l’opzione per cui un classico può esser stato un pessimo maestro per i suoi allievi “in carne e ossa” e assumere, solo con il beneficio della distanza, l’etichetta di maestro tra i posteri; o viceversa, un ottimo maestro può ovviamente non rientrare mai, come accade, nel novero dei classici riconosciuti) è colui o colei che sappia da un lato farsi segnavia per l’allievo, mostrandogli la strada mentre gli cammina a fianco, e dall’altro, eccellere nell’arte di tramontare, una e molte volte, per salvaguardarne il libero Bildungstrieb.

I testi raccolti in questa sezione del presente numero di “DILEF”, dedicati a tre maestri (e, insieme, classici del pensiero) del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, ci presentano Giulio Preti, Cesare Luporini, Ettore Casari come snodi cruciali della filosofia novecentesca, iniziatori di vivaci e fecondi circoli di allievi, abili esercitatori dell’arte di pensare, di insegnare il pensiero, di lasciar pensare altri. Il merito di questi tre efficaci ritratti di maestri va, oltre che ovviamente ai soggetti, anche agli autori dei tre testi: Roberto Gronda per Giulio Preti, Fiorenza Toccafondi per Cesare Luporini, Maria Luisa Dalla Chiara per Ettore Casari, che sono in grado di mantenersi in equilibrio, nei loro tre scritti, sullo stretto crinale che separa la celebrazione di circostanza, da un lato, dall’attualizzazione a tutti i costi, dall’altro. In alcuni casi (quello, ad esempio, di Dalla Chiara) la celebrazione del pensiero si arricchisce del riferimento diretto e di prima mano alla relazione tra maestro e allievi, dunque a una pratica dell’apprendere e dell’insegnare che si è nutrita di consuetudine, incontro ripetuto e duraturo, condivisione; in tutti i testi proposti emerge la vitalità sempre rinnovata di un magistero filosofico che, dispiegandosi, è stato in grado di fare spazio e di disporre inneschi per la sua continuazione, approfondimento, sviluppo. Nessun rischio evidente, dunque, in questa celebrazione: piuttosto, molto da guadagnare in pensiero dalla lettura dei tre saggi.

Il primo scritto, di cui è autore Roberto Gronda, professore associato di Filosofia della Scienza presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa, è dedicato a Giulio Preti, che insegnò Storia della Filosofia a Firenze a partire dal 1954; il secondo contributo, a firma di Fiorenza Toccafondi, professoressa associata di Storia della Filosofia presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, è dedicato a Cesare Luporini, che ricoprì a lungo la cattedra di Filosofia Morale nell’Ateneo fiorentino, a partire dalla fine degli anni Cinquanta; il terzo contributo è dedicato a Ettore Casari e firmato da Maria Luisa Dalla Chiara, già ordinaria di Logica e filosofia della scienza presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, e ripercorre di Casari pensiero e magistero a Firenze in qualità di professore di Filosofia della Scienza a partire dal 1967. I tre scritti rielaborano gli interventi tenuti da Gronda, Toccafondi e Dalla Chiara lo scorso 18 ottobre 2024 presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze nel quadro di un pomeriggio seminariale dedicato alla celebrazione di “Tre grandi filosofi dell'Università degli Studi di Firenze”, parte delle celebrazioni d’Ateneo per il centenario dell’Università di Firenze (1924-2024). La pubblicazione dei tre scritti sulle pagine di “DILEF”, rivista del Dipartimento di Lettere e Filosofia, è ulteriore testimonianza del desiderio di rendere omaggio duraturo a queste tre luminose figure della filosofia.

 

Mariagrazia Portera

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