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L’articolo tratta della storia di Carite e Tlepolemo (Apul., Met. VII, 11-13; VIII, 1-14): all’inizio, Carite rappresenta una donna in balia del destino e totalmente dipendente dal (quasi) marito Tlepolemo; più oltre nella narrazione, diventa una sorta di virago, la cui descrizione richiama quella di Lucrezia e d’altra parte quella di Didone, tanto pre-virgiliana quanto virgiliana. I tre modelli si contemperano, ma il punto di rottura è costituito dall’inganno di Trasillo ai danni di Tlepolemo, a causa del quale Carite prende su di sé una persona (astuque miro personata, Met. VIII, 9, 5) che non le appartiene, quella di una Didone che tradisce - lei fintamente - il marito per poi riunirsi a lui in una sorta di Ringkomposition, ma anche a Lucrezia, di cui è imitato il mezzo di suicidio cioè la spada.

 

The essay deals with the story of Charite and Tlepolemus (Apul., Met. VII, 11-13; VIII, 1-14): at the beginning, Charite impersonates a woman in the mercy of fate and she’s totally depends on his (almost) husband Tlepolemus; later in the narration, she becomes a sort of virago, whose description recalls Lucretia on the one hand and both the Virgilian Dido and the pre-Virgilian one on the other hand. The models are reconciled, but the breaking point is the deception of Thrasyllus against Tlepolemus, because of which Carite takes on a persona, i.e. a mask (astuque miro personata, Met. VIII, 9, 5) which does not belong to her; the mask of a Dido who “betrays” her husband and then returns to him in a sort of Ringkomposition, but to Lucretia too, as she takes her own life in the same manner (by sword).