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Un episodio della fortuna di Gogol’ in Italia: «Il compratore di anime morte» di Stefano D’Arrigo

 ARTICOLO SCIENTIFICO

  • Data ricezione: 06/04/2024
  • Data accettazione: 05/07/2024
  • Data pubblicazione: 17/09/2024

Abstract

Il saggio analizza il rapporto tra l’inedito testo di Stefano d’Arrigo il Compratore di anime morte, concepito come soggetto cinematografico, e Le anime morte di Gogol’, lette in traduzione. La scelta del romanzo di Gogol’ nasce da una sintonia immaginifica e visionaria di D’Arrigo con l’autore russo, indicato a torto come scrittore realista e come tale promosso dalla cultura di sinistra del secondo dopoguerra. Il viaggio di Čičikov nelle terre di una Russia, immobile nel tempo ed infinita nello spazio, si trasforma nell’ambiguo percorso di iniziazione di Cirillo Bonocore nella Sicilia rivoltosa alla vigilia dello sbarco dei Mille. D’Arrigo propone un racconto fiabesco più che storico e si esercita in una singolare mescolanza, anticipatrice del suo futuro di romanziere.

 

The article makes a comparison between the recently published Il compratore di anime by Stefano D’Arrigo and Gogol’s Le anime morte, that D’Arrigo red in order to furbish a subject for a movie. The fact of choosing Gogol’s work depended on a sintony with his vision and imagination, in spite of the fact that during the italian Fifties Gogol’ had been misunderstood as  a realistic novelist. Čičikov’s journey in russian lands, where the time seems motionless and the space is so vast, becomes an ambiguous training of the hero Cirillo in Sicily, just before the Mille’s enterprise. D’Arrigo proposes a fabulous tale, where imagination and history are mixed in a way that prepares the future development of his literary work.


Parole chiave
Keywords

Il compratore di anime morte, dattiloscritto inedito presente tra le carte donate dalla moglie di Stefano D’Arrigo all’Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti di Firenze, è stato di recente pubblicato per le cure di Siriana Sgavicchia, studiosa dell’autore. Il testo è accompagnato da una succinta Nota al testo e da un ampio saggio dal titolo Una trama d’autore, nel quale si ricostruisce la genesi del lavoro, se ne ipotizza la datazione e si mettono a fuoco le relazioni professionali e amichevoli, che lo scrittore coltiva al suo arrivo a Roma dalla natía Sicilia nell’immediato dopoguerra1. Potrebbe allora essere utile qualche ulteriore considerazione sulla fortuna di Gogol’ in quello stesso giro di anni: se la storia delle sue traduzioni risulta sostanzialmente circoscritta a Le anime morte, Il revisore, I racconti di Pietroburgo e Taras Bul’ba, benché non manchino dagli anni Sessanta in avanti edizioni delle Opere fino ai due volumi mondadoriani del 1994 e 19962, la sua presenza compare, in maniera più o meno diretta, in studi che un’attenta politica editoriale vicina al partito comunista riserva alla letteratura russa dell’Ottocento, non circoscritta ai soli autori, ma estesa a critici, teorici e pubblicisti. Va ricordato in particolare il volume Il pensiero democratico russo, scritti di Belinskij, Herzen, Černyševskij, Dobroliubov, nel quale Belinskij, che come critico assume per la letteratura russa una centralità analoga a quella ricoperta anni dopo da De Sanctis per la letteratura italiana3, pone Gogol’, nell’articolo intitolato Uno sguardo alla letteratura russa dell’anno 1846, quale capostipite di una nuova scuola letteraria, definita «naturale»4. Questa collocazione è fatta propria dai critici successivi, in particolare da Černyševskij nei Saggi sul periodo gogoliano della letteratura russa (1856), editi nel volume Arte e realtà, per le edizioni Rinascita nel 1954, dove, come esplicita il titolo, Gogol’ identifica un periodo della letteratura russa ed è fondatore di una narrativa non più decorativa ma realistica.

Gogol’ ha modificato completamente la concezione stessa dell’arte. Alle opere di ogni poeta russo può essere applicata, anche se con un certo sforzo, la vecchia e ormai tramontata definizione della poesia come “abbellimento della natura”; ma è impossibile farlo per le opere di Gogol’. Per esse occorre un’altra definizione dell’arte, bisogna considerare l’arte come riproduzione della realtà in tutta la sua verità. Quindi tutto è ricondotto ai tipi, mentre l’ideale non è concepito come abbellimento (e perciò come menzogna), ma come rapporti che l’autore stabilisce tra i suoi personaggi tipici, in accordo con l’idea che egli vuole sviluppare nell’opera5.

Di qui le future interpretazioni di Gogol’ come lo scrittore che rivela la povertà materiale e la paura sociale dei činovniki, gli innumerevoli impiegati di stato divenuti, nella griglia del sistema petrino dei ranghi, gli ultimi nella metropoli pietroburghese ma anche nelle remote cittadine di governatorato. Al lettore ed allo studioso italiano viene presentato un Gogol’ funzionale ad un’impostazione realista della narrativa, auspicata per la rinascita dello stesso romanzo italiano, i cui esiti si vedranno, di lì a poco, nella polemica intorno a Metello di Vasco Pratolini. Lo spirito comico-carneva­lesco de Le veglie alla fattoria presso Dikan’ka e la qualità visionaria ed onirica dei Racconti di Pietroburgo vengono messi da canto, benché trasmigrino nel viaggio che Čičikov compie nelle terre russe per acquistare le anime morte. Il suo infatti non è un percorso di denuncia politica o un  j’accuse morale come il Viaggio da Pietroburgo a Mosca di Radiščev6, ma un tragitto immaginario in cui la successione di fisionomie, divenute poi una caratteriologia nazionale quasi proverbiale, assume una dimensione abnorme, irrealistica ed irrazionale. Per non parlare dell’intento epico e religioso che in un secondo tempo Gogol’ vi sovrammette su modello della Commedia dantesca. L’aspirazione ad una totalità narrativa ed etica si rivela impossibile da raggiungere, genera insoddisfazione e conduce fatalmente all’incompiutezza fino a che lo scrittore, divenuto ormai vittima di un millenarismo dettato da propositi salvifici e agli antipodi della pedagogia auspicata da Belinskij, non brucia egli stesso il manoscritto della travagliata seconda parte del romanzo. La Lettera con cui Gogol’ viene sconfessato dall’illustre critico è testimonianza crudele di incomprensione morale ed estetica e segna l’inizio di una frattura tra slavofili e occidentalisti, che ha gravato pesantemente non solo sulle sorti della critica ma anche del pensiero e della storia della Russia ottocentesca7.

Orbene, Stefano D’Arrigo, pur nel clima realista sopra accennato, coglie d’istinto in Gogol’ la forza primigenia dell’immaginazione ed è questo motore narrativo che, a nostro avviso, lo spinge ad una riscrittura delle Anime morte, sia pure nella forma di una «libera riduzione», come scrive di suo pugno sulla cartella che raccoglie il dattiloscritto8. La curatrice sottolinea «una certa marcatura neorealistica» dell’opera9, specie alla luce dei tentativi fatti dall’autore per farla accettare come soggetto cinematografico a Zavattini e Luchino Visconti, il cui rifiuto appare consapevole dell’ibrido tentativo da parte di D’Arrigo di raffrenare la fantasia entro improbabili tracce da romanzo storico. Un solo esempio prima di tornare sull’argomento: gli insorti, chiamati «riscaldati» con termine di acclarata derivazione manzoniana10, assomigliano a lazzaroni più che a patrioti, mentre la descrizione delle sommosse popolari subisce una dilatazione immaginaria di fatti, anche documentati storicamente quali la distruzione degli archivi da parte della folla inferocita, al punto che la «carta bollata» diventa una delle protagoniste del racconto. Senza aver potuto negli anni del primo dopoguerra, in cui presumibilmente compone Il Compratore di anime morte, avere tra mano la monografia di Nabokov, D’Arrigo condivide con lui l’affrancamento di Gogol’ dalla ipoteca realista. Nabokov infatti, che egli leggerà in seguito, come bene individua Sgavicchia nel saggio Una trama d’autore, ipotizzando qualche ripensamento del dattiloscritto, ma soprattuto suggestioni per il maggior romanzo Orcynus Orca, afferma come sia la scrittura a generare la realtà attraverso la retorica e la sintassi cosicché, specie i personaggi minori, nascono come d’incanto da una parola o da un’immagine, crescono a dismisura e si dilatano fino a divorare quanto paiono descrivere11. Senza arrivare al corpo a corpo di Nabokov contro i modelli canonici del romanzo russo “ben fatto”, di cui fa le spese Turgenev12, anche Landolfi nella presentazione ai Racconti di Pietroburgo si era posto su questa medesima linea interpretativa13, per altro ricordando il precedente di Renato Poggioli che, in Pietre di paragone, parla a ragione di «equivoco realista» per Gogol’14.

Alla luce di una sorta di fratellanza “fantastica” D’Arrigo sceglie dunque le Anime morte per un eventuale soggetto cinematografico, fingendo un rifacimento che appare piuttosto una traduzione, nell’italiano sociale e linguistico del Meridione tra Napoli e Palermo, delle ingiustizie, delle miserie, del ridicolo e della spocchia magistralmente rappresentati da Gogol’. Opportunamente la curatrice del volume ricorda l’attività di D’Arrigo come soggettista nella rivista «Cinema-Stampa» in cui «riassume e rinarra» trame di romanzi. Le anime morte, seppur ripensate e trattate come un soggetto cinematografico, non sono riassumibili se non nel solco della tradizione odeporica, arricchita però da un’invenzione fiabesca e da un sapore novellistico di matrice potremmo dire “nazionale”. Un cólto esercizio narrativo grazie al quale lo scrittore acquista via via sicurezza e può costruire un racconto antirealista che giunge baldanzoso ad una conclusione, l’arrivo dei garibaldini a Palermo, che è “un arrivano i nostri” in cui egli per primo non crede minimamente. Il tempo storico dell’incipit («È l’alba del 24 dicembre 1859»), chiuso dalla finale conquista di Palermo da parte dei garibaldini il 26 maggio 1860, svapora ben presto, sotto il peso della riscrittura da Gogol’, in un tempo d’invenzione dove gli accadimenti risultano scollegati e imprevedibili.

Nella biblioteca di D’Arrigo esiste, come avverte Sgavicchia, la seguente traduzione del romanzo di Gogol: Le avventure di Cicikov ovvero le anime morte, romanzo.  Prima traduzione integrale e conforme al testo russo con avvertenze storico-letterarie e note di Margherita Silvestri Lapenna, Firenze, Vallecchi 1941. Non ci sono dubbi sull’utilizzo da parte dello scrittore di questa edizione per la sua «riduzione»: lo comprovano brani del testo trasferiti quasi alla lettera nel Compratore di anime morte. Tuttavia l’edizione citata è in un solo volume, il quale si arresta al capitolo IX, mancando degli ultimi due, dei quali infatti la riduzione di D’Arrigo non reca traccia, risolvendo il finale in maniera abrupta con la scarcerazione di Cirillo ed il suo unirsi agli insorti. Certamente, né la Storia del capitano Kopejkin, che tanto spazio occupa nel capitolo X, né la biografia di Čičikov, né l’elogio della Russia e l’annuncio della seconda parte dell’opera che lo concludono, potevano essere materia per una rielaborazione, ma forse le pagine nelle quali i vari funzionari si interrogano su chi sia veramente Čičikov potevano offrire qualche spunto, date le folli supposizioni che possa essere nientemeno Napoleone fuggito da Sant’Elena15. Occorre anche riflettere sul titolo improprio apposto dalla traduttrice al romanzo di Gogol’, nel solco per altro della prima edizione cui, per ragioni di censura, fu imposto il titolo I viaggi di Čičikov, rimasto poi in moltissime traduzioni come ricorda con irritazione Nabokov16. Questo titolo abusivo, divenuto a sua volta in numerose traduzioni Le avventure di Čičikov, favorisce, nel caso di D’Arrigo, una lettura picaresca ed un recupero, anche espressivo, della novellistica seicentesca di area partenopea. La cartella, in cui sono raccolti i fogli del dattiloscritto, reca nel piatto anteriore il titolo Il compratore d’anime. Libera riduzione di Stefano d’Arrigo. Le avventure di Čičikov ovvero «Le anime morte» 17,  e chiarisce l’operazione condotta dallo scrittore meglio del «da Le Anime morte» di Nikolaj Gogol’» nella pagina di frontespizio dello stesso dattiloscritto18.

Tutta la prima parte del Compratore è di pura invenzione darrighiana: l’eroe è giovane, orfano, desideroso di famiglia adottiva, di indole buona come rivela il nome parlante di Cirillo Docore, ingenuo e malinconico almeno fino a quando, quasi per illuminazione, scopre nell’archivio della Real Beneficenza, in cui passa le sue giornate, l’esistenza delle anime morte, considerate come vive nell’interregno dei censimenti, e dunque possibile oggetto di speculazione. Solo a questo punto, dopo una trentina di pagine sulla Napoli del 1859, che pare frutto di colore locale più che di documentazione storica, incentrata com’è su luoghi quali il mercato di Porta Capuana, l’orfanatrofio della Nunziata e l’archivio della Real Beneficenza, D’Arrigo prende in mano Gogol’ e lo mette sul tavolo per riraccontare la storia, liberamente, e, come dichiarato nella cartella sopra menzionata, in maniera ridotta. Un avvio dunque che non ha nulla da condividere con l’arrivo in calesse di un rotondo uomo di mezza età in una città di provincia, sede di governatorato, città che potrebbe essere ovunque in Russia19, perché il lettore è già entrato nel regno dell’avventura se un “figlio della Madonna” come Cirillo, per giunta trentenne, viene adottato dal Principe di Margellina in quanto presunto divinatore in sogno dei numeri del lotto e dunque possibile garante di vincite. Tuttavia, prima che le situazioni avvicinino il viaggio di Cirillo a Palermo a quello di Čičikov nella «solita» città russa, la lettura di Gogol’ marca già la straordinaria scena in cui, appena adottato, Cirillo intravede gli abnormi personaggi ospitati nel palazzo paterno, lazzaroni travestiti da gobbi portafortuna e discinte femmine di malaffare20. Un più sottile legame con Gogol’, spia di una lettura assai attenta del romanzo, può essere colto nell’aver scelto a protagonista un orfano, per altro in età già virile, ossessionato da un problema di discendenza, proprio come Čičikov nel momento in cui, sfuggito fortunosamente alle violenze di Nozdrjòv, considera quale sarebbe stato il suo destino se fosse morto senza eredi:

‘Checché se ne dica, - diceva egli tra sé, - ma se non capitava a proposito il capitano di polizia, forse non m’era dato di contemplare più questo mondo! Sarei scomparso come una bolla d’acqua, senza nessuna traccia, senza lasciar discendenti, senza aver procurato ai figli futuri né un patrimonio, né un nome onesto!’. Il nostro eroe si dava molto pensiero dei suoi discendenti21.

Ecco allora che D’Arrigo si inventa con Cirillo un discendente di Čičikov, ma buono e positivo, assecondando, in maniera istintiva più che consapevolmente critica, il gioco di specchi reso possibile dal testo di provenienza.

Tornando al viaggio che accomuna i protagonisti, i rumores accompagnano il loro arrivo e generano equivoci - come nella drammaturgia del Revisore -, mentre la visita dei medesimi alle autorità del luogo ed i lusinghieri apprezzamenti destinati a catturarne le simpatie, determinano i festeggiamenti, gli incontri e gli inviti che ne susseguono. I due testi sono avvicinabili anche per la natura corale dell’avvio, calata in contesti lontanissimi, la Russia della servitù della gleba nella prima metà dell’Ottocento e la Palermo del Vicereame alla vigilia dell’arrivo dei Mille; si tratta di realtà agli antipodi geografici, ma passibili di analogie in quanto caratterizzate da vaste tenute padronali, nel primo caso, o latifondi baronali, nel secondo. In entrambe le situazioni i contadini sono una proprietà legata alla terra, che può essere venduta o acquistata insieme al possedimento, benché legiferata e sancita in maniera diversa. Operando questo audace collegamento l’autore siciliano deve essersi sentito confortato dall’ambiente legato al partito comunista italiano: le scelte iconografiche di un artista come Guttuso, suo grande amico in questo periodo, ma soprattutto gli studi di Emilio Sereni, il cui volume Il capitalismo nelle campagne risulta presente nella sua biblioteca22. Che il testo di D’Arrigo sia intenzionalmente concepito come soggetto è confermato dalla drastica riduzione della materia descrittiva e dall’abbandono del narratore onnisciente che ne Le anime morte commenta, sottolinea usi e costumi ed insiste su situazioni che si ripetono. Se la cittadina dove arriva Čičikov è la «solita» cittadina russa, priva di nome o di rinvio ad un governatorato, con le solite locande, i soliti ristoranti, teatri, salotti e fiere, la Palermo, dove approda il battello sul quale da Napoli si è imbarcato Cirillo, non assomiglia neppure a Napoli. Del pari, insieme alle descrizioni, svaniscono le considerazioni pedagogiche, mentre la satira vira in direzione del puro divertimento e l’immaginazione schiaccia la realtà. I personaggi d’invenzione, raggruppabili intorno all’intreccio amoroso di Cirillo con la contadina Rosalia, della cui famiglia si prende cura e per la quale abbandonerà il sogno di rivendere in patria le anime morte acquistate, convivono con quelli modellati sullo scrittore russo in grazia appunto di un felice occhio immaginativo. Per utilità si considerino le corrispondenze sottoelencate23:

Manilov
Duca Lisitano
Korobočka
Donna Lissandra
Nozdrjòv
Barone Mazzù
Sobàkjevic
Barone Papandrea
Pljùskin
Turi Borruso
Selifàn
Filomè

Nel definire i suoi personaggi D’Arrigo procede con metodo: egli individua un tratto caratterizzante, sia questo la pigrizia gentile e melliflua di Manilov, la spilorceria della Korobočka, la violenza strafottente di Nozdrjòv e via seguitando, per tradurlo in dialogo, spesso trasformando una descrizione in battuta più o meno raccorciata24, secondo la tecnica pertinente a un soggetto da rappresentare. Il lavoro si svolge con il testo di Gogol’ sul tavolo, cui si attinge direttamente allorché occorre una sintesi folgorante del personaggio. Si ricorderà, per fare un primo esempio, come la neghittosità di Manilov si esprima anche in una dolciastra vita familiare la cui emblematicità D’Arrigo coglie in un dettaglio del pranzo:

Benché fossero passati più di otto anni dalle nozze, ciascuno [dei due sposi] ancora offriva all’altro o un pezzetto di meluzza, o un confettino, o una nocina, e diceva con voce tenera e commovente, che esprimeva un amore perfetto: ‘Apri la boccuccia, anima mia, ch’io vi metta questo bocconcino’ (AM, p. 48).

Durante il pranzo il Duca e la Duchessa, senza trascurare l’ospite, si scambiarono squisitezze come due colombi: ‘Apri la boccuccia, cuor mio’, diceva l’uno all’altro. ‘Perché io vi metta questo bocconcino’ (CA, p. 81).

Estraneo a Gogol’ è invece il «pissi pissi» con cui il Duca Lisitano e la consorte invitano il più piccolo dei duchini a irrigare della sua pipì l’ospite. In questi interventi comici risiede il piacere di raccontare al lettore più che la considerazione di un eventuale spettatore, a meno di non pensare ad una buffoneria. Nella vedova Korobočka D’Arrigo intravede l’avarizia congiunta alla stupidità, allorché, nella puntigliosa discussione circa il prezzo da far pagare a Čičikov per la vendita delle anime morte, essa si interroga su un loro eventuale utilizzo, il quale ovviamente ne accrescerebbe il prezzo.

Forse in caso di bisogno [le anime morte] potrebbero far comodo nell’economia domestica…- replicò la vecchia (AM, p. 91).

Forse, in caso di bisogno, in caso di estrema necessità, non dico sempre tutti i giorni, ma qualche volta potrebbero far comodo in casa, in famiglia, in cucina. Eh? (CA, p. 127).

D’Arrigo sembra in questo caso ammiccare agli avari di commedia plautini e moliereschi i quali, diffidenti dei servitori, invocano, per controllare un eventuale furto, una terza mano inesistente25, dando corpo a qualcosa che non esiste, proprio come le anime. Anche in questo caso lo scrittore aggiunge un dettaglio buffonesco, allorché la vox populi attribuisce a Cirillo niente meno che un tentativo di seduzione della vecchia Lissandra, mentre ne Le anime morte l’attribuzione è riferita alla più plausibile figlia del governatore. Variazioni minime, se si vuole, ma tutte in direzione di un comico caricato. 

La spavalderia maleducata di Nozdrjòv, invece, si riassume nel suo apostrofare con il tu Čičikov, dando prova di una ingiustificata dimestichezza.

Là [nella casa del governatore], fra l’altro, egli fece la conoscenza d’un uomo sulla trentina, il proprietario Nozdrjòv, giovanotto disinvolto che dopo tre o quattro parole cominciò a dargli del tu (AM, p. 35).

‘Che è? Non ti va?’ gli chiese passando immediatamente al tu (CA, p. 70).

L’ampio capitolo dedicato allo spaccone, giocatore e prepotente Nozdrjòv viene contestualizzato da D’Arrigo facendo del personaggio il membro di una specie di milizia nobiliare, i Compagni d’Armi, estranea al mondo gogoliano, ma verosimile nella Sicilia dei baroni, dove con tale nome si indicavano sbirri o miliziotti al servizio del governo, non arruolati, bensì civili26. In questo caso non si aggiungono contrassegni comici, ma sopraffattori, adeguati ai vizi di tali gruppi dediti al gioco ed alla violenza sulle donne. Mentre Gogol’ accenna ad una pedagogia ravvisando nella Russia del suo tempo prepotenti mascherati come Nozdrjòv, D’Arrigo si sbarazza in fretta del personaggio facendolo arrestare, come in Gogol’, ma senza lasciare troppo spazio alle sue intemperanze. Simili procedimenti di sintesi tipologico-caratteriale possono essere rintracciati nella figura del barone Papandrea, il cui prototipo Sobàkjevic possiede una rozzezza animalesca («Un orso! Un orso perfetto!»27), ma anche, come nota Nabokov, un’insospettata natura sognatrice allorquando parla delle anime che sta vendendo a Čičikov come di creature viventi. Anzi, il personaggio si spinge talmente oltre da dover essere richiamato al fatto che le anime sono «inesistenti»: tra realtà e immaginazione, dunque, i confini possono essere varcati anche da una creatura di natura quasi bestiale. Pljùskin invece, raccoglitore di piluccherie e avaro “trascendentale”, si concretizza in un possidente siciliano di ascendenza verghiana, straccione furbo e avido.  

Le ambientazioni, non paragonabili, se ci si pone su un piano realistico, rivelano una analogia sul piano valutativo: così un Viceré siciliano «ricama il tulle» come un governatore russo, evidentemente per noia in entrambi i casi, con la differenza che nel Compratore di anime è la Viceregina a svelare l’hobby a Cirillo, mentre ne Le anime morte la dichiarazione appartiene al narratore28. Le violette per «dar profumo» alla tabacchiera offerta cortesemente agli ospiti costituiscono un altro dettaglio dell’apprezzamento che Čičikov e Cirillo raccolgono in società, senza che esso, al pari del ricamo sul tulle, disturbi la credibilità del racconto29. Infine, ricontestualizzata ed accorciata, ma non meno acre e polemica, è la dissertazione socio-antropologica sui «grassi» e sui «magri», che approda, in entrambi i casi, a riconoscere ai primi maggior successo nella vita oltreché una più florida salute. L’eroe gogoliano, di mezza età e con un embonpoint dignitoso celebra qui, per bocca dell’autore, i propri fasti grotteschi a contrasto con la magrezza e il volto non certo paffuto che di Gogol’ consegnano i suoi ritratti30. L’elenco potrebbe continuare e la raccolta arricchirsi ulteriormente. Lo sfalsamento storico non ha in quest’ottica alcun rilievo, benché le date puntuali citate da D’Arrigo ad inizio e fine del racconto possano ingannare il lettore; tra l’altro, il 24 dicembre, vigilia di Natale, introduce proprio all’inizio della vicenda l’elemento simbolico delle natività miracolose, come appunto quella dell’orfanello Cirillo rinato grazie all’adozione da parte del Principe di Margellina. I mesi in cui si svolge la narrazione, contrassegnati da rivolte che, di fatto, precedettero lo sbarco dei Mille, sono verosimili ma si svolgono davanti un fondale da palcoscenico, lontano da pretese ricostruttive, sull’esempio non tanto della Marseillaise (1938) di Jean Renoir, capolavoro della cinematografia del Front Populaire, molto apprezzato da D’Arrigo, quanto della «fantasia all’italiana» de Le Carrosse d’or (1952) del medesimo regista31. Né basta una citazione da Settembrini e dalla sua celebre Protesta, assai popolare e ben nota presso la cultura meridionale, a conferire all’opera la solidità di un racconto storico32.

Le anime morte si svolgono in un tempo che potrebbe ripetersi identico all’infinito, dove i personaggi potrebbero ricomparire i medesimi anche dopo anni, che è forse il tempo lento della vita russa e del suo spazio primigenio, la steppa, da cui il giovane Gogol’ era fuggito senza trovare pace in alcun luogo33. La natura tragicamente statica del romanzo di Gogol’, intuita da D’Arrigo, determina una fine “cinicamente” ottimista, su modello manzoniano, assai sbrigativa rispetto a futuri possibili intrighi evocati ne Le anime morte, allorché, ad interessarsi del commercio di anime, compaiono, nel nono capitolo, nuovi incredibili personaggi, spuntati non si sa da dove e perché34. Manca, infine, il tempo soggettivo che caratterizza un racconto di formazione, visto che Cirillo sale sulle barricate per amor di Rosalia e decide di rimanere a Palermo non perché abbia acquistato una consapevolezza politica, ma per una fatalistica accettazione dei fatti: «Garibaldi venne in Sicilia? E noi restiamo in Sicilia»35. La fine vera della storia è affidata all’inutile svolazzare tra le masserizie della barricata della preziosa carta bollata, sulla quale erano stati registrati gli atti d’acquisto delle anime: inquadratura, questa, davvero cinematografica.

Note
  • 1

    A Niccolò Grossi, che, conoscendo il mio amore per la letteratura russa, mi ha offerto questo libro il giorno stesso della sua uscita, sono dedicate queste pagine.



    D’Arrigo 2024. I riferimenti testuali, eccetto quelli riferiti alla curatela, saranno abbreviati con la sigla CA, seguita dal numero di pagina.

  • 2

    Scandura 2002, ad vocem.

  • 3

    Luciani 2019, pp. 29-34.

  • 4

    Berti-Gallinaro 1950, pp. 28-62. Il saggio di Belinskij, Uno sguardo alla letteratura russa dell’anno 1846. Gogol’ e la scuola naturale, con il quale il critico inizia la sua collaborazione alla rivista «Sovremennik», era già apparso integralmente in Lo Gatto 1925, pp. 11-80.

  • 5

    Černyševskij 1954, p. 539.

  • 6

    Radiščev 1972.

  • 7

    Berti-Gallinaro 1950, pp.77-78. Nella Lettera a Gogol’ Belinskij si riferisce a Passi scelti dalla corrispondenza con gli amici, per i quali si veda Gogol’ 1996 e per un commento Sibaldi 1996, pp. 1391-1400. Vladimir Nabokov nel suo volume su Gogol’ giudica invece «nobile» la lettera e insiste per un distinguo tra Belinskij ed i suoi epigoni (Nabokov 2014, p. 122). Si ricordi che la lettura della lettera, con le sue critiche allo zarismo, divenne motivo sufficiente di arresto per Dostoevskij, condannato per averne dato pubblica lettura nel circolo di Petraševskij.

  • 8

    Sgavicchia 2024, p. 231.

  • 9

    ivi, p. 245.

  • 10

    Vedi Battaglia 1992, vol xvi, p. 761, ad vocem.

  • 11

    «I personaggi periferici del suo romanzo vengono generati dalle proposizioni subordinate delle varie metafore, similitudini ed esplosioni liriche in esso contenute. Siamo di fronte a un fenomeno stupefacente per cui mere forme discorsive generano direttamente creature vive» (Nabokov 2014, p. 79).

  • 12

    ivi, p. 85: «Non si riesce a concepire che razza di mente si debba avere per ravvisare in Gogol’ un precursore della ‘scuola naturale’ e un ‘pittore realistico’ della vita russa». Si veda anche Nabokov 2021, pp.31-92 e, per Turgenev, le pp. 93-103.

  • 13

    Si vedano Gogol’ 19411 e  2000.

  • 14

    Poggioli 1939, pp.13-55.

  • 15

    Per l’edizione Sgavicchia 2024, pp. 248-249. Il riferimento all’edizione del 1941 sarà d’ora in avanti abbreviato con la sigla AM, seguito dalla pagina. Si è consultata l’edizione della BNCF, segnatura 11-723-731, catalogata come volume doppio, mentre invece si tratta della prima edizione del 1941 accorpata con la seconda del 1943. Entrambe si arrestano al capitolo IX e sono la ristampa del volume primo della traduzione in due volumi uscita nella collana «Il genio russo» diretta da Antonio Polledro, Torino, Slavia, 1932. Il volume secondo, che contiene i capp. X-XI, L’Appendice e la Seconda parte, viene ristampata da Vallecchi soltanto nell’edizione del 1969, dove la traduzione è identica ma la presentazione risulta aggiornata rispetto alle edizioni del 1941 e del 1942. Evidentemente D’Arrigo in un primo momento ha avuto davanti un testo mutilo e avrà poi in seguito conosciuto l’opera compiuta, senza per questo intervenire sul dattiloscritto, ormai messo da canto. A “giustificazione” dell’operazione editoriale di Vallecchi si può ricordare il netto giudizio di Nabokov: «Per quanto mi riguarda, Anime morte finisce con la partenza di Čičikov dalla città di N.N.» (Nabokov 2014, p. 106).

  • 16

    Nabokov 2014, pp. 65-66. La prima traduzione italiana, Roma,1883, reca come titolo fuorviante: Le anime morte: scene contemporanee comico-satiriche (Gogol’ 1996, p.1248). Il titolo di Avventure di Čičikov è frequente in larga parte delle traduzioni italiane del secondo Novecento.

  • 17

    Sgavicchia 2024, p. 231.

  • 18

    ibidem. La copertina e la sovracopertina dell’edizione curata da Sgavicchia recano come titolo Il compratore di anime, di evidente rinvio a Gogol’ per il lettore cólto, ma improprio, perché sospetto di presentare un romanzo e non, di fatto, un testo «da» altro testo. In nessun luogo del dattiloscritto del resto, stando alla curatrice, D’Arrigo si riferisce al Compratore come ad un romanzo ed infine la curatrice stessa esclude la definizione di romanzo (Sgavicchia 2024, pp. 241-242). Il titolo di copertina dunque parrebbe legato al lancio editoriale più che all’osservanza strettamente filologica.

  • 19

    «ogni cosa era come dappertutto» (AM, p. 21).

  • 20

    CA, pp. 44-46.

  • 21

    AM, p. 146.

  • 22

    Sgavicchia 2024, pp. 252 e 268, dove la curatrice menziona appunto il volume di Sereni 1948, presente nella biblioteca dell’autore.

  • 23

    I nomi dei personaggi russi seguono la grafia e l’accentazione della traduzione utilizzata da D’Arrigo.

  • 24

    Si vedano AM, pp. 88-89 e CA, p. 123.

  • 25

    Vedi Plauto, Aulularia, IV.4, vv. 641-643 e Molière, L’Avare, I.3.

  • 26

    Pieri 1962, p. 646.

  • 27

    AM, p. 155.

  • 28

    AM, p. 26 e CA, p. 60.

  • 29

    AM, p. 33 e CA, p. 63.

  • 30

    AM, p. 31 e CA, p. 62.

  • 31

    Di opinione differente Sgavicchia 2024, p. 252.

  • 32

    Sgavicchia 2024, p. 260.

  • 33

    Pagine bellissime sull’importanza dello spazio immenso della steppa nella cultura russa ha scritto Figes 2004.

  • 34

    AM, p. 306: «Apparvero un certo Sysoj Pafnutievjc e Makdonald Karlovic dei quali nessuno mai aveva neppur sentito parlare; nei salotti si aggirava una certo tipo lungo lungo con un braccio ferito da una fucilata, così alto che l’eguale non s’era veduto mai. Per le strade apparvero legni di piazza chiusi, giardiniere mai viste, traballanti carriole, carrozzini dalle ruote cigolanti, e la faccenda s’imbrogliò».

  • 35

    CA, p. 229.

Bibliografia
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