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Luci e ombre in greco antico: costruzioni participiali e ambiguità sintattica

 ARTICOLO SCIENTIFICO

  • Data ricezione: 25/03/2024
  • Data accettazione: 05/07/2024
  • Data pubblicazione: 11/09/2024

Abstract

Questo articolo si concentra su due costruzioni participiali del greco antico che risultano essere strettamente correlate, in quanto coincidenti in termini funzionali, ma non formali: il participio predicativo, i.e. un participio che funziona come un verbo finito, e la perifrasi composta dal participio e il verbo ‘essere’. Entrambe le strutture possono essere caratterizzate da manifestazioni di ambiguità sintattica, sia a livello formale che funzionale. Quanto al primo, si è incerti se considerare alcuni participi in determinate condizioni come forme sintatticamente indipendenti o come componenti di una perifrasi. Sul piano funzionale, l’ambiguità concerne l’interpretazione sintattica di certi participi, il cui status di dipendenza è complicato da valutare con oggettività. In questo lavoro si analizzano queste manifestazioni di ambiguità, nel tentativo di appianarle o, quanto meno, ridurne la problematicità.

 

This paper focuses on two Ancient Greek participial constructions, which appear to be closely interrelated, inasmuch as they are equivalent in functional terms, but not formal: the predicative participle, i.e. a participle functioning as a finite verb, and the periphrasis made up of a participle plus the verb ‘to be’. Both patterns may be characterized by manifestations of syntactic ambiguity, on both the formal and functional level. As for the former, it may be problematic, under specific conditions, whether the participle should be regarded as a syntactically independent form or the component of a periphrasis. On the functional level, the ambiguity concerns the syntactic interpretation of the participle, whose dependent or independent status is complicated to assess in an objective way. In this article, I analyze these ambiguity manifestations, in the attempt of accounting for them.


Parole chiave
Keywords

1. Introduzione

In questo articolo* ci occupiamo di due costrutti participiali del greco antico: la struttura che chiamerò Participio Predicativo (PP)1, cioè un participio sintatticamente indipendente che funziona come una forma verbale finita (esempio (1)), e la costruzione perifrastica composta dal participio e il verbo εἶναι ‘essere’ (esempio (2); si noti che nella perifrasi il participio è sintatticamente dipendente dalla copula, che ne costituisce l’elemento reggente). Come hanno mostrato Nardi e Romagno (Nardi-Romagno 2022, pp. 228-231), il PP e la perifrasi esibiscono una stretta correlazione, nel senso che, come illustreremo più chiaramente in §2, sono due strutture predicative pressappoco identiche dal punto di vista funzionale, ma non sul piano formale.

(1)
Καὶ ἔστησαν ἐν τῷ τόπῳ τοῦ σπηλαίου καὶ ἰδοὺ νεφέλη φωτεινὴ ἐπισκιάζουσα τὸ σπήλαιον.

E rimasero nel luogo della caverna, ed ecco una nuvola luminosa adombrò la caverna. (Protovangelo di Giacomo 19:2)


(2)
Καὶ ὤφθη αὐτοῖς Ἠλίας σὺν Μωϋσεῖ καὶ ἦσαν συλλαλοῦντες τῷ Ἰησοῦ.

E apparve loro Elia assieme a Mosè ed essi stavano conversando con Gesù. (Marco 9:4)

La perifrasi in (2) non sembra necessitare di particolari commenti: ci limitiamo a segnalare che esiste una letteratura abbastanza corposa sull’argomento, per quanto focalizzata su questioni estranee al presente lavoro (principalmente, la definizione, individuazione e classificazione del costrutto perifrastico, o il suo sviluppo diacronico2). Vale invece la pena di notare che ἐπισκιάζουσα in (1), anziché codificare valore subordinante, come è solito fare il participio in greco antico3, appare sostanzialmente equivalente ad una forma finita: se lo si sostituisse con l’imperfetto corrispondente ἐπεσκίαζε, il significato della frase non subirebbe alterazioni significative.

Occorre precisare che questa non è una delle funzioni ‒ per così dire ‒ standard del participio greco; e ne è riprova il fatto che essa passa generalmente inosservata nelle grammatiche moderne (tra gli altri, cfr. Adrados 1992; Rijksbaron 1994; Crespo-Conti-Maquieira 2003), con sporadiche e concise eccezioni: Chantraine (1953, p. 323) considera il PP alla stregua di un anacoluto; Schwyzer (1950, p. 408) ammette la possibilità che un participio compaia senza copula espressa in una frase nominale (si noti che questa osservazione assume implicitamente il diretto rapporto fra un participio senza copula, cioè un PP, e la perifrasi con εἶναι, su cui cfr. §2); Smyth (1920, p. 479) segnala l’esistenza di frasi nominali con participi al nominativo, «but only when some finite verb is to be supplied» (per cui l’indipendenza sintattica del participio sarebbe solo apparente). Non a caso, infatti, maggiore attenzione al costrutto viene riservata in studi specificamente dedicati alle frasi nominali (cfr. Regard 1919, pp. 186-209; Guiraud 1962, pp. 145-155). In greco post-classico invece, soprattutto nella letteratura giudaico-cristiana, il PP registra un relativo aumento di frequenza, plausibilmente dovuto all’interferenza di aramaico e/o ebraico, con un conseguente e rinnovato interesse da parte delle grammatiche (cfr. Nardi 2023c e la bibliografia ivi citata).

Forse come conseguenza del suo status di uso “non standard”, il PP può dar luogo a manifestazioni di ambiguità. Il fenomeno dell’ambiguità, convenzionalmente definito come quella proprietà per cui una forma linguistica può avere molteplici (solitamente due) significati, funzioni o interpretazioni, è estremamente pervasivo nelle lingue naturali e si può manifestare pressoché a tutti i livelli di analisi linguistica (fonetico-grafica, morfologica, sintattica, semantico-lessicale, pragmatica4).

Nella nostra situazione specifica, le costruzioni participiali possono dar luogo ad ambiguità sintattica, intesa come incertezza nell’interpretazione sintattica del participio5. Tale ambiguità si manifesta sia sul piano funzionale che su quello formale, con esiti e scenari diversi. Sul piano formale, e in determinate condizioni contestuali, esistono casi in cui si è incerti se considerare un dato participio come sintatticamente indipendente, e dunque un PP, oppure come componente di una perifrasi con εἶναι. Sul piano funzionale, si hanno casi per cui esistono due interpretazioni sintattiche diverse del participio, entrambe in teoria possibili: o come participio equivalente a un verbo finito, e quindi un PP, oppure come participio sintatticamente dipendente da un altro costituente, che codifica quindi uno degli usi subordinanti standard del participio greco (su questa questione, cfr. Moulton 1906, pp. 180-183, 222-225; Robertson 1923, pp. 944-946, 1132-1135; Regard 1919, pp. 208-209; Williams 2007, pp. 30-39).

In questo contributo si intende mostrare come l’ambiguità relativa all’interpretazione sintattica dei participi abbia manifestazioni su un duplice livello, sia funzionale che formale, nel tentativo di ridurre al minimo la problematicità che tale ambiguità comporta per l’analisi linguistica teorica. L’indagine suggerisce che, mentre l’ambiguità di tipo funzionale rimane una complicazione per l’analisi teorica dell’enunciato, difficile da emancipare dalla soggettività dell’interprete, l’ambiguità formale può essere, se non del tutto appianata, quanto meno concettualizzata all’interno di un’intelaiatura teorica che ne dia in parte ragione, secondo il modello elaborato da Nardi-Romagno (2022).

I dati provengono da un ampio corpus, che consiste di testi che datano dal II secolo a.C. all’VIII d.C., specificamente: circa 100 opere appartenenti alla letteratura giudaico-cristiana6, le due opere storiografiche di Flavio Giuseppe (Guerra Giudaica e Antichità Giudaiche) e papiri documentari assortiti di varia provenienza (principalmente egizi, ma anche palestinesi, come i Papiri Yadin7), datazione (dal II secolo a.C. fino ai primi decenni dell’VIII secolo d.C.) e genere, recanti documenti sia pubblici che privati (lettere, petizioni, editti e disposizioni reali o imperiali, ricevute bancarie, transazioni commerciali, contratti di matrimonio, denunce alle autorità, ecc.). La selezione di questo corpus è motivata dal numero relativamente alto di costruzioni participiali in questi testi, che fornisce una quantità notevole di dati e permette quindi un esame esteso e approfondito.

 

2. Ambiguità formale: PP o perifrasi?

Come si è detto brevemente in §1, il PP e la perifrasi con εἶναι sono strettamente correlati. Tale correlazione consiste nel fatto che i due sono strutture predicative equivalenti in termini funzionali, ma differenziate sul piano formale dalla presenza o assenza di una copula esplicitamente espressa:

Aristotle observes that any finite verb is functionally equivalent to a participle plus a copula, that is, to an εἶναι-periphrasis: e.g., διδάσκει = διδάσκων ἐστί ‘he teaches’ (Metaph. 1017a28; Anal. Pr. 51b12). Since the participle is a nominal form, and nominal clauses are perfectly acceptable in Greek, a participle by itself can function as a full predicate (e.g., διδάσκει = διδάσκων ‘he teaches’; cf. also Aristotle Poet. 1457a27) […]. The predicative participle (e.g., διδάσκων), then, and its copular counterpart (i.e., εἶναι-periphrasis: e.g., διδάσκων ἐστί) are two formally-different ways to express predication. (Nardi-Romagno 2022, p. 228)

Evidenze cruciali per l’equipollenza funzionale dei due costrutti sono fornite dalla comparazione delle espressioni formulari/idiomatiche negli esempi (3a-b) e (4a-b) sotto (su cui cfr. Nardi 2023a), in cui una variante della formula seleziona una perifrasi, mentre l’altra variante seleziona un PP (per un altro caso analogo cfr. esempio (9)).

(3a)


Ὡς τῷ κυρίῳ ἔδοξεν οὕτως καὶ ἐγένετο· εἴη τὸ ὄνομα κυρίου εὐλογημένον.

Come sembrò giusto al Signore, così si avverò: sia benedetto il nome del Signore. (Testamento di Giobbe 19:4)


(3b)


Εὐλογημένη σὺ ἐν γυναιξίν καὶ εὐλογημένος ὁ καρπὸς τῆς κοιλίας σου.

Benedetta tu (sia) tra le donne, e benedetto il frutto del tuo ventre. (Luca 1:42)


(4a)


Καὶ ἀμφότεροι προβεβηκότες ἐν ταῖς ἡμέραις αὐτῶν ἦσαν.

Ed entrambi erano in là con gli anni [lett. ‘erano avanzati nei loro giorni’]. (Luca 1:7)


(4b)


Καὶ ἦν Ἅννα προφῆτις, θυγάτηρ Φανουήλ, ἐκ φυλῆς Ἀσήρ· αὕτη προβεβηκυῖα ἐν ἡμέραις πολλαῖς, ζήσασα μετὰ ἀνδρὸς ἔτη ἑπτὰ ἀπὸ τῆς παρθενίας αὐτῆς, καὶ αὐτὴ χήρα ἕως ἐτῶν ὀγδοήκοντα τεσσάρων, ἣ οὐκ ἀφίστατο τοῦ ἱεροῦ νηστείαις καὶ δεήσεσιν λατρεύουσα νύκτα καὶ ἡμέραν.

C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser; ella (era) in là con gli anni [lett. ‘avanzata in molti giorni’], avendo vissuto con il marito per sette anni dalla sua verginità, ed ella (era) rimasta vedova fino a 84 anni, e non si allontanava dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. (Luca 2:36-37)

Dal momento che, come è noto, il linguaggio formulare è per definizione fisso o, quanto meno, si sottopone malvolentieri a variazione sia formale che funzionale (tra molti altri, cfr. Wood 2015), le varianti delle formule possono considerarsi funzionalmente equivalenti.

Il PP e la perifrasi sono considerati da Nardi e Romagno come due categorie prototipiche contigue (nel senso di Rosch 1973, 1978) e, malgrado la chiara differenza formale (assenza vs. presenza di una copula), la distinzione tra le due è più fruttuosamente definita in maniera scalare, anziché discreta, secondo il cosiddetto “continuum di copularità” (cfr. Nardi-Romagno 2022, p. 229): a un polo del gradiente troviamo la perifrasi, caratterizzata dal tratto [+copula] (copula espressa), mentre al polo opposto troviamo il PP, caratterizzato dal tratto [–copula] (copula assente).

Come ci si attende da categorie organizzate prototipicamente, i membri periferici non sono sempre ascrivibili in modo inequivocabile all’una o all’altra categoria. Questo è lo scenario offerto anche dalle due costruzioni in esame ed è in questo senso che si manifesta l’ambiguità formale a cui ci si riferiva: in alcuni casi la classificazione di un participio come PP o come membro di una perifrasi non è evidente. Per esemplificare la questione, si faccia riferimento agli esempi da (5) a (9), che includono casi con grado di copularità decrescente.

(5)


Ὁ δὲ Κορνήλιος ἦν προσδοκῶν αὐτοὺς συγκαλεσάμενος τοὺς συγγενεῖς αὐτοῦ καὶ τοὺς ἀναγκαίους φίλους.

E Cornelio li stava aspettando, avendo chiamato a raccolta i suoi parenti e amici intimi. (Atti degli Apostoli 10:24)


(6)


Καὶ ἦν Ἰωάννης οἰκοδομῶν ναοὺς καὶ καταρτίζων ἱερεῖς καὶ ἐπισκόπους καὶ πρεσβυτέρους καὶ θεραπεύων πᾶσαν νόσον καὶ πᾶσαν μαλακίαν ἐν τῷ λαῷ.

E Giovanni costruiva templi e addestrava preti e vescovi e sacerdoti e curava ogni malattia e ogni infermità presso il popolo. (Atti di Giovanni 44)


(7)

Καὶ εὐωδία ἀρωμάτων ἐξελεύσεται ἀπ’ αὐτοῦ καὶ ἄμπελος ἔσται περιπεπλεγμένη αὐτῷ πλήρης βοτρύων καὶ ἀπὸ ἄκρου αὐτοῦ μέλι καταβαῖνον καὶ πᾶν πετεινὸν ἐν τοῖς κλάδοις αὐτοῦ κατασκηνώσει.

E una fragranza di aromi si sprigionerà da esso e una vite piena di grappoli gli sarà aggrovigliata attorno e miele scenderà dalla sua cima e ogni genere di creatura volante troverà riparo sotto i suoi rami. (Atti di Matteo 6)


(8)

Ἦν δὲ τὸ πένθος οὐχ ὑπεσταλμένον ἀλλ’ οἰμωγαὶ διαπρύσιοι καὶ θρῆνος ἐγκέλευστος κοπετοί τε περιηχοῦντες ὅλην τὴν πόλιν ὡς ἂν ἐπ’ ἀνδράσιν οὓς ἔφασκον ὑπὲρ τῶν πατρίων νόμων καὶ τοῦ ναοῦ πυρὶ παραπολέσθαι.

E il dolore non era sommesso, ma i lamenti erano acuti e le grida rituali e i pianti echeggiavano per tutta la città, come per uomini che si diceva fossero morti nel fuoco in difesa delle leggi patrie e il tempio. (Guerra Giudaica II:6)


(9)

Ὃς δὲ ἀποκριθοῦσα Ἰουλία Κρισπῖνα λέγουσα· […]

E Giulia Crispina ha risposto dicendo: […] (P. Yadin 25:24)

In (5) troviamo una costruzione copulare – cioè una perifrasi ‒ prototipica. L’esempio (6) comprende tre participi che sono retti dalla stessa copula (ἦν) e condividono lo stesso soggetto (Ἰωάννης): la copula è espressa nella prima proposizione (ἦν Ἰωάννης οἰκοδομῶν), ma è sottintesa per i participi nelle proposizioni seguenti (καταρτίζων e θεραπεύων). In (7) abbiamo due participi retti dalla stessa copula (ἔσται), che è espressa in combinazione con περιπεπλεγμένη, ma sottintesa per καταβαῖνον. Nonostante i due participi si riferiscano a soggetti diversi (ἄμπελος per περιπεπλεγμένη e μέλι per καταβαῖνον), come risulta evidente dalla variazione nel genere (περιπεπλεγμένη al femminile, καταβαῖνον al neutro), καταβαῖνον partecipa ancora con sufficiente chiarezza del tratto [+copula].

L’esempio (8) è cruciale. Mentre la prima proposizione contiene una costruzione copulare prototipica (ἦν τὸ πένθος οὐχ ὑπεσταλμένον), la frase coordinata θρῆνος ἐγκέλευστος κοπετοί τε περιηχοῦντες ha una classificazione ambigua, perché non è chiaro se sia da considerarsi un PP, oppure il participio di una perifrasi con copula sottintesa, rintracciabile nel precedente ἦν. Tuttavia, la seconda interpretazione risulta essere controversa, segnatamente a causa della variazione nel numero del soggetto (sebbene la variazione nel soggetto non sia di per sé un dato problematico, come abbiamo visto per (7)): mentre ἦν ὑπεσταλμένον è singolare in riferimento al soggetto τὸ πένθος, il soggetto plurale (θρῆνος ἐγκέλευστος κοπετοί τε) nella coordinata esibisce un participio plurale (περιηχοῦντες), che però richiederebbe, in teoria, una copula plurale (*ἦσαν); postulare la reggenza di περιηχοῦντες da parte di ἦν sottinteso produce una struttura non pienamente grammaticale ((*)ἦν περιηχοῦντες8). Dunque, la discrepanza nel numero del soggetto inficia una chiara lettura perifrastica di περιηχοῦντες.

Infine, l’esempio (9) presenta un caso prototipico di struttura non copulare (ἀποκριθοῦσα), cioè un PP. È interessante notare che l’equivalenza funzionale di ἀποκριθοῦσα a una forma verbale finita è confermata tramite comparazione testuale (cfr. sotto). L’espressione in (9), schematizzabile come ‘rispose e disse’, è una formula di ascendenza biblica, calcata su un originale ebraico e/o aramaico (esempi (10) e (11) rispettivamente), il cui corrispondente greco è molto diffuso nella letteratura giudaico-cristiana e attestato in diverse varianti (la più frequente è ἀποκριθεὶς εἶπεν, ma ne esistono anche altre versioni, come ἀπεκρίθη καὶ λέγει, ἀποκριθεὶς ἔφη, ecc.; su queste questioni, cfr. Nardi 2023a, 2023c).

(10)

[…] וַיַּעַן אַבְרָהָם וַיֹּאמַר

wayyaʿanʾaḇrāhām wayyōmar […]

E Abramo rispose e disse: […] (Genesi 18:27)


(11)


[…] עָנֵה דָנִיֵּאל וְאָמַר

ʿānêh ḏānîyêl ʾāmar […]

Daniele parlò e disse: […] (Daniele 2:20)

Questa espressione formulare ricorre più volte nei Papiri Yadin: oltre al caso in (9), la troviamo in P.Yadin 25:13-15 (= P.Yadin 25:45-47) e P.Yadin 26:11-12. Tutti questi casi, crucialmente, attestano l’indicativo ἀπεκρίθη al posto del participio ἀποκριθοῦσα (rispettivamente, ὃς δὲ ἀπεκρίθη Βαβαθας Σίμωνος διὰ ἐπιτρόπου αὐτῆς Μαρας Ἀβδαλγου Πετραῖος λέγουσα […]; ὃς δὲ ἀπεκρίθη Μαριάμη λέγουσα· […]). Dato che, come notato sopra, il linguaggio formulare è intrinsecamente fisso in forma e funzione, possiamo ragionevolmente assumere che il participio ἀποκριθοῦσα abbia esattamente lo stesso valore funzionale dell’indicativo ἀπεκρίθη.9

 

3. Ambiguità funzionale: participio indipendente o dipendente?

I casi di ambiguità funzionale riscontrati nel corpus consistono di fatto in casi di ambiguità interpretativa, corrispondenti a una problematica già riscontrata e discussa nella letteratura (di cui si fa menzione in §1). La questione che ci si pone è molto semplice ed è motivata dal valore sintattico, assai insolito, del PP: un dato participio è davvero sintatticamente indipendente, i.e. funziona come un verbo finito? O è legato ad un altro costituente che lo regge, i.e. codifica un valore subordinante?

A questo riguardo, vale la pena di citare le poche parole di Robertson, che riassumono esemplarmente il modo di procedere che si è adottato nell’analisi: «in general it may be said that no participle should be explained in this way [cioè come un PP] that can properly be connected with a finite verb» (Robertson 1923, pp. 1133-1134); vale a dire, se è possibile interpretare un participio come dipendente, conviene interpretarlo in quel modo. Questo postulato giace sull’assunto che sia più probabile che un participio codifichi un uso subordinante, e dunque “standard”, piuttosto che un uso insolito o “non standard” come il PP.

Sulla base di questo approccio metodologico, il valore sintattico delle forme participiali risulta essere trasparente nella maggior parte dei casi. Tuttavia, in una manciata di occorrenze, sembra davvero complicato sciogliere l’ambiguità che caratterizza quei participi.

Cominciamo l’analisi da un passo tratto dal terzo libro dei Maccabei (esempio (12)), in cui il contesto sembra contribuire a disambiguare la funzione dei participi, anche se non in modo inequivocabile.

(12)

Μεγάλως δὲ καὶ διηνεκῶς ὁ βασιλεὺς χαρᾷ πεπληρωμένος συμπόσια ἐπὶ πάντων τῶν εἰδώλων συνιστάμενος πεπλανημένῃ πόρρω τῆς ἀληθείας φρενὶ καὶ βεβήλῳ στόματι. (3 Maccabei 4:16)


(a)

Il re, grandemente e continuamente colmo di gioia, organizzava simposi alla presenza di ogni tipo di idolo, con la mente distolta dalla verità e la bocca impura.


(b)

Il re era grandemente e continuamente colmo di gioia, organizzando simposi alla presenza di ogni tipo di idolo, con la mente distolta dalla verità e la bocca impura.

Vista l’assenza di un verbo finito in (12), si dovrà assumere che uno dei due participi ne faccia le veci; allora, si hanno due possibili interpretazioni: in (a) συνιστάμενος funge da predicato principale, mentre πεπληρωμένος ha valore di participio avverbiale (o congiunto, secondo la terminologia più diffusa); in (b), al contrario, πεπληρωμένος è un PP e συνιστάμενος ha funzione subordinante. Sulla base di fattori contestuali, l’interpretazione in (a) ci pare più appropriata, per quanto non definitiva: l’organizzazione di simposi sembra l’evento principale della frase, mentre lo stato euforico del re rappresenterebbe una condizione marginale, un’informazione aggiuntiva che completa il quadro della situazione.

Per tutti gli altri casi che esamineremo, il contesto non fornisce nessun tipo di contributo all’interpretazione dei participi e l’ambiguità sintattica appare difficile da sciogliere in maniera oggettiva. Proseguiamo l’indagine con l’ἀσπασμός, il saluto di congedo, della lettera ai Tralliani di Ignazio di Antiochia.

(13)

Ἔρρωσθε ἐν Ἰησοῦ Χριστῷ ὑποτασσόμενοι τῷ ἐπισκόπῳ ὡς τῇ ἐντολῇ ὁμοίως καὶ τῷ πρεσβυτερίῳ. (Ignazio, lettera ai Tralliani 13:2)


(a)

Siate forti in Gesù Cristo, siate sottomessi al vescovo come al comandamento e al sacerdozio.


(b)

Siate forti in Gesù Cristo, essendo sottomessi al vescovo come al comandamento e al sacerdozio.

Il participio ὑποτασσόμενοι in (13) può avere due letture: quella in (a), come predicato principale, un PP con valore di imperativo (su questo particolare uso del participio, cfr. Williams 2007; Nardi 2023b); oppure quella in (b), come participio congiunto al soggetto di seconda plurale espresso da ἔρρωσθε. Sebbene Williams (2007, p. 48) non esiti ad additare l’interpretazione (a) come quella buona (né, d’altronde, riconosce l’eventualità che ὑποτασσόμενοι possa averne una diversa), ci pare complicato stabilire su basi oggettive quale sia la lettura corretta, anche perché, diversamente dal caso in (12), il contesto non fornisce pezze d’appoggio per favorire l’una o l’altra interpretazione.

Il prossimo esempio viene dalle lettere del Nuovo Testamento, precisamente dalla prima lettera di Pietro (comunemente considerata pseudepigrafa).

(14)

Οἱ ἄνδρες ὁμοίως συνοικοῦντες κατὰ γνῶσιν ὡς ἀσθενεστέρῳ σκεύει τῷ γυναικείῳ ἀπονέμοντες τιμήν ὡς καὶ συγκληρονόμοις χάριτος ζωῆς εἰς τὸ μὴ ἐγκόπτεσθαι τὰς προσευχὰς ὑμῶν. (1 Pietro 3:7)


(a)

Allo stesso modo, mariti, vivete assieme [alle mogli] con riguardo, mostrate rispetto alla parte femminile come a uno strumento più delicato, poiché anch’esse sono eredi con voi della grazia della vita, affinché le vostre preghiere non vengano ostacolate.


(b)

Allo stesso modo, mariti, vivete assieme [alle mogli] con riguardo, mostrando rispetto alla parte femminile come a uno strumento più delicato, […]

Mentre συνοικοῦντες in (14) può difficilmente interpretarsi altrimenti che come PP con valore di imperativo, il participio ἀπονέμοντες può considerarsi alla stessa maniera, in coordinazione asindetica (secondo la lettura in (a)), ma anche come un participio congiunto (secondo la lettura in (b)). In effetti, entrambe le interpretazioni ci paiono egualmente ammissibili e nemmeno in questo caso il contesto sembra aiutare a disambiguare. Con ciò sia cosa che, se ci atteniamo alla linea di analisi suggerita da Robertson (di cui sopra), dovremo preferire l’interpretazione (b), che conferisce al participio un valore “standard”.

Tuttavia, almeno due fattori contribuiscono a riconsiderare questa scelta. Primo, l’uso del participio con funzione di imperativo è particolarmente frequente nella sezione di 1 Pietro che va da 2:18 a 3:9 (cfr. Daube 1987; Williams 2007, p. 48; Nardi 2023b): è pertanto verosimile che l’autore avesse intenzione di caratterizzare i participi ivi presenti proprio con quel valore. Secondo, sussiste un diffuso disaccordo nelle traduzioni moderne rispetto al valore sintattico di ἀπονέμοντες, laddove συνοικοῦντες è pressoché unanimemente interpretato come un PP.10 Questi motivi, pertanto, giustificano la violazione alla linea di analisi che ci si era imposti e suggeriscono cautela nell’interpretare ἀπονέμοντες come un participio sintatticamente dipendente.

Il caso seguente viene dalla Settanta, segnatamente un passo dal libro greco di Esdra che attesterebbe la (presunta) trascrizione di una lettera inviata al Gran Re Dario.

(15)

Βασιλεῖ Δαρείῳ χαίρειν πάντα γνωστὰ ἔστω τῷ κυρίῳ ἡμῶν τῷ βασιλεῖ ὅτι παραγενόμενοι εἰς τὴν χώραν τῆς Ιουδαίας καὶ ἐλθόντες εἰς Ιερουσαλημ τὴν πόλιν κατελάβομεν τῆς αἰχμαλωσίας τοὺς πρεσβυτέρους τῶν Ιουδαίων ἐν Ιερουσαλημ τῇ πόλει οἰκοδομοῦντας οἶκον τῷ κυρίῳ μέγαν καινὸν διὰ λίθων ξυστῶν πολυτελῶν ξύλων τιθεμένων ἐν τοῖς τοίχοις καὶ τὰ ἔργα ἐκεῖνα ἐπὶ σπουδῆς γιγνόμενα καὶ εὐοδούμενον τὸ ἔργον ἐν ταῖς χερσὶν αὐτῶν καὶ ἐν πάσῃ δόξῃ καὶ ἐπιμελείᾳ συντελούμενα. (1 Esdra 6:8-9)
(a)

Al re Dario, saluti. Sia informato il nostro signore re Dario che, quando arrivammo nella regione della Giudea e giungemmo nella città di Gerusalemme, trovammo gli anziani dei Giudei dell’esilio che costruivano nella città di Gerusalemme una grande e nuova casa al Signore con pietre levigate, ponendo travi pregiate nelle mura, e quelle opere procedevano con rapidità e il lavoro andava bene nelle loro mani e venivano portate a termine con splendore e attenzione.


(b)

[…] trovammo gli anziani dei Giudei dell’esilio che costruivano nella città di Gerusalemme una grande e nuova casa al Signore con pietre levigate, ponendo travi pregiate nelle mura, e [trovammo] che quelle opere procedevano con rapidità e che il lavoro andava bene nelle loro mani e che venivano portate a termine con splendore e attenzione.

Nell’interpretazione (a) i participi γιγνόμενα, εὐοδούμενον e συντελούμενα sono PP, mentre in (b) costituiscono forme dipendenti rette da κατελάβομεν e coordinate al precedente οἰκοδομοῦντας. La fonte di ambiguità in questo caso è da ricercarsi nella combinazione di genere e caso grammaticali. Infatti, mentre οἰκοδομοῦντας è trasparente (accusativo maschile) e non può che interpretarsi come forma dipendente subordinata a κατελάβομεν, γιγνόμενα, εὐοδούμενον e συντελούμενα sono neutri, con conseguente sincretismo (formale) di nominativo e accusativo: se assumiamo che siano accusativi, saranno da interpretarsi come coordinati a οἰκοδομοῦντας e dunque dipendenti; se invece assumiamo che siano nominativi, saranno da interpretarsi come indipendenti e dunque PP. Tuttavia, il contesto non sembra presentare fattori che contribuiscano a sciogliere in maniera oggettiva questo caso di ambiguità sintattica (o, forse più propriamente, morfosintattica).

L’ultimo caso che trattiamo è parzialmente diverso dagli altri visti finora e non coinvolge un (presunto) PP, bensì una perifrasi con εἶναι (esempio (16)). Ciononostante, vista la stretta correlazione tra PP e perifrasi (su cui cfr. §2) e la presenza di manifesta ambiguità sintattica, non ci sembra fuori luogo discutere questo caso in questa sede.

(16)

Καὶ ἑστὼς ἤμην Ἑνωχ εὐλογῶν τῷ κυρίῳ τῆς μεγαλωσύνης τῷ βασιλεῖ τῶν αἰώνων. (Apocalisse di Enoch 12:3)


(a)

E io, Enoch, stavo in piedibenedicendo il signore della grandezza, il re dei secoli.


(b)

E io, Enoch, stando in piedibenedicevo il signore della grandezza, il re dei secoli.

L’ambiguità in (16) consiste nello stabilire quale participio sia membro della perifrasi, e retto dalla copula ἤμην, e quale abbia valore subordinante: in (a), ἑστώς è parte della struttura perifrastica e εὐλογῶν un participio congiunto; in (b), al contrario, ἑστώς ha valore subordinante ed εὐλογῶν è membro della perifrasi.

Un possibile ausilio potrebbe venire dall’ordine dei costituenti, nel senso che la contiguità di ἑστώς e ἤμην potrebbe indicare un rapporto perifrastico fra di loro. Tuttavia, l’ordine dei costituenti in queste perifrasi greche è molto libero e tutt’altro che infrequenti sono sequenze del tipo copula - soggetto - participio, come sarebbe ἤμην Ἑνὼχ εὐλογῶν secondo la lettura (b) (anzi, quest’ordine è il terzo più diffuso nel corpus, trovato nel 16,2% dei casi; cfr. Nardi-Romagno 2022, p. 227);11 al contrario, l’ordine participio - copula - soggetto, come sarebbe ἑστὼς ἤμην Ἑνὼχ secondo la lettura (a), è attestato in un numero scarsamente significativo di casi (1,3%).12 Quindi, la preferenza per l’interpretazione (a), suggerita dalla contiguità dei costituenti, può essere osteggiata da considerazioni statistiche, per quanto esse non siano decisive.

Dunque, il caso in (16) non sembra presentare elementi probanti, o anche significativamente indicativi, che possano contribuire a sciogliere l’ambiguità che caratterizza i due participi.

 

4. Conclusioni

Come è ampiamente noto, l’ambiguità è un fenomeno pervasivo nelle lingue e può manifestarsi a ogni livello di analisi linguistica: il greco antico non fa eccezione. Il corpus esaminato attesta fenomeni di ambiguità circa l’interpretazione di alcuni participi; i casi discussi sono caratterizzati da varie e specifiche peculiarità, ma sono tutti riconducibili ad ambiguità di tipo sintattico. Tale ambiguità si manifesta su due livelli, formale e funzionale.

Quanto al piano formale, si è visto come in alcuni casi sia complicato stabilire se un dato participio costituisca il predicato principale della frase, se sia cioè un PP, oppure il componente di una costruzione ‘εἶναι + participio’ (non pienamente grammaticale). Questa ambiguità può essere concettualizzata e, in parte, spiegata tramite un determinato approccio teorico, che vede il PP e la perifrasi come due categorie prototipiche contigue, i cui membri sono meglio distinguibili in maniera scalare: lo scenario appena descritto, infatti, è perfettamente consistente con la teoria dei prototipi, per cui i membri periferici di una categoria possono avere una collocazione ambigua.

Quanto al piano funzionale, il valore sintattico del participio è talvolta ambiguo e non si riesce a stabilire con chiarezza se esso sia indipendente e funzioni quindi come una forma verbale finita, oppure se sia dipendente da un altro costituente e codifichi un valore subordinante, come è norma in greco antico. In un caso, l’incertezza interpretativa riguarda una perifrasi, per cui è difficile stabilire su basi oggettive quale participio, di due concorrenti, sia il membro della costruzione analitica assieme alla copula. In questi (sparuti) casi, non sembrano sussistere fattori linguistici interni al testo che possano indicare in maniera oggettiva quale interpretazione sia corretta o preferibile (con la sola eccezione, ma non inequivocabile, dell’esempio (12)): la scelta dovrà ricadere sulla soggettività dell’interprete.

È appena il caso di sottolineare, in conclusione, che il tipo di ambiguità analizzato in questo lavoro rappresenti un problema esclusivamente per i linguisti e per l’analisi teorica che essi sono chiamati ad effettuare. Al contrario, è ragionevole supporre che queste – per così dire ‒ sottigliezze interpretative fossero scarsamente rilevanti per l’effettiva comprensione dell’atto linguistico da parte dei parlanti greci, certamente adusi alla versatilità del participio in quella lingua, né questo genere di ambiguità doveva inficiare in modo significativo la trasparenza comunicativa.

Note
  • *

    Questo lavoro costituisce una rielaborazione ampliata e aggiornata del mio intervento alla conferenza ‘Ambiguity and Vagueness in Languages. 2nd International Conference in Linguistics and Digital Humanities’, tenutasi presso l’Università degli Studi di Firenze, 14-16 giugno 2023.

  • 1

    È appena il caso di notare che, nella terminologia italiana tradizionale relativa alla sintassi del greco antico, ‘participio predicativo’ denota una delle principali funzioni subordinanti del participio, con cui si completa il significato del verbo reggente, esprimendo una predicazione (donde, appunto, ‘predicativo’; cfr. Basile 2001, pp. 532-542): e.g. σὺ δὲ καὶ τὰ λοιπὰ τὰ ἐπὶ τούτοισι ποίησον, ὅκως […] τις ὕστερον φυλάσσηται τῶν βαρβάρων μὴ ὑπάρχειν ἔργα ἀτάσθαλα ποιέων ἐς τοὺς Ἕλληνας ‘allora porta a termine le tue imprese, affinché […] in futuro qualsiasi barbaro si guardi dal cominciare ad intraprendere imprese scellerate contro i greci’ (Erodoto, Storie, IX.78.2; esempio tratto da Basile 2001, p. 536), in cui il participio predicativo ποιέων completa il significato di ὑπάρχειν. In questo studio, con ‘participio predicativo’ (PP) si indica un costrutto totalmente diverso dalla struttura con funzione subordinante appena descritta.

  • 2

    Tra numerosi altri, cfr. Björck (1940), Aerts (1965), Dietrich (1973), Ceglia (1998), Amenta (2003), Bentein (2016), Nardi-Romagno (2022), Nardi (in corso di stampa). Vale la pena di notare che, a seguito dell’analisi effettuata su dati neotestamentari, Logozzo e Tronci non riconoscono alla costruzione εἶναι + participio lo status di perifrasi in senso proprio, almeno nella grande maggioranza dei casi (cfr. Logozzo-Tronci 2020).

  • 3

    Sulle funzioni del participio greco, tra molti altri, cfr. Smyth (1920, pp. 454-479), Basile (2001, pp. 475-547), Crespo-Conti-Maquieira (2003, pp. 306-317).

  • 4

    Sull’ambiguità in linguistica e nelle lingue esiste una sterminata letteratura, caratterizzata da disparate prospettive teoriche e impostazioni metodologiche: limitandosi ai lavori più recenti sulla questione, rinviamo a Wasow-Perfors-Beaver (2005), Winkler (2015), Magni (2020a, 2020b), Bauer-Zirker (2024).

  • 5

    Sull’ambiguità sintattica in generale, tra molti altri, cfr. Fera (2019), Magni (2020b, pp. 53-59), Fortuny (2023).

  • 6

    Segnatamente, l’intero Nuovo Testamento, alcuni libri della Settanta (1 Esdra, 3 e 4 Maccabei, Salmi di Salomone) e approssimativamente 75 altri testi di vario genere, nello specifico: il ciclo di Pilato (Vangelo di Nicodemo, Anafora di Pilato, recensione A e B, Atti di Pilato, recensione A e B, Paradosi di Pilato), apocalissi (Baruch, Enoch, Esdra, Mosè, Paolo, Pietro, Pseudo-Giovanni, Sedrach), atti apocrifi (Andrea e Mattia, Barnaba, Filippo, Giovanni, Matteo, Paolo e Tecla, Pietro, Pietro e Andrea, Pietro e Paolo, Santippe e Polissena, Taddeo, Tommaso), vangeli apocrifi (Protovangelo di Giacomo, Vangelo di Pietro, Vangelo dell’infanzia di Tommaso, recensione A e B), testamenti (Abramo, recensione A e B, Giobbe, Salomone, testamenti dei dodici patriarchi), martìri (Andrea, recensione A e B, Bartolomeo, Paolo), epistole (lettere di Abgar e Gesù Cristo, lettera di Barnaba, lettera di Policarpo ai Filippesi, lettere di Ignazio di Antiochia), testi di altro genere (Ascensione di Isaia, Dormizione di Maria, Giuseppe e Aseneth, Narrazione di Giuseppe, Oracoli Sibillini, Questioni di Bartolomeo e Vite dei profeti).

  • 7

    I Papiri Yadin (dal nome dell’archeologo che li ha rinvenuti, Yigael Yadin), anche noti come Archivio di Babatha, sono una collezione di documenti papiracei (in greco, nabateo e aramaico) provenienti dalla Giudea meridionale e redatti in ambienti giudaici a cavallo tra il I e il II secolo d.C. (Hartman 2016, pp. 18-20, 26-36).

  • 8

    Per chiarire questo punto, si pensi ad un esempio analogo, quale Marco stava mangiando un panino e i suoi amici (*)bevendo delle birre, per cui, data la variazione nel numero del soggetto, sarebbe auspicabile l’esplicita espressione dell’ausiliare al plurale (Marco stava mangiando un panino e i suoi amici stavano bevendo delle birre). Una simile discrepanza la si trova in alcuni casi di predicazione aggettivale nel corpus, per esempio: καὶ οὐχ οὕτως οἱ περὶ Δανιηλ λέοντες ἦσαν ἄγριοι οὐδὲ ἡ Μισαηλ ἐκφλεγομένη κάμινος λαβροτάτῳ πυρί, ὡς […] ‘e i leoni che erano intorno a Daniele non erano così selvaggi, né la fornace di Misaele [era] così ardente di fuoco violento, che […]’ (4 Maccabei 16:3).

  • 9

    In linea teorica, la frase in (9) (ἀποκριθοῦσα Ἰουλία Κρισπῖνα λέγουσα) potrebbe anche tradursi ‘Giulia Crispina, interrogata, disse’, cioè interpretando ἀποκριθοῦσα come participio congiunto e λέγουσα come PP. Tuttavia, proprio in virtù del confronto con P.Yadin 25 e 26 (per altro, entrambi redatti dallo stesso scriba, Γερμανὸς Ἰούδου ‘Germano figlio di Giuda’), che hanno ἀπεκρίθη come verbo reggente e λέγουσα come participio congiunto, preferiamo leggere ἀποκριθοῦσα come il PP (in accordo, cfr. anche Hartman 2016).

  • 10

    Le traduzioni italiana (Riveduta 2020), francese (Nouvelle Edition de Genève) e tedesca (Einheitsübersetzung 2016) concordano nell’interpretare entrambi i participi come PP con funzione imperativale: ‘vivete insieme alle vostre mogli con il riguardo dovuto alla donna, come a un vaso più delicato. Onoratele, poiché […]’; ‘montrez à votre tour de la sagesse dans vos rapports avec votre femme, comme avec un sexe plus faible; honorez-la, comme […]’ (francese); ‘ebenso sollt ihr Männer im Umgang mit den Frauen rücksichtsvoll sein, denn sie sind der schwächere Teil; ehrt sie, denn […]’ (tedesco). Invece, le traduzioni inglese (sia la English Standard che l’American Standard), spagnola (Reina Valera Actualizada) e portoghese (Almeida Revista e Corregida) attribuiscono ad ἀπονέμοντες valore dipendente: ‘live with your wives in an understanding way, showing honor to the woman’ (English Standard); ‘dwell with your wives according to knowledge, giving honor unto the woman’ (American Standard); ‘vivan con ellas con comprensión, dando honor a la mujer’ (spagnolo); ‘coabitai com ela com entendimento, dando honra à mulher’ (portoghese).

  • 11

    Come esempi di questa struttura si considerino i seguenti casi: ἦν δὲ ὁ λεόπαρδος καὶ ὁ ἔριφος ἀτενίζοντες τῷ σωτῆρι ‘ma il leopardo e e la capra stavano fissando il salvatore’ (Atti di Filippo 138); ἦν τὸ πρόσωπον αὐτοῦ βλέπον εἰς τὸν οὐρανόν ‘il suo volto stava guardando verso il cielo’ (Atti di Matteo 20); ἦν δὲ ὁ Πέτρος εὐλογήσας ὃν εἰλήφει κρίθινον ἄρτον ‘e Pietro benedì il pane d’orzo che aveva preso’ (Atti di Pietro e Paolo 47).

  • 12

    Come esempi di quest’ordine sintattico si vedano i seguenti casi: διεστραμμένη ἔσται ἡ γενεὰ ἐκείνη ‘questa stirpe sarà corrotta’ (Atti di Filippo 142); καὶ προσκυνοῦντες ἦσαν αὐτῷ πάντες οἱ βασιλεῖς τῆς γῆς ‘e tutti i re della terra lo veneravano’ (Testamento di Salomone 8:1).

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