Abstract
In questo saggio è ricostruita la posizione di Giovanni di Napoli sul principio di individuazione, situata in due Questioni quodlibetali, con un’attenzione particolare per le fonti da lui utilizzate. Sono prese in esame tre fonti suggerite da P. T. Stella in un saggio del 1951, delle quali è valutata l’attendibilità, e viene infine proposto un confronto tra la posizione di Giovanni e quella di Roberto di Orford nel Correctorium corruptorii. Sciendum, indicando la letteratura dei Correctoria come probabile fonte primaria.
In this essay we examine John of Naples’ position on the principle of individuation by analyzing his solution of two Quodlibetal Questions, and discuss John’s potential sources. First we evaluate the sources proposed by P. T. Stella in a study of 1951, and then compare John’s position with that of Robert of Orford in his Correctorium corruptorii. Sciendum. This work, and more generally the tradition of the Correctoria, seems to be John’s primary source on the issue of individuation.
Parole chiave
Keywords
Introduzione
A partire dagli ultimi due decenni del XIII secolo, intorno alla ricca eredità dottrinale lasciata da Tommaso d’Aquino alla sua morte, è andata formandosi la cosiddetta “scuola tomista”, alla quale sono riconducibili membri appartenenti perlopiù all’Ordine domenicano, e che traeva ispirazione dagli insegnamenti filosofici e teologici di Tommaso. La questione storiografica relativa alla categoria di tomismo e ai criteri che contribuiscono a dichiarare l’appartenenza di un pensatore a questa corrente di pensiero è aperta e dibattuta ancora oggi. In generale, il tomismo è stato considerato una corrente compatta e posizionata su di una linea teorica comune e ben definita, oppure, al contrario, sono state messe in luce le divergenze di pensiero presenti tra i seguaci di Tommaso, la natura composita di tale corrente, piuttosto che la sua uniformità1.
Giovanni di Napoli viene considerato in letteratura tra i seguaci di Tommaso d’Aquino attivi nei primi decenni del quattordicesimo secolo, come uno degli esponenti di spicco della “scuola tomista”. In questa sede, tuttavia, non ci incentreremo sullo studio delle dottrine di Giovanni, con lo scopo di decretare, oppure di escludere, la sua effettiva appartenenza al tomismo; piuttosto, ciò che ci proponiamo di compiere è esaminare e chiarire la posizione di Giovanni riguardo a un tema filosofico specifico, quello dell’individuazione delle sostanze2, tema che egli ha trattato in due questioni quodlibetali. Tramite l’analisi delle due quaestiones, avremo la possibilità di rilevare affinità e discrepanze rispetto al pensiero di Tommaso d’Aquino, elemento, questo, che non ci consentirà tuttavia di assumere una posizione definitiva circa la conformazione del tomismo di Giovanni, ma che metterà in luce un determinato aspetto del suo rapporto con l’insegnamento del Doctor Angelicus. Sarà inoltre possibile inserire la dottrina di Giovanni entro un orizzonte filosofico più ampio, che comprenda le posizioni di autori che hanno avuto una certa rilevanza e influenza a cavallo tra il XIII e il XIV secolo. In particolare, gli autori qui discussi saranno Enrico di Gand, Goffredo di Fontaines e Pietro d’Alvernia, la cui importanza per Giovanni è stata suggerita dallo studioso Stella in un importante saggio incentrato sul principio di individuazione, nel quale sono state edite le questioni quodlibetali di Giovanni su questo tema3. Nell’esaminare la posizione di Giovanni e quelle degli altri autori, vedremo che non sempre le conclusioni a cui Stella è giunto sono condivisibili: le rettificheremo in alcuni punti importanti. Infine, con la consapevolezza che si tratta di un primo approccio a un tema complesso, che merita ulteriori indagini, amplieremo l’analisi prendendo in esame la letteratura dei Correctoria e ponendola a confronto con le questioni di Giovanni, allo scopo di determinare con più precisione le possibili fonti da lui utilizzate.
1. Giovanni di Napoli
Giovanni di Napoli è un filosofo e teologo domenicano che fu attivo principalmente a Napoli, Parigi e Avignone nella prima metà del XIV secolo4. La sua attività si colloca nel periodo successivo alle condanne dottrinali e alla controversia dei Correctoria (fine XIII secolo)5, in una fase in cui i vertici dell’Ordine domenicano si impegnavano a istituzionalizzare in maniera crescente il pensiero di Tommaso in occasione dei Capitoli generali dell’Ordine, cercando al contempo di controllare e appianare ogni divergenza interna rispetto all’insegnamento del Doctor Angelicus. Giovanni partecipò attivamente a questa politica dell’Ordine. Nel 1313, infatti, due anni prima della sua nomina a magister di teologia presso l’Università di Parigi, egli entrò a far parte di una commissione di teologi responsabile di esaminare l’operato di Durando di San Porziano, il quale aveva respinto alcuni capisaldi della dottrina di Tommaso (ad esempio, la distinzione tra essenza ed essere nelle creature, e la distinzione tra intelletto agente e intelletto possibile). Al tempo stesso, Giovanni difese attivamente il pensiero di Tommaso, cercando di spezzare il vincolo tra alcuni articoli condannati ufficialmente dal vescovo Tempier e l’operato di Tommaso6. Infine, considerando ancora le ragioni storiche in base alle quali Giovanni di Napoli è ritenuto un filosofo tomista, occorre menzionare il suo contributo al processo di canonizzazione di Tommaso, non solo come portatore di una testimonianza a favore della sua beatificazione e canonizzazione, nell’Agosto del 1319, ma soprattutto come procuratore del secondo processo, tenutosi nel 1323, sostituendo Guglielmo da Tocco, ormai troppo anziano per occuparsi della questione.
Per verificare però il suo legame con Tommaso da un punto di vista strettamente teorico, è necessario valutare di volta in volta la sua posizione sulle singole tematiche. A questo proposito, vale la pena ricordare che le due maggiori opere di Giovanni sono le Questioni disputate e le Questioni quodlibetali, due opere importanti non solo per la loro ampiezza, ma anche per la varietà dei temi trattati e il livello di approfondimento filosofico.
Le Quaestiones disputatae risalgono agli anni del magistero di Giovanni a Parigi (1315-1317), e costituiscono un compendio del suo insegnamento circa le principali questioni teologiche e filosofiche dibattute in quel periodo, tra cui, ad esempio, il tema dell’anima, della verità, dell’eternità del mondo e della composizione ontologica degli angeli. Il manoscritto di riferimento, ossia il codice 244, si trova presso la Biblioteca Capitular della città di Tortosa, ed è stato rinvenuto grazie alle ricerche di March7. Esiste, inoltre, un’edizione moderna del 1618, curata dal domenicano Domenico Gravina, di cui possediamo una copia anastatica8.
Le Quaestiones quodlibetales sono circa 300, raggruppate in 13 quodlibeta rinvenuti in due manoscritti principali: uno è conservato a Napoli, mentre l’altro a Tortosa, nel medesimo manoscritto comprendente le Questioni disputate9. I Quodlibeta di Giovanni rappresentano una delle più vaste produzioni all’interno della letteratura quodlibetale del 1300, e restano in gran parte ancora inediti10.
Tra le varie questioni trattate da Giovanni nei Quodlibeta, di particolare rilevanza è quella riguardante il principio di individuazione, un tema assai discusso a partire dal XIII secolo. All’interno delle Questioni disputate, invece, Giovanni non affronta in modo esplicito questo argomento11. Esso è discusso nella quaestio 5 del Quodlibet III («Quinta quaestio est: quid est principium individuationis»), e nella quaestio 6 del Quodlibet VII («Sexta quaestio est utrum si anima Petri uniretur materiae Pauli vel lapidis esset homo idem numero quam fuit»). Tali questioni appaiono di particolare interesse, in quanto consentono di far emergere una delle numerose interpretazioni della dottrina dell’individuazione di Tommaso d’Aquino da parte della tradizione domenicana – tradizione in cui si inserisce il lavoro di Giovanni –, la quale tentò di elaborare una propria ricostruzione della concezione di Tommaso, a cavallo tra tredicesimo e quattordicesimo secolo12. Si tratta di un’interpretazione importante perché, a partire dalla pluralità dei testi di Tommaso sull’individuazione, cerca di fornire una soluzione unitaria ed esaustiva al problema, che sia al contempo complessa e accurata nella spiegazione delle funzioni di tutti gli elementi in gioco.
Negli anni Cinquanta, Prospero Tommaso Stella si è dedicato a una prima analisi delle due questioni di Giovanni sull’individuazione, e ha inserito la trascrizione dei due testi nell’appendice del suo saggio: Zwei unedierte Artikel des Johannes von Neapel über das Individuationsprinzip (1951)13. Stella approfondisce il pensiero di Giovanni di Napoli a partire dalla comparazione con le dottrine proprie di alcuni autori attivi alla fine del XIII secolo. Come ricordato, si tratta di Enrico di Gand (1217 circa-1293), Goffredo di Fontaines (prima metà del XIII secolo-1309 circa) e Pietro d’Alvernia (1240 circa-inizio del 1300). In ciò che segue, ci proponiamo tre obiettivi. In primo luogo, discutere il testo di Giovanni, al fine di ricostruire con precisione la sua dottrina sul principio di individuazione. In secondo luogo, prendere in esame le posizioni degli autori indicati da Stella, per confrontarle con quella di Giovanni e valutarne l’effettiva influenza. Infine, rintracciare le possibili fonti dalle quali Giovanni ha attinto. Vedremo che si rivela utile considerare la letteratura dei Correctoria, che consta di opere successive alle condanne del 1277 ed è la fonte diretta più vicina per i discepoli di Tommaso d’Aquino che desideravano discutere e restituire il significato del suo pensiero.
2. La dottrina del principio di individuazione di Giovanni di Napoli
Nel delineare la propria posizione circa il principio di individuazione, in entrambe le questioni quodlibetali, Giovanni prende le mosse dalla tesi secondo la quale ciò che causa l’essere è anche la causa dell’essere uno:
Hiis ergo opinionibus dimissis dicendum est quod omni rei ex sua entitate et realitate convenit individuatio sic quod nihil est causa individuationis rei nisi quod est causa entitatis eius et realitatis14.
Giovanni sostiene che il principio di individuazione non aggiunge alla sostanza qualcosa di positivo, ma consiste piuttosto nell’escludere, da una parte, la divisibilità intrinseca della sostanza, e, dall’altra, la sua indistinguibilità dalle altre cose. La correlazione tra essere e individuazione, la quale coincide con l’unità numerica di una sostanza, permette dunque di distinguere e diversificare non soltanto la numerabilità di due sostanze, ma anche la loro identità, per cui una sostanza è sempre uguale a se stessa e non è, invece, identica a un’altra:
Primo quia unitas simpliciter quae est unitas numeralis et est idem quod individuatio nihil positivum addit super realitatem et entitatem rei sed tantum negationem distinctionis in se et indistinctionis ab alio, quae est etiam quaedam negatio quia secundum eam una res non est alia. Sed negatio secundum se non habet causam nisi ratione fundamenti sui. Sicut ergo nihil est causa indistinctionis lineae in se et distinctionis ab alia linea nisi quod est causa ipsius lineae, sic et in proposito nihil est causa individuationis Sortis nisi quod est causa et sicut est causa entitatis et realitatis ipsius Sortis15.
Ora, nella sesta quaestio del settimo Quodlibet, Giovanni contrappone i concetti di individuazione e di universalità in relazione alla sostanza, e sembra porre in discussione la necessità di interrogarsi su quale sia il principio dell’individuazione della sostanza, a favore, piuttosto, della domanda su quale sia il principio della loro universalità16. Nell’ambito di una modalità di conoscenza che parte da ciò che è individuale, l’universale, in quanto più difficile da attingere, potrebbe infatti apparire un oggetto più rilevante sul piano della ricerca filosofica, e, pertanto, da privilegiare:
Sic quod nihil est causa individuationis seu unitatis numeralis, nisi quod est causa et sicut est causa entitatis realis, quia omnis res, ut est iam dictum pluries, individuationem habet et unitatem numeralem ex sua entitate et ex sua realitate, sed universalitatem habet ab alio, ex consideratione scilicet intellectus. Unde, ut iam dictum est, frustra quaeritur quid <est> principium et causa individuationis, sed magis deberet quaeri quid est principium universalitatis17.
L’argomento di Giovanni contenuto in questo testo si basa sul fatto che, per le sostanze, la proprietà di essere degli individui ha la medesima causa del loro stesso essere, ed è dunque una proprietà intrinseca alle sostanze, al pari dell’essere. La proprietà di essere universale, invece, non è intrinseca alle sostanze, ma deriva dalla considerazione da parte di un intelletto. Questa riflessione, tuttavia, non contribuisce a rendere superflua una ricerca sulle cause dell’individuazione delle sostanze, proprio in virtù dell’analogia che Giovanni ha stabilito tra princìpi dell’essere e princìpi dell’individuazione: per comprendere quali siano i princìpi responsabili dell’individuazione, occorre determinare quali siano i princìpi responsabili dell’essere. Di fatto, Giovanni non mette realmente in dubbio la ricerca delle cause che spieghino l’individuazione, a favore della sola indagine su ciò che causa l’universalità; ciò che esclude è chiedersi se le cause dell’individuazione debbano essere ricercate al di fuori delle cause dell’essere di una sostanza18. Questa precisazione è utile a Giovanni per inquadrare più precisamente la questione, indicando la direzione verso cui rivolgersi per rispondere al quesito sul principio di individuazione (cioè, indagare le cause dell’essere delle sostanze), e ciò che invece non vale la pena indagare, ovvero tutte le cause diverse da quelle dell’essere.
Nella sua indagine, Giovanni individua quattro elementi che contribuiscono, in modi diversi, all’essere e quindi all’individuazione di una sostanza, per quanto ciascuno di tali elementi, considerati singolarmente, non sia di per sé sufficiente a essere causa dell’individuazione:
Manifestum est enim quod entitatis compositi efficiens est causa extrinseca, materia autem et forma sunt causae intrinsecae, unaquaeque scilicet in genere suo; ergo unumquodque istorum trium potest dici esse aliqualiter causa individuationis rei seu unitatis numeralis ipsius. […] Et quia omnis forma substantialis recipitur in materia quanta, per quam quantitatem materia omnis est haec, idcirco dicitur etiam quantitas esse aliqualiter causa scilicet sine qua non, individuationis, quamvis etiam possit dici quantitas esse principium unitatis numeralis quae pertinet ad genus quantitatis quae est principium numeri, et individuationis quae dicit indistinctionem quantitativam in se et distinctionem ab alio, non autem substantialis unitatis seu indistinctionis in se et distinctionis ab alio19.
Giovanni suddivide i quattro princìpi in due gruppi di cause: da una parte ci sono le cause estrinseche, le quali rinviano a elementi esterni rispetto all’essenza dell’ente, dall’altra le cause intrinseche, le quali rinviano invece a elementi interni alla composizione dell’ente. Causa estrinseca è l’agente, cioè la causa efficiente; materia e forma sostanziale, invece, sono indicate da Giovanni come cause intrinseche all’essenza di una sostanza composta. Anche la quantità svolge una determinata funzione nell’individuazione delle sostanze composte: consente alla materia di essere divisa in una molteplicità di parti, e di ricevere la forma. In questo modo, è possibile per una stessa forma essere contratta in parti materiali diverse, e dunque moltiplicarsi dal punto di vista numerico. Questo processo sta alla base della composizione delle sostanze materiali, nelle quali la forma sostanziale è sempre ricevuta nella materia che si è moltiplicata grazie alla quantità (è ricevuta nella materia quanta). In particolare, per Giovanni, la quantità è la causa sine qua non dell’individuazione delle sostanze composte. Unitamente alle cause intrinseche e a quella estrinseca, la quantità è, cioè, la condizione indispensabile affinché le sostanze composte siano separate numericamente. Essa non può dirsi propriamente causa intrinseca, poiché, in virtù del suo essere un accidente inerente alla materia, contribuisce all’individuazione della sostanza solo in modo indiretto e secondario, non costituendo parte dell’essenza delle sostanze composte. Per questo stesso motivo, sembra che, per Giovanni, la quantità possa, in un certo senso, essere definita causa estrinseca, oltre che dispositiva, dell’individuazione20.
La numerabilità delle sostanze composte dipende dunque dall’unione tra la materia quanta, cioè estesa e avente delle dimensioni, e la forma sostanziale. La materia in quanto tale, priva di estensione, non sembra essere sufficiente per la diversificazione numerica delle sostanze materiali. Infine, rileviamo l’affermazione di Giovanni secondo la quale la forma sostanziale viene sempre ricevuta in una materia quantificata (omnis forma substantialis recipitur in materia quanta), che costituisce il motivo per cui la quantità è descritta come condizione necessaria per l’individuazione delle sostanze composte. Il testo non ci consente di stabilire che cosa significhi, per Giovanni, il fatto che la materia sia già quantificata al sopraggiungere della forma sostanziale. Non sappiamo, ad esempio, se l’estensione della materia che precede la forma sostanziale dipenda da un’ulteriore forma, e, in tal caso, che tipo di forma essa sia e in che rapporto si trovi rispetto alla forma sostanziale. Si pone dunque il problema di quante e quali forme siano presenti nella materia di una sostanza composta, problema che però Giovanni non approfondisce nel prosieguo della questione21.
Nel suo saggio, Stella non si sofferma sui quattro princìpi che, secondo Giovanni, sono responsabili dell’essere e quindi dell’individuazione di una sostanza. Si interessa piuttosto dell’analogia posta da Giovanni tra essere e unità numerica, sostenendo che egli se ne serva per introdurre una distinzione tra una unità “trascendentale”, a tutti gli effetti convertibile con l’essere della sostanza, e una unità “numerica”, causata dall’accidente della quantità. In effetti Giovanni, come avremo modo di vedere, si riferisce a una unità sostanziale e a una unità accidentale. A mio avviso, tuttavia, egli non è interessato tanto a sottolineare la dicotomia tra due diversi tipi di unità numerica, quanto, piuttosto, a rendere conto delle funzioni svolte dai diversi princìpi dell’individuazione. In altre parole, l’intento ultimo di Giovanni mi sembra quello di tenere insieme tutti i princìpi da lui identificati, per dare una spiegazione complessa e completa al problema dell’individuazione.
Quanto al rilievo dei diversi princìpi, nel corso della trattazione Giovanni evidenza a più riprese la rilevanza particolare che assumono la materia e la forma nell’individuare un ente, in virtù del primato ontologico della sostanza sugli accidenti:
Sortes et Plato differant numero non solum accidentali qui est in genere quantitatis sed etiam substantiali qui est de transcendentibus. Quamvis ergo primae unitatis et pluralitatis possit dici causa quantitas divisa vel indivisa, non tamen secundae, haec enim oportet quod sit per aliquid pertinens ad genus substantiae sicut et divisio vel unitas generis vel speciei substantiae est per aliquid pertinens ad genus substantiae cum omnes tres unitates et pluralitates sint substantiales. Et confirmatur haec ratio quia subtracta omni quantitate per intellectum adhuc Sortes et Plato possunt intelligi distincti numero substantiali per proprias materias et formas substantiales22.
Da ciò possiamo concludere che gli elementi che svolgono la funzione più rilevante dal punto di vista ontologico sono quelle che, nella dottrina di Tommaso, sono le “componenti” dell’essenza, cioè la materia e la forma, dalle quali dipende infatti l’unità numerica cosiddetta sostanziale.
Stabilite quali sono le cause dell’individuazione, è utile esaminare una sezione che Giovanni dedica alla materia, situata nella quinta questione del terzo Quodlibet di Giovanni, e poi ripresa nuovamente nella sesta questione del settimo Quodlibet. Si tratta di una sezione importante, che non è stata presa in considerazione da Stella. Questa trattazione contribuisce a comprendere come la materia debba essere intesa, e quale sia il suo ruolo, nel concorrere all’individuazione delle sostanze composte. Chiarisce, inoltre, il ruolo della forma sostanziale. Giovanni discute l’unità della materia e le accezioni in cui tale espressione è così intesa, al fine di chiarire quale sia l’accezione di unità della materia utile a stabilire l’unità numerica di una sostanza. Egli distingue tre accezioni di unità della materia: la materia come unità potenziale, come unità attuale sostanziale, e come unità attuale accidentale. A seguire, la riflessione di Giovanni:
Intelligendum tamen quod triplex unitas est materiae scilicet potentialis, quae est etiam essentialis, secundum quam dicitur quod eadem est materia omnium generabilium et corruptibilium; et actualis substantialis quam habet a forma substantiali, et haec sola sufficit ad unitatem numeralem compositi aliter homo in quo continue materia fluit et refluit non esset per totam vitam idem numero, unde idem homo numero esset Petrus, cuicumque materiae anima eius in resurrectione uniretur. Tertia unitas materiae est actualis accidentalis quam habet a dimensione interminata, secundum quam dicitur quod eadem est materia generati et corrupti23.
Secondo la prima accezione, la materia è una unità potenziale, anche definita essenziale. Qui la materia è intesa come materia prima, ossia pura potenza rispetto a qualsiasi forma, e, in quanto pura potenza, essa è unica e comune a ogni sostanza soggetta a generazione e corruzione. La materia è poi considerata come unità attuale, accezione che si suddivide a sua volta in due. In un primo caso, la materia è una unità attuale sostanziale, cioè una unità che è tale in virtù di una forma sostanziale con la quale la materia si unisce a formare il sìnolo. La materia sembra qui considerata indipendentemente dall’accidente della quantità, e, a prescindere da quale materia si tratti, l’unità numerica del composto è identificata dalla forma. Nel secondo caso (riportato da Giovanni come terza accezione), invece, si parla di unità attuale accidentale: la materia è qui considerata entro le dimensioni indeterminate (dimensio interminata), che sono conferite dalla quantità, e che permettono di riferirsi numericamente a una stessa sostanza materiale, a partire dalla sua generazione sino al momento della sua corruzione. Quest’ultima accezione indica dunque gli individui particolari, comprendendo non solo la loro essenza composta di forma e materia, ma anche le loro dimensioni.
Ora, secondo Giovanni, per poter stabilire l’unità numerica di una sostanza è sufficiente considerare la seconda accezione di unità della materia (unitas actualis substantialis), la quale identifica il composto di materia e forma sostanziale, a prescindere dalle sue dimensioni. Giovanni riafferma tale conclusione nella sesta questione del settimo Quodlibet, utilizzando le tre accezioni di unità della materia già elencate precedentemente24. In tale questione, Giovanni si chiede se un individuo, ad esempio Pietro, rimanga il medesimo individuo dal punto di vista numerico qualora la sua anima si unisca a una materia differente, ad esempio a quella di un altro uomo, Paolo, oppure alla materia di una pietra. Ora, poiché, come anticipato, è sufficiente la seconda accezione di unità della materia (l’unità numerica conferita alla materia, qualsiasi essa sia, dalla forma sostanziale che riceve) affinché ci si possa riferire numericamente a uno stesso individuo, ciò significa che Pietro, in virtù della propria anima (la sua forma sostanziale), resterà il medesimo individuo, dal punto di vista numerico, sia nel caso in cui la sua anima informi il corpo di Paolo, sia nel caso in cui essa informi la materia di una pietra25.
Prima di giungere a tale conclusione, nel corso della quaestio, Giovanni fornisce due accezioni di unità numerica riferite alle sostanze composte: unità attuale (unitas actualis) e unità essenziale (unitas essentialis). L’esame di tali accezioni consente a Giovanni di stabilire con maggiore chiarezza le funzioni della forma sostanziale e della materia nell’individuazione delle sostanze composte. Riportiamo di seguito il passo nel quale Giovanni illustra le due accezioni di unità numerica, e ciò che ne consegue per quanto riguarda l’individuazione delle sostanze composte:
Forma est causa unitatis numeralis rei, sed non sola sed in ipsa materia; forma etiam dicitur magis ens et unum scilicet actuale, quam compositum ex materia et forma, quia forma dat entitatem actualem composito et non e contrario, et est una unitate simplicitatis, compositum autem est unum unitate compositionis; compositum etiam non dicitur unum actualiter nisi per unitatem actualem formae. Sed ad unitatem compositi essentialem, quae est aggregata ex potentiali et actuali concurrunt ut causae intrinsecae forma et materia. Materia et habet indivisionem a forma, et est haec a forma, et forma a materia; et similiter individuum est hoc actualiter per solam formam et non per materiam, sed essentialiter est hoc per utrumque26.
Qui Giovanni evidenzia l’importanza tanto della forma sostanziale, quanto della materia, nel rendere individuata una sostanza composta. La forma svolge una doppia funzione. La prima funzione consiste nell’essere responsabile dell’attualità di una sostanza composta individuata. Questo fa sì che, per Giovanni, la forma possa essere maggiormente definita ente e uno rispetto al composto di materia e forma, sia perché è impossibile affermare il contrario – cioè che il composto attualizzi la propria forma –, sia perché la forma è semplice, al contrario del composto, e corrisponde dunque a una unità semplice (est una unitate simplicitatis). La seconda funzione della forma è conferire alla materia, con la quale forma il sìnolo, la proprietà di essere individuata, cioè di renderla indivisibile da un punto di vista sostanziale, oltre a determinarla essenzialmente. Al contempo, però, anche la materia svolge una propria funzione, cioè quella di contrarre la forma, di “limitarla” entro la materia rendendola a sua volta indivisibile.
Ora, la seconda funzione svolta dalla forma e la funzione che compete alla materia concorrono a rendere la sostanza composta un individuo inteso come una unità essenziale, essendo forma e materia le due componenti della sua essenza. La forma, invece, nell’esplicare la sua prima funzione, ossia attualizzare la sostanza in cui è ricevuta, è di per sé responsabile dell’altro tipo di unità numerica, l’unità attuale. Occorre dunque concedere che la sostanza composta è un individuo in atto grazie alla sola forma, ma, dal punto di vista dell’essenza, essa è un individuo in virtù della cooperazione tra la materia la forma sostanziale. Le tre accezioni di unità della materia, viste precedentemente, invece, servono a Giovanni per chiarire quali siano i sensi di materia coinvolti nell’individuazione, in cooperazione con la forma, e quale senso, invece, non debba essere preso in considerazione (la materia determinata dalle dimensioni conferite dalla quantità).
3. Dottrine a confronto: Giovanni di Napoli, Enrico di Gand, Goffredo di Fontaines e Pietro d’Alvernia
Come si è accennato, Stella ha messo in luce alcune corrispondenze tra la dottrina di Giovanni e quelle di autori del XIII secolo come Enrico di Gand, Goffredo di Fontaines e Pietro d’Alvernia. In questa sede, illustreremo i principali aspetti delle dottrine di questi autori, allo scopo di decretare se quelle individuate da Stella possano essere con maggiore probabilità annoverate tra le fonti utilizzate da Giovanni.
I punti principali su cui ci soffermeremo saranno i seguenti: l’individuazione intesa come una doppia negazione e come essere degli enti, nella dottrina di Enrico di Gand; la forma sostanziale come principio di individuazione primario per Goffredo di Fontaines; l’individuazione descritta da Pietro d’Alvernia, nelle Questioni sulla Metafisica, come relazione, e successivamente, nel secondo Quodlibet, come causata in modo principale dalla forma sostanziale.
3.1 Enrico di Gand
Enrico di Gand, filosofo belga e maestro di teologia a Parigi dal 1276 al 1292, ha dedicato al tema dell’individuazione due questioni: la quaestio 8 del secondo Quodlibet e la quaestio 8 del quinto Quodlibet27. La riflessione di Enrico è incentrata sulle sostanze separate, motivo per cui la forma è posta al centro della discussione, ed è l’oggetto proprio dell’individuazione. Nell’ottava quaestio del secondo Quodlibet («Utrum possint fieri a Deo duo angeli solis substantialibus distincti»), Enrico afferma che la materia e la quantità non sono la praecisa ratio dell’individuazione28. Egli non rifiuta del tutto la dottrina aristotelica incentrata sul ruolo della materia; piuttosto, ne sottolinea la portata limitata, in quanto essa esclude le sostanze separate dal discorso sull’individuazione29. Nel caso delle sostanze separate, il principio di individuazione consiste in quella che Enrico chiama sussistenza (subsistentia)30. La forma sostanziale non è il soggetto primario, ossia non costituisce il principio d’individuazione, bensì è l’oggetto dell’individuazione (è ciò che viene limitato e contratto); il principio, invece, è rappresentato dalla distinzione intenzionale che intercorre tra la possibilità di sussistenza e il suppositum (l’unità) in cui si attua tale sussistenza. Nelle sostanze spirituali, la relazione tra un suppositum e la sua sussistenza, o esistenza31, non è presente in virtù di loro stesse, come avviene invece nel caso di Dio. Deve quindi subentrare una causa esterna ed efficiente, che corrisponde a Dio, in quanto causa dell’esistere in atto di tutte le creature32.
Nell’ottava quaestio del Quodlibet V, Enrico individua un’ulteriore causa responsabile dell’individuazione delle sostanze, ossia un principio che non aggiunge qualcosa di reale all’ente, bensì ha natura intenzionale, cioè mentale, e consiste in una doppia negazione. Essa esclude, da una parte, la divisibilità della forma, ovvero la sua moltiplicazione in ulteriori sostanze, e, dall’altra, l’identificazione della forma con altre forme della medesima specie33.
In questo modo, Enrico delinea due strade diverse ma complementari per risolvere il problema dell’individuazione delle sostanze separate, che vedono coinvolti princìpi di natura diversa. La prima strada descrive un principio di tipo positivo, ossia la sussistenza o esistenza che tali sostanze hanno a opera di un agente esterno, cioè Dio. La seconda strada, invece, descrive un principio di tipo negativo: l’esclusione di ogni divisione per le forme, essendo esse di per sé indivisibili, e l’esclusione di ogni identità rispetto ad altre forme.
Nella ricostruzione di Stella, l’influenza di Enrico sulla concezione di Giovanni è riscontrabile nell’individuazione intesa come doppia negazione, sulla base dell’assunto condiviso da Giovanni per cui l’individuazione di una sostanza consiste nella sua non divisibilità interna e nella sua divisibilità rispetto alle altre sostanze. Tuttavia, come visto nell’esame della dottrina di Giovanni, le due negazioni a cui Giovanni fa riferimento sembrano essere piuttosto riprese dalla concezione di Tommaso d’Aquino riguardo la definizione di essere uno. La concezione dell’individuazione come una doppia negazione sembra dunque dovuta a un recupero dei testi di Tommaso, sebbene non si possa escludere del tutto un’influenza anche da parte di Enrico. Si può tuttavia evidenziare, come nota Stella, che la metafisica nella quale si innesta la concezione di Enrico non viene accolta da Giovanni. Le premesse metafisiche che Enrico pone sono molto distanti da quelle poste da Giovanni. Per il filosofo belga, l’individuazione è un processo responsabile della contrazione delle forme, le quali in sé sono il principio comune e universale a ogni specie, e hanno bisogno di qualcosa d’altro che le determini entro le sostanze. Al contrario, nella concezione di Giovanni, la forma è una delle cause responsabili dell’individuazione delle sostanze, e concorre a essa anziché esserne l’oggetto primario. Enrico, inoltre, discute il tema dell’individuazione a partire dalle sostanze separate, e per questa ragione non considera l’elemento materiale. Giovanni, invece, in entrambe le questioni quodlibetali, si occupa delle sostanze corporee, le quali richiedono che siano incluse materia e quantità nella risoluzione del problema.
3.2 Goffredo di Fontaines
Goffredo di Fontaines tratta il tema dell’individuazione nella quaestio 16 del sesto Quodlibet e nella quaestio 5 del settimo Quodlibet34. Nella quaestio 16, Goffredo fornisce la stessa definizione di unità enunciata da Giovanni, secondo la quale essere una unità significa non essere divisi in se stessi, ed essere, invece, divisi dalle altre sostanze. Goffredo intende l’unità numerica in due sensi distinti: nel senso più ampio dell’espressione, essa è convertibile con l’essere dell’ente e, poiché un ente deve il proprio essere in atto alla forma sostanziale, quest’ultima è anche il principio del suo essere un individuo; in senso stretto, invece, l’unità numerica dipende dalla divisione della materia a opera della quantità35. La forma è dunque il principio formale dell’individuazione delle sostanze36, mentre la quantità, per quanto riguarda le sostanze materiali, ha la funzione di predisporre la materia di cui è accidente a ricevere la forma sostanziale che renderà la sostanza esistente in atto. La quantità è dunque un principium dispositivum necessario, ma che, considerato singolarmente, non è sufficiente a spiegare il modo in cui avvenga l’individuazione delle sostanze37.
Per Goffredo, dunque, il principio di individuazione coincide, in ultima analisi, con la forma sostanziale. La quantità gioca un ruolo in quanto predispone una certa porzione di materia a essere soggetto di una forma; la materia è invece causa materiale dell’individuazione, mentre l’agente che produce tale sostanza è causa efficiente38. Tale conclusione sembra essere affine a quella di Giovanni, aspetto che Stella sottolinea fortemente, arrivando a indicare la posizione di Goffredo come fonte principale di Giovanni. Questa conclusione non è tuttavia certa. Giovanni non dà l’impressione di voler assegnare alla forma sostanziale il ruolo primario nell’individuazione delle sostanze, quanto di voler descrivere le diverse funzioni delle cause dell’individuazione. Stella compie un passo ulteriore: segnalando l’aderenza di Giovanni alla linea filosofica di Goffredo, afferma che Giovanni abbandona l’insegnamento di Tommaso, perché vi è una incompatibilità tra la posizione di Goffredo e quella di Tommaso. Anche questa conclusione non è sicura. Giovanni non sembra tanto volersi distanziare dalla concezione di Tommaso, per seguire posizioni di altri autori inconciliabili con il suo insegnamento, quanto piuttosto reinterpretare il pensiero di Tommaso, alla luce dei tentativi di riflessione fioriti tra gli autori domenicani dopo la sua morte. Proveremo questo punto nella quarta sezione, quando considereremo la letteratura dei Correctoria come possibile fonte della posizione di Giovanni.
3.3 Pietro d’Alvernia
Concludiamo la ricostruzione con la dottrina di Pietro d’Alvernia, il quale fu probabilmente allievo di Enrico di Gand e di Goffredo di Fontaines39. Pietro si occupa dell’individuazione nella quinta quaestio del Quodlibet II e nelle Questioni sulla Metafisica.
Mentre nelle Questioni sulla Metafisica Pietro aveva sostenuto che il principio di individuazione era una relazione (respectum), e in particolare la relazione tra sostanza e causa efficiente40, nella quinta questione del secondo Quodlibet, Pietro, come Goffredo, distingue due concezioni di unità numerica: unità numerica in senso stretto, causata dalla quantità, e individuazione, causata dalla forma. Egli giunge anche alla medesima conclusione su quale sia il principio di individuazione, attribuendo un ruolo centrale alla forma sostanziale, nel definirla principio di individuazione per se41. La posizione ultima di Pietro sull’individuazione sembra dunque aver accolto le principali conclusioni a cui era giunto Goffredo di Fontaines.
L’aspetto che, per Stella, avrebbero in comune la concezione di Pietro e quella di Giovanni è la segnalazione di una molteplicità di elementi coinvolti nell’individuazione delle sostanze42. A mio avviso, dalla lettura della quinta questione del secondo Quodlibet di Pietro, i punti di contatto sono presenti, piuttosto, rispetto alla concezione di Goffredo. Entrambi gli autori operano una distinzione tra unità numerica in senso stretto e individuazione, e condividono la medesima conclusione, indicando come princìpi, responsabili rispettivamente dell’una e dell’altra, la quantità e la forma sostanziale, con una priorità attribuita a quest’ultima43. Giovanni, invece, come si è visto, pone l’attenzione su una effettiva pluralità di princìpi: agente, quantità, materia e forma sostanziale.
Come si è già accennato, il saggio di Stella è di grande rilevanza per l’argomento qui in questione, in primo luogo, per aver fornito una prima edizione delle questioni di Giovanni sull’individuazione delle sostanze. Oltre a ciò, fornisce alcune linee guida per orientarsi nel dibattito del tempo, accennando a un primo confronto tra la dottrina di Giovanni e quelle degli autori appena esaminati. Si è tuttavia reso necessario verificare le analogie proposte da Stella, per fare chiarezza sulla attendibilità delle fonti da lui individuate.
Alla luce dell’analisi delle dottrine di questi autori, appare difficile sostenere una loro influenza diretta sulla concezione di Giovanni. Rispetto alla concezione di Enrico di Gand, non è possibile affermare con certezza che Giovanni condivida la nozione di “doppia negazione” per descrivere il principio di individuazione. La posizione di Goffredo di Fontaines è quella che più si avvicina alla formulazione di Giovanni, sia quanto alla definizione di unità numerica, sia quanto all’identificazione di tre cause dell’individuazione (causa formale, causa materiale e causa efficiente) e della quantità come causa dispositiva. Tuttavia, Giovanni non isola, come Goffredo, la forma sostanziale come principio di maggiore rilevanza. Infine, Pietro d’Alvernia evidenzia il ruolo della quantità e, in particolare, quello della forma, e non si è dunque riscontrata, come suggeriva Stella, la delineazione di una molteplicità di princìpi equivalente a quella presente nella trattazione di Giovanni.
Ciò che ci proponiamo di fare nella prossima sezione è indagare la letteratura dei Correctoria, la quale si situa negli ultimi decenni del XIII secolo, a seguito delle condanne dottrinali del 1277 che avevano visto coinvolte alcune tesi di Tommaso d’Aquino. Riteniamo essenziale prendere in esame la letteratura dei Correctoria, in quanto si tratta di una tradizione letteraria molto importante per i discepoli di Tommaso, la prima che si è delineata dopo la sua morte e che ha contribuito, tra i domenicani, a dare luogo a una tradizione e a un senso di appartenenza comuni. Tale letteratura mirava a fornire la migliore interpretazione possibile del pensiero di Tommaso, cercando al contempo di scagionarlo dalle condanne dottrinali e dalle critiche presenti nel Correctorium fratris Thomae del francescano Guglielmo de la Mare. I Correctoria costituiscono così un punto di riferimento significativo per il formarsi di uno spirito d’appartenenza tomista, e, come vedremo nella sezione successiva, risultano una buona fonte per la definizione della posizione di Giovanni sull’individuazione.
4. I Correctoria e Giovanni di Napoli
Tra i cinque trattati in difesa delle tesi dell’Aquinate, prendiamo qui in considerazione il Correctorium corruptorii. Sciendum, attribuito al domenicano inglese Roberto di Orford e composto circa tra il 1282 e il 128344. Diversamente dagli altri Correctoria, quello di Roberto contiene infatti numerose affinità ed espressioni analoghe rispetto al testo di Giovanni, sebbene non sia da escludere un’influenza generale da parte dell’intera letteratura dei Correctoria sulla concezione di Giovanni sull’individuazione45.
Nella soluzione dell’articolo 29 («Utrum in substantiis incorporeis possit esse diversitas secundum numerum absque diversitate secundum speciem») fornita da Roberto, si trovano molteplici elementi che costituiscono la concezione di Giovanni, e che sono, di fatto, elementi comunemente presenti tra i teologi domenicani all’inizio del XIV secolo46. Andiamo a esaminarli dal passo che segue:
Cum ens et unum convertantur, a quo res habet esse ab eo habet unitatem. Unum autem est ens in se indivisum et divisum ab aliis; eo autem quod aliquid ab aliis dividitur, eo et individuatur; igitur a primo ad ultimum, eo quo est ens et unum eo individuatur. Sed res composita ex materia et forma, de qua nunc est sermo, constituitur in esse per materiam et formam; nam materia et forma sunt causae intrantes constitutionem rei. Sed a forma unde forma non individuatur, quia forma unde huiusmodi communis est, sicut obiectum est. Igitur a forma ut est in materia. Sed non ut est in materia speciei, quia illa communis est; igitur ut est in materia individui quae habet rationem primi subiecti; prima enim substantia dicitur quae proprie et principaliter et maxime substare dicitur; primum autem subiectum quod in alio recipi non potest. Materia vero et forma mutuo se coarctant; materia enim antequam recipiat formam est in potentia ad multas, sed cum recipit unam terminatur per illam; similiter forma in se considerata communis est ad multa, sed per hoc quod recipitur in materia fit determinatae huius rei47.
Roberto di Orford afferma in primo luogo l’assunto aristotelico secondo il quale l’essere e l’essere uno sono convertibili48, motivo per cui i princìpi che spiegano l’essere di una sostanza sono gli stessi che ne spiegano l’unità. Inoltre, definisce l’uno un ente in se indivisum et divisum ab aliis. Ora, poiché Roberto si sta riferendo alle sostanze materiali, e queste sono composte da materia e forma, sia la materia sia la forma sono causae intrantes, cause interne alla costituzione della sostanza. Ci aspettiamo, dunque, che esse siano anche cause dell’unità numerica, per la convertibilità tra l’essere e l’essere uno. Una volta stabilito che materia e forma sono le cause interne dell’essere e dell’individuazione, Roberto spiega in che modo la materia e la forma contribuiscono a individuarsi reciprocamente: entrambe, considerate a sé stanti, sono elementi comuni a tutte le sostanze e non sono quindi in grado di caratterizzare i singoli individui. Così la materia, nel momento in cui riceve una forma, viene determinata da questa; la forma, di per sé comune a molte sostanze, nel determinare la materia diviene a sua volta forma determinata limitatamente a quella materia. Roberto introduce poi le nozioni di causa intrinseca e causa estrinseca, inaugurando una nuova terminologia per riferirsi ai princìpi che causano l’essere delle sostanze, utile dunque anche per classificare i princìpi di individuazione:
Si igitur de causa quaeratur extrinseca, sic agens est causa individuationis. Si de causa intrinseca, sic est distinguendum; quia vel est loquendum de causa per se vel de causa sine qua non. Si de causa per se, sic materia individui, quae habet rationem primi subiecti, est causa individuationis. Sed quia materia non invenitur distincta a materia nisi prout est sub quantitate dimensiva, ideo concomitanter est individuatio a quantitate sicut a causa sine qua non, quod erat alium membrum distinctionis, non autem per se; sic autem a materia et forma49.
La causa estrinseca dell’individuazione è costituita dall’agente che attualizza la potenzialità della materia. La causa intrinseca è distinta in causa per se e causa sine qua non. La causa per se è la materia individuale, la quale è il risultato della reciproca contrazione operata dalla materia e dalla forma, come descritto sopra. La causa sine qua non, invece, è identificata con la quantità: questa è condizione concomitante e necessaria per l’individuazione, in quanto soltanto la materia racchiusa entro le dimensioni conferitele dalla quantità può a tutti gli effetti essere distinta da altre porzioni di materia, e quindi essere individuata.
Alla luce dei passi rinvenuti nel Correctorium corruptorii. Sciendum, ricapitoliamo gli elementi-chiave per i quali il Correctorium di Roberto di Orford potrebbe costituire la fonte primaria cui Giovanni ha attinto per elaborare la propria posizione. Innanzitutto, Giovanni condivide con Roberto la tesi secondo la quale i princìpi dell’essere e dell’unità della sostanza sono gli stessi, tesi riconducibile all’equivalenza tra essere ed essere uno, in quanto sua conseguenza. Anche la definizione di unità numerica è la stessa, di matrice tommasiana, secondo la classica definizione con cui Tommaso d’Aquino definisce cosa significhi essere uno. Segue poi la descrizione dei rispettivi ruoli di materia e forma nell’individuarsi vicendevolmente: nell’opera di Roberto, è accuratamente spiegato il processo per cui materia e forma possono essere considerate in quanto comuni a tutte le sostanze, oppure in quanto particolari. Quest’ultima condizione si ha quando, nell’incontro tra una materia e una forma sostanziale, la materia viene determinata dalla forma, e la forma viene limitata entro quella materia. Nella quinta quaestio del terzo Quodlibet di Giovanni, tale processo è descritto più concisamente, ma è comunque presente50.
Vi è, infine, la classificazione dei princìpi di individuazione in cause estrinseche e cause intrinseche, che Giovanni ugualmente riprende. Egli concorda sul fatto che l’agente costituisca la causa estrinseca dell’individuazione; tuttavia, nella trattazione di Giovanni, non è presente la suddivisione ulteriore della causa intrinseca in causa per se e causa sine qua non, laddove, per Roberto, la causa per se è la materia individuale e la causa sine qua non è la quantità. Abbiamo visto, però, che anche per Giovanni la quantità è la causa sine qua non dell’individuazione sostanziale, ossia una condizione necessaria per la materia affinché questa sia predisposta ad accogliere la forma sostanziale ed essere determinata da essa. Tuttavia, per Giovanni la quantità non è collocabile tra le cause intrinseche, ma, piuttosto, come afferma nella sesta quaestio del settimo Quodlibet, è aliqualiter causa extrinseca51. Inoltre, una distinzione che Giovanni sembra adottare, diversamente da Roberto, è quella tra una unità propriamente quantitativa, a opera della quantità, e una unità da lui definita sostanziale52, che non è conferita dall’accidente della quantità, ma, probabilmente, soltanto dall’unione di materia e forma sostanziale, ossia, dall’essenza.
Conclusioni
Per risolvere il quesito sul principio di individuazione, Giovanni sembra essersi affidato in gran parte alla soluzione che era stata data da Roberto di Orford nel suo Correctorium. In particolare, ha adottato la sua terminologia circa i tipi di cause, intrinseche ed estrinseche, identificabili con i princìpi di individuazione, e ha fornito una descrizione diversificata delle funzioni di agente, forma sostanziale, materia e quantità. La soluzione di Roberto al problema dell’unità numerica può essere stata interpretata da Giovanni come il miglior “compendio” di informazioni tratte dalla concezione di Tommaso d’Aquino, unite in un’unica spiegazione volta a determinare una soluzione il più possibile generale al problema dell’individuazione, illustrativa della cooperazione tra i princìpi coinvolti, e attuabile rispetto a diversi tipi di sostanze. Riguardo questo ultimo punto, tuttavia, nelle questioni quodlibetali in cui Giovanni discute l’individuazione è assente una trattazione sulle sostanze separate, per cui, di fatto, la sua soluzione riguarda soltanto le sostanze composte.
Al confronto con le dottrine di Enrico di Gand, Goffredo di Fontaines e Pietro d’Alvernia, è stato invece possibile escludere un’influenza diretta di questi autori sulla posizione assunta da Giovanni53. Sembra dunque che la posizione di Giovanni collochi le sue radici nella tradizione domenicana del primo tomismo, rappresentata dalla letteratura dei Correctoria.
Aspetto che resta da chiarire, nella concezione di Giovanni, riguarda la classificazione della quantità entro le cause estrinseche dell’individuazione – aspetto che Giovanni non può aver ripreso dall’articolo 29 di Roberto di Orford, dove la quantità è considerata causa sine qua non, un sottogruppo delle cause intrinseche, né può aver ripreso dagli altri Correctoria, in quanto non discutono la questione. Ora, notoriamente le cause estrinseche sono quella efficiente e quella finale, ossia le cause che non hanno a che fare con l’oggetto di cui sono causa; le cause intrinseche, invece, sono la causa materiale e la causa formale, e sono determinanti rispetto all’oggetto di cui sono causa. Secondo la tesi aristotelica delle quattro cause, la quantità non coincide con nessuna di esse: essa è un accidente che può inerire alla materia, rendendola estesa e dotata di dimensioni. In virtù di tale capacità, la quantità fornisce un contributo necessario all’individuazione della sostanza, consentendo alla materia di dividersi in porzioni e ricevere la forma sostanziale. Potremmo quindi concedere – come sembra fare Roberto di Orford quando definisce la quantità causa sine qua non all’interno delle cause intrinseche – che la quantità sia una sorta di causa intrinseca, anche se in modo puramente indiretto, dal momento che è accidente di una delle componenti dell’essenza delle sostanze composte. È invece più complesso concedere che la quantità sia una causa estrinseca, perché, in quanto tale, dal punto di vista aristotelico, essa dovrebbe identificarsi con la causa efficiente o con la causa finale. La quantità, però, con il ruolo di predisporre la materia a ricevere la forma, non svolge la funzione né di un agente esterno né di un fine.
Tale considerazione del principio della quantità sembra essere dunque un aspetto originale della concezione di Giovanni, rispetto alle dottrine esaminate, e, se l’interpretazione data è corretta, esso solleverebbe una difficoltà relativa alla sua collocazione tra le cause estrinseche dell’individuazione delle sostanze composte.
Infine, ulteriori elementi di cui non ho trovato riscontro nelle opere poste a confronto, sono la trattazione sui sensi di unità della materia, e quella che descrive due diversi modi di intendere l’unità numerica (unitas actualis e unitas essentialis). Nella prima trattazione, Giovanni approfondisce lo studio della materia, per decretare in quali sensi debba essere intesa la materia che contribuisce all’individuazione delle sostanze composte. Nella seconda, l’attenzione è posta sulla forma sostanziale che, svolgendo una doppia funzione (ossia attualizzare la materia e determinarla), si rende responsabile in due modi diversi dell’individuazione della sostanza.
Questi approfondimenti chiariscono ancora una volta l’intento di esaustività di Giovanni, nel rendere conto della complessità del problema sull’individuazione, e nell’investigare con più precisione possibile le sfumature di significato delle espressioni in gioco. Giovanni contribuisce così a rendere più comprensibili i ruoli dei princìpi di individuazione, e le accezioni con le quali essi devono essere considerati tali.
Note
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Sulla questione del tomismo, si rimanda ai seguenti studi: Grabmann 1923, pp. 97-143; Roensch 1964; Courtenay 1987; Robiglio/Ghisalberti-Petagine-Rizzello 2005, pp. 197-216; Hoenen-Imbach-König-Pralong 2010, pp. 227-44; Iribarren/Lagerlund 2020, pp. 1919-27.
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Sul tema del principio di individuazione nel medioevo si vedano le seguenti opere: Gracia 1994; King 2000, pp. 159-84; Pickavé/Schabel 2007, pp. 17-79; Glowala 2016.
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Cfr. Stella 1951, pp. 129-66.
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Per le informazioni biografiche su Giovanni di Napoli, si vedano: Grabmann 1923, pp. 97-143; Glorieux 1925; Kaeppeli 1975, pp. 495-98; Turley 1975, pp. 71-101; Kelly 2003; Friedman/Schabel 2007, pp. 401-92; Nold/Courtenay-Emery-Metzger 2012, pp. 629-75; Canaccini 2018, pp. 161-72; Schut 2019.
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La cosiddetta controversia dei Correctoria rimanda alla serie di repliche, da parte dei difensori di Tommaso, dirette contro il Correctorium fratris Thomae, uno scritto a opera del francescano inglese Guglielmo de la Mare volto a criticare e confutare alcune proposizioni di Tommaso. Le repliche portano tutte il titolo di Correctorium corruptorii – la correzione di ciò che è corrotto, ossia l’opera stessa di Guglielmo –, e i principali autori coinvolti in tale polemica sono stati Riccardo Knapwell (Correctorium corruptorii. Quare, 1280), Roberto di Orford (Correctorium corruptorii. Sciendum, 1282-1283), Giovanni Quidort (Correctorium corruptorii. Circa, 1282-1284) e Guglielmo di Macclesfield (Correctorium corruptorii. Quaestione, 1284). Inoltre, Ramberto de’ Primadizzi di Bologna scrisse l’Apologeticum veritatis contra Corruptorium (1286-1288). Cfr. Jordan 1982, pp. 292-314.
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La difesa di Tommaso d’Aquino si trova nella quaestio 2 del Quodlibet VI (1317) di Giovanni, intitolata: «Utrum licite possit doceri Parisius doctrina fratris Thomae quantum ad omnes conclusiones eius», cfr. Jellouschek 1925, pp. 73-104.
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March 1927, pp. 152-54 (citato in Nold/Courtenay-Emery-Metzger 2012, p. 640).
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Giovanni di Napoli/Gravina 1618.
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Il manoscritto di Tortosa è il codice 244 dell’Archivio Capitular; quello di Napoli è il ms. BN VII. B. 28 (xiv). Ulteriori manoscritti contenenti parti delle Questioni quodlibetali di Giovanni si trovano a Firenze, Münster, Pamplona, Parigi, Reims, Strasburgo, Tolosa e Venezia. Per l’elenco completo dei manoscritti, cfr. Kaeppeli 1975, pp. 496-97. Per una descrizione accurata dei manoscritti rimasti delle opere di Giovanni, si veda Schut 2019. Riguardo agli studi sulla datazione dei Quodlibeta, si vedano Friedman/Schabel 2007, pp. 457-62, e Nold/Courtenay-Emery-Metzger 2012, pp. 643-44.
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Cfr. Friedman/Schabel 2007, p. 455. I Quodlibeta sono attualmente oggetto di studio approfondito da parte di P. Porro e M. E. Malgieri. È attualmente in corso l’edizione critica dei Quodlibeta di Giovanni di Napoli a cura di P. Porro.
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Nella quaestio disputata 37 è tuttavia presente un riferimento agli angeli e al loro essere specie – elemento che, per Tommaso, costituisce il principio di individuazione delle sostanze spirituali, essendo queste prive della componente materiale. L’intervento di Giovanni è breve, situato nella sezione contenente le risposte agli argomenti riportati al principio, e manca di un approfondimento che chiarisca la sua posizione a riguardo. Sembra, comunque, d’interesse il riferimento allo statuto dell’angelo contrapposto a quello dell’anima, la quale invece non può costituire una specie in sé. Giovanni di Napoli, Quaestiones disputatae, q. 37 (Giovanni di Napoli/Gravina 1618, p. 321 b): «Ad secundum dicendum, quod illud argumentum solvit seipsum; anima enim humana non est composita ex genere, et differentia, non propter suam simplicitatem, sed quia non habet rationem perfectae speciei, sicut Angelus, componi enim ex genere, et differentia est proprium speciei». Quella appena riportata è la risposta all’argomento iniziale che segue, ivi., p. 315 a: «Angelus est simplicior, quam anima humana. Sed anima non est composita ex genere, et differentia. Ergo, nec Angelus. Probatio minoris. Differentia adveniens generi constituit speciem perfectam. Sed anima non est species perfecta, sed pars speciei». Per quanto riguarda il principio d’individuazione delle creature angeliche, si vedano: Suarez-Nani 2002; Suarez-Nani 2005, pp. 405-59.
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Tommaso si è occupato della questione dell’individuazione in molte delle sue opere. Tra queste, menzioniamo le principali: il Commento alle Sentenze, il De ente et essentia, la Summa Theologiae, il Commento al De trinitate di Boezio e la Summa contra Gentiles. Per la concezione di Tommaso d’Aquino sul principio di individuazione, si possono vedere: Degl’Innocenti 1942, pp. 35-81; Wippel 1984; Owens/Gracia 1994, pp. 173-94; Donati 2007, pp. 361-93; Borgo 2013, pp. 83-128; Glowala 2016.
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Stella 1951, pp. 129-66. Nelle pagine che seguono, per le citazioni tratte dalle questioni di Giovanni di Napoli, faremo riferimento all’edizione di Stella.
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Giovanni di Napoli, Quodlibeta, III, q. 5 (Stella 1951, p. 154). Tale affermazione sembra rimandare alla definizione di Tommaso d’Aquino dell’essere uno. Tommaso d’Aquino, Quaestiones disputatae de veritate, q. 1, a. 1 (Tommaso d’Aquino/Fiorentino 2005, p. 120): «Hanc exprimit hoc nomen unum: nihil aliud enim est unum quam ens indivisum. Si autem modus entis accipiatur secundo modo, scilicet secundum ordinem unius ad alterum, hoc potest esse dupliciter. Uno modo secundum divisionem unius ab altero; et hoc exprimit hoc nomen aliquid: dicitur enim aliquid quasi aliud quid; unde sicut ens dicitur unum, in quantum est indivisum in se, ita dicitur aliquid, in quantum est ab aliis divisum».
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Giovanni di Napoli, Quodlibeta, III, q. 5 (Stella 1951, p. 154).
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Per quanto riguarda l’osservazione secondo la quale avrebbe priorità investigare sulle cause di ciò che è universale, anziché sulle cause dell’individuazione, Giovanni sembra aver anticipato una riflessione pressoché identica formulata da Guglielmo di Ockham nella prima Ordinatio delle sue letture sulle Sentenze di Pietro Lombardo. Questa, infatti, risalirebbe al biennio tra il 1317 e il 1319, mentre la questione quodlibetale di Giovanni dovrebbe essere stata discussa precedentemente, nell’anno accademico tra il 1316 e il 1317. Cfr. Pickavé/Schabel 2007, pp. 76-78.
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Giovanni di Napoli, Quodlibeta, VII, q. 6 (Stella 1951, p. 162).
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Ibidem: «Frustra quaeritur quid est causa individuationis seu unitatis numeralis, alia a causa entitatis realis, quia omnis res in sua entitate reali sicut habet intrinsece quod sit ens sic et quod sit una simpliciter, quod est esse unum numero, et quod sit bona et vera et caetera trascendentia». In corsivo si evidenzia l’interrogativo che Giovanni esclude di doversi porre sulle cause dell’individuazione, ossia se esse siano diverse da ciò che causa l’essere della sostanza.
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Giovanni di Napoli, Quodlibeta, III, q. 5 (Stella 1951, p. 155).
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Giovanni di Napoli, Quodlibeta, VII, q. 6 (Stella 1951, p. 163): «Materia autem habet partem et partem secundum distinctionem quantitatis, et ideo quantitas est quasi quaedam causa dispositiva necessario requisita ad introductionem formae in materia, et per consequens est aliqualiter causa extrinseca entitatis realis ipsi composito, et eodem modo est etiam causa extrinseca individuationis ipsius compositi ex materia et forma».
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Sul dibattito relativo alla pluralità o all’unicità della forma sostanziale nelle sostanze, si veda in particolare Zavalloni 1951, a cui rinvio per ulteriori riferimenti bibliografici.
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Giovanni di Napoli, Quodlibeta, III, q. 5 (Stella 1951, p. 153).
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Ivi, p. 156.
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Giovanni di Napoli, Quodlibeta, VII, q. 6 (Stella 1951, p. 165): «Duplex unitas attribuitur materiae scilicet intrinseca et essentialis, secundum quam est potentia de genere substantiae, et quantum ad talem unitatem dicitur esse una materia omnium generabilium et corruptibilium seu invicem transmutabilium, ut patet in primo De Generatione; et alia est superveniens scilicet unitas actualis, et haec est etiam duplex quia quaedam est substantialis, quam scilicet habet a forma substantiali, ratione cuis dicitur esse una materia in uno composito, et quaedam est actualis accidentalis, quam habet a quantitate dimensiva, secundum quam dicitur esse eadem materia generati et corrupti, quia formae eorum substantiales succeduntur sibi in eadem parte materiae; partialitatem autem materia habet a quantitate dimensiva modo supra exposito». Rispetto al passo situato nella quinta questione del Quodlibet III, l’espressione con la quale Giovanni definisce la prima accezione di unità della materia è diversa. Se prima, infatti, essa era stata definita unità potenziale, nel passo appena citato è definita unità intrinseca ed essenziale (unitas intrinseca et essentialis). L’espressione si riferisce tuttavia al medesimo oggetto, ossia la materia intesa come genere comune a tutto ciò che è generabile e corruttibile. Ulteriore elemento da notare è il riferimento a una successione di forme sostanziali all’interno di una stessa materia, nella terza accezione di unità della materia (unità attuale accidentale). Si rimanda a studi futuri l’approfondimento della concezione di Giovanni sull’unicità o la molteplicità delle forme sostanziali. Essendo quest’ultima tesi profondamente distante dalla dottrina di Tommaso d’Aquino, sarebbe di grande interesse verificare la posizione di Giovanni a riguardo.
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Ivi, pp. 165-66: «Sed constat quod si anima Petri uniretur materiae lapidis vel Pauli, esset eadem materia quae post existit sub forma Petri cum praeexistente primo modo identitatis et secundo. Ad unitatem autem numeralem compositi illae duae unitates materiae sufficiunt, nec requiritur tertia […]. Per quod etiam patet consideratio principalis scilicet quod si anima alicuius hominis desineret esse in tota sua materia et de novo uniretur toti alicui alteri materiae, esset idem homo numero qui fuit».
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Ivi, p. 165.
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Su Enrico di Gand e il suo pensiero sul principio di individuazione, si vedano: Enrico di Gand/ Badius Ascensius 1518; Enrico di Gand/Wielockx 1983; Aertsen 1996, pp. 249-65; Pickavé/Wilson 2011, pp. 181-209; Binotto 2018.
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Enrico di Gand, Quodlibeta, II, q. 8 (Enrico di Gand/Wielockx 1983, p. 47): «Patet igitur clarissime quod materia et quantitas non possunt dici praecisa ratio et causa individuationis et distinctionis individuorum eiusdem speciei, licet sunt causa eius in rebus materialibus et corporalibus».
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Cfr. Pickavé 2007/Schabel, p. 26; Pickavé/Wilson 2001, pp. 184-86.
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Enrico di Gand, Quodlibeta, II, q. 8 (Enrico di Gand/Wielockx 1983, p. 50): «Duo angeli in solis substantialibus existentes, posito etiam quod nullum accidens reale differens re ab eorum essentia in se habent, neque scilicet potentiam neque habitum neque aliquid huiusmodi, sunt individualiter distincti hoc solo quod subsistunt in effectu. Ubi extra communitatem essentiae in ambobus subsistere unius non est subsistere alterius, cum unus eorum subsistere posset sine altero. Et sic per hoc ab invicem differunt, quod iste non est ille».
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Secondo M. Pickavé, la sussistenza denota l’esistenza che è propria delle sostanze. Cfr. Pickavé/Schabel 2007, p. 27, nota 36.
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Enrico di Gand, Quodlibeta, II, q. 8 (Enrico di Gand/Wielockx 1983, p. 51): «Ideo causa individuationis eorum prima et efficiens dicendus est Deus, qui dat utrique eorum subsistentiam in effectu et seorsum».
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Enrico di Gand, Quodlibeta, V, q. 8 (Enrico di Gand/ Badius Ascensius 1518, p. 166): «Et est dicendum quod [ratio individuationis proxima] est aliquid extra intentionem formae, concomitans eius productionem vel per agens vel per materiam, vel per utrumque. Quare cum super naturam rei factae, concomitans ipsam ex sua productione non potest esse aliquid positivum et absolutum, quia illud oportet esse factum, et similiter in sua natura esset determinabile sicut et forma […]. Oportet ergo quod sit aliquid negativum aut positivum respectivum; non positivum respectivum quia respectus ille necessario fundaretur in ipsa re ut facta est et ita ut determinata in supposito. Oportet igitur quod sit aliqua conditio negativa, quae quidem negatio non est simplex sed duplex quia est removens ab intra omnem plurificabilitatem et diversitatem et ab extra omnem identitatem».
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Su Goffredo di Fontaines e il suo pensiero sul principio di individuazione, si vedano: Goffredo di Fontaines/De Wulf-Hoffmans 1914, pp. 254-59 e 299-336; Wippel/Gracia 1994, pp. 221-56; Pickavé/Schabel 2007, pp. 43-51.
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Goffredo di Fontaines, Quodlibeta, VII, q. 5 (Goffredo di Fontaines/De Wulf-Hoffmans 1914, p. 325): «Et sic differunt simul essentialiter et accidentaliter et numero essentiali qui consurgit ex multiplicatione unitatum convertibilium cum ente, et numero accidentali qui consurgit ex multiplicatione unitatum non convertibilium quae sunt de genere quantitatis et principium numeri accidentalis qui est quantitas discreta et non est haec differentia sine illa».
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Ivi, p. 257.
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Anche Giovanni, nella sesta quaestio del Quodlibet VII, utilizza un’espressione simile a quella di cui fa uso Goffredo per definire la quantità quel principio in grado di predisporre la materia alla divisione in parti, cosa che è fondamentale per la ricezione della forma sostanziale. Mentre Goffredo parla di principium dispositivum, Giovanni definisce la quantità causa extrinseca et dispositiva. Cfr. Giovanni di Napoli, Quodlibeta, VII, q. 6 (Stella 1951, p. 164).
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Goffredo di Fontaines, Quodlibeta, VII, q. 5 (Goffredo di Fontaines/De Wulf-Hoffmans 1914, p. 329): «Patet ergo quod in materialibus eius quod est esse individuum sive individuationis, id est indivisionis in se et divisionis ab aliis eiusdem speciei, quae solo numero differre dicuntur, causa per se secundum genus causae formalis est forma substantialis […]. Causa vero secundum genus causae materialis est ipsa materia non secundum se, sed ut sub dispositione quantitatis indeterminatae ipsam extendentis existens consequitur potentialitatem divisibilitatis in plures partes eiusdem rationis; et ex hoc etiam possibilitatem ad sic dividi consequuntur omnia quae in materia habent esse. Causa efficiens patet; quia est agens producens ex materia sic disposita et in tali potentia existente aliquid in se indivisum et ab aliis divisum dicto modo».
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Circa il pensiero di Pietro d’Alvernia sul principio di individuazione, si vedano: Pietro d’Alvernia/Hocedez 1934, pp. 355-86; Wippel/Gracia 1994, pp. 221-56; Galle 2000, pp. 53-79; Galle 2005, pp. 87-96; Pickavé/Schabel 2007, pp. 43-51.
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Pietro d’Alvernia, Questioni sulla Metafisica, VIII, q. 25 (Pietro d’Alvernia/ Hocedez 1934, p. 386): «Sic ergo apparet omnibus istis per quid substantia dicitur individua et hoc aliquid, quoniam non per materiam, nec per formam, nec per aliquod accidens, nec universaliter per aliquam rem sibi additam, sed per solum respectum». Cfr. anche Pickavé/Schabel 2007, pp. 50-51, in particolare la nota 109 sul termine respectum e la nozione di relazione.
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Pietro d’Alvernia, Quodlibeta, II, q. 5 (Pietro d’Alvernia/Hocedez 1934, p. 377): «Per hoc apparet principium quid scilicet per se sit principium individuationis substantiae composite quoniam forma per quam subsistit. Ex hoc apparet quod individuum dicit indivisionem in esse, quod est per formam».
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Per il passo di Pietro d’Alvernia e l’osservazione di Stella, si veda Stella 1951, p. 150.
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Pietro d’Alvernia, Quodlibeta, II, q. 5 (Pietro d’Alvernia/Hocedez 1934, pp. 377-78): «De secundo […] numerus autem proprie loquendo causatur ex divisione secundum quantitatem […]. Quare quantitas est per se principium unius secundum numerum proprie loquendo de ipso, sicut forma per quam aliquid existit in natura est principium individuationis»; «Ex his apparet quid sit dicendum ad tertium. Si enim loquamur proprie de uno secundum numerum in genere substantiae, secundum quod unum numero in substantia est unum in numero vel de numero per se, sic non est idem principium per se individuationis in genere substantiae, et unius secundum numerum. Principium autem individuationis per se in genere substantiae est forma, secundum quam indivisa est in plura eiusdem rationis; principium autem unius secundum numerum est quantitas». Una forte influenza da parte di Goffredo di Fontaines sulla trattazione di Pietro d’Alvernia è segnalata anche in Pickavé/Schabel 2007, pp. 44-51.
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Roberto di Orford/Glorieux 1956. Segnaliamo che anche la concezione di Guglielmo di Pietro di Godino, esposta nella Lectura Thomasina, è influenzata dal Correctorium di Roberto di Orford. Si veda Amerini/Speer-Colli-Bonini 2020, pp. 161-189.
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Da un esame degli altri Correctoria è emersa l’assenza di corrispondenze con la concezione di Giovanni. Per approfondire lo studio della letteratura dei Correctoria, si possono vedere: Mandonnet 1913; Glorieux 1927; Glorieux 1928; Creytens 1942; Roensch 1964; Jordan 1982; Burr 1985; Oliva 2005.
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Amerini/Speer-Colli-Bonini 2020, p. 181, nota 29.
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Roberto di Orford, Correctorium corruptorii. Sciendum, a. 29 (Roberto di Orford/Glorieux 1956, p. 124).
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Aristotele, Metafisica, IV, 1003 b 23-1003 b 33 (Aristotele/Reale 2004, pp. 133-35): «Ora, l’essere e l’uno sono una medesima cosa ed una realtà unica, in quanto si implicano reciprocamente l’un l’altro. [...] Infatti, significano la medesima cosa le espressioni ‘uomo’ e ‘un uomo’, e così pure ‘uomo’ e ‘è un uomo’; e non si dice nulla di diverso raddoppiando l’espressione ‘un uomo’ in quest’altra ‘è un uomo’ (è evidente, infatti, che l’essere dell’uomo non si separa dalla unità dell’uomo né nella generazione né nella corruzione; e lo stesso vale anche per l’uno). È evidente, di conseguenza, che l’aggiunta, in questi casi, non fa che ripetere la stessa cosa, e che l’uno non è affatto qualcosa di diverso al di là dell’essere. Inoltre, la sostanza di ciascuna cosa è una unità e non accidentalmente; e, nello stesso modo, essa è anche essenzialmente un essere».
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Roberto di Orford, Correctorium corruptorii. Sciendum, a. 29 (Roberto di Orford/Glorieux 1956, p. 124).
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Giovanni di Napoli, Quodlibeta, III, q. 5 (Stella 1951, p. 155): «Et quia materia quantum ad existentiam realem dependet a forma, et e contrario omnis forma qua est in materia a materia, etiam anima rationalis quantum ad primam suam naturalem productionem, ergo etiam quantum ad individuationem forma dependet a materia et e contrario, et per consequens unum est alteri causa individuationis».
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Giovanni di Napoli, Quodlibeta, VII, q. 6 (Stella 1951, p. 163): «Quantitas est quasi quaedam causa dispositiva necessario requisita ad introductionem formae in materia, et per consequens est aliqualiter causa extrinseca entitatis realis ipsi composito, et eodem modo est etiam causa extrinseca individuationis ipsius compositi ex materia et forma».
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Giovanni di Napoli, Quodlibeta, III, q. 5 (Stella 1951, p. 155): «Possit dici quantitas esse principium unitatis numeralis quae pertinet ad genus quantitatis quae est principium numeri, et individuationis quae dicit indistinctionem quantitativam in se et distinctionem ab alio, non autem substantialis unitatis seu indistinctionis in se et distinctionis ab alio». Ho enfatizzato l’espressione d’interesse.
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Rispetto alla dottrina di Goffredo, un punto in comune sembra essere la distinzione, che sia Goffredo sia Giovanni operano, tra un tipo di unità prettamente numerica, dovuta al principio della quantità, e una unità definita sostanziale, indipendente da essa. Non mi sembra, tuttavia, un dato sufficiente a stabilire un rapporto stretto tra le concezioni dei due autori. Riportiamo di seguito i passi in questione. Goffredo di Fontaines, Quodlibeta, VI, q. 16 (Goffredo di Fontaines /De Wulf-Hoffmans 1914, p. 259): «Dicti duo homines non differrent numero ab invicem, nec unus illorum esset idem numero homo qui prius, quia, licet haberet illam unitatem substantialem quam prius, non tamen haberet illam unitatem accidentalem; et de tali unitate numerali qua plura individua differunt numero verum est dicere quod non convenit alicui nisi quanto et quod talis uniuscuiusque individuatio in se et distinctio secundum numerum talem ab alio non est nisi per quantitatem». Giovanni di Napoli, Quodlibeta, III, q. 5 (Stella 1951, p. 155): «Possit dici quantitas esse principium unitatis numeralis quae pertinet ad genus quantitatis quae est principium numeri, et individuationis quae dicit indistinctionem quantitativam in se et distinctionem ab alio, non autem substantialis unitatis seu indistinctionis in se et distinctionis ab alio».
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Informazioni
Cita come: Viola Tosi, Il principio di individuazione nei Quodlibeta di Giovanni di Napoli in DILEF. Rivista digitale del Dipartimento di Lettere e Filosofia - 2 (2023), pp. 36-62. 10.35948/DILEF/2023.4314
- Data ricezione: 05/09/2022
- Data accettazione: 24/10/2022
- Data pubblicazione: 25/11/2022
- DOI: 10.35948/DILEF/2023.4314
- © Autori |
- Licenza: CC BY-NC-ND |
In questo articolo
- Abstract
-
Testo completo
- Introduzione
- 1. Giovanni di Napoli
- 2. La dottrina del principio di individuazione di Giovanni di Napoli
- 3. Dottrine a confronto: Giovanni di Napoli, Enrico di Gand, Goffredo di Fontaines e Pietro d’Alvernia
- 3.1 Enrico di Gand
- 3.2 Goffredo di Fontaines
- 3.3 Pietro d’Alvernia
- 4. I Correctoria e Giovanni di Napoli
- Conclusioni
- Note
- Riferimenti bibliografici
- Informazioni