Abstract
In questo saggio sostengo che lo studio delle emozioni suscitate da ambienti naturali costituisce un terreno di indagine particolarmente adatto alla prospettiva pragmatica e interdisciplinare delle Environmental Humanities. In primo luogo illustro brevemente la polisemia del termine biodiversità e il duplice uso, scientifico e valoriale, che lo caratterizza fin dalla sua comparsa. Successivamente, mostro come i concetti di valore intrinseco e valore strumentale compaiono nei documenti programmatici internazionali per la conservazione e il ripristino della biodiversità. Infine, a partire dal dibattito sviluppatosi in etica ambientale, delineo una nozione debole di valore intrinseco basata sulla struttura caratteristica di alcune emozioni.
In this essay, I argue that the study of emotions aroused by natural environments constitutes a field of investigation particularly suited to the pragmatic and interdisciplinary perspective of the Environmental Humanities. First, I briefly illustrate the polysemy of the term biodiversity and the dual use, scientific and value-based, that has characterised it since its emergence. Next, I show how the concepts of intrinsic value and instrumental value appear in international policy documents for the conservation and restoration of biodiversity. Finally, starting from the debate developed in environmental ethics, I outline a weak notion of intrinsic value based on the characteristic structure of certain emotions.
Parole chiave
Keywords
Introduzione
Il presente contributo intende essere di natura introduttiva e verte sulle esperienze affettive legate alla biodiversità e la loro rilevanza per comprenderne il valore1. Sebbene chi scrive abbia maggior familiarità con l’etica ambientale, disciplina che costituisce quindi il punto di riferimento principale, questo scritto tenta di porsi nella prospettiva pragmatica ed interdisciplinare delle Environmental Humanities. In tal senso, il saggio non ha l’obiettivo di contribuire direttamente ad un problema filosofico discusso in un dibattito per così dire interno all’etica ambientale, bensì di mostrare alcune convergenze che individuano nell’esperienza affettiva la chiave di lettura principale per comprendere in che modo la biodiversità degli ambienti ha valore ed è quindi un degno destinatario delle nostre cure e responsabilità.
Il termine biodiversità, oltre che individuare un ambito di studi per le scienze naturali, la filosofia, la psicologia, l’economia e le scienze umane in genere, è divenuto moneta corrente nel discorso pubblico, dalla comunicazione istituzionale al marketing. L’assunzione ricorrente che accompagna per lo più il suo uso nel discorso pubblico suona all’incirca: “la biodiversità costituisce un valore per la vita umana”. Come spesso accade, però, è sufficiente addentrarsi di qualche passo nelle varie discipline che studiano la biodiversità e la sua relazione con la vita umana - sociale e individuale - per intravedere la complessità e la problematicità di ogni termine di quella assunzione. Vedremo infatti che sul fronte delle scienze naturali il concetto di biodiversità comporta grandi difficoltà definitorie, mentre sul fronte delle scienze umane il valore che le è attribuito e la sua relazione con la vita umana ha dato luogo a interpretazioni e teorie diverse e spesso in tensione tra loro.
I molti significati di “biodiversità”
Il termine biodiversità - contrazione di diversità biologica - è giovane, e la sua breve storia mostra l’intreccio profondo tra pratica scientifica, azione politica e assunzioni valoriali.
Il contesto in cui è collocata la genesi del termine è il primo National Forum on Biodiversity, svoltosi a Washington D.C. nel 1986. Sulla pagina web della National Academy of Science - sponsor dell’evento - in cui si presenta l'importante pubblicazione che ne derivò, punto di riferimento per gli studiosi delle varie discipline che si occupano di biodiversità (Wilson 1988), si legge che gli atti del convegno «richiamano l’attenzione su uno dei più urgenti problemi globali: la perdita in rapido aumento di specie animali e vegetali [...] e creano un framework sistematico per analizzare il problema e cercare possibili soluzioni». Il termine biodiversità nasce quindi a partire dalla consapevolezza di un problema e dal tentativo di sensibilizzare e mobilitare decisori politici e società civile, come è chiaramente attestato da Daniel Janzen, ecologo che partecipava al Forum (Takacs 1996, p. 37):
La conferenza di Washington? Fu un evento chiaramente politico, esplicitamente progettato per rendere il Congresso consapevole di questa complessità di specie che stiamo perdendo. E [...] la parola [biodiversità] è stata immessa in quel sistema deliberatamente, in quell’occasione. Molti di noi andarono a quel convegno in missione politica.
Da quegli anni in avanti, lo studio della diversità biologica da un lato si è fatto sempre più consapevole e attivo nel partecipare ad una impresa di conservazione non-neutrale sul piano etico-politico, dall’altro si è dotato del nuovo strumento concettuale “biodiversità”, che ha dato luogo a svariati tentativi di definizione e ad un ricco dibattito sul significato scientifico del concetto e sulla sua rilevanza nella prassi scientifica (Casetta 2015).
Coloro che non hanno avuto occasione di conoscere le definizioni di biodiversità adottate di volta in volta dalle varie discipline scientifiche per condurre rilevazioni, effettuare comparazioni o sviluppare modelli esplicativi, potrebbero infatti supporre che al termine biodiversità corrisponda un significato scientifico ben definito e condiviso. Probabilmente si stupirebbero di quanto sia nutrito l’elenco stilato da DeLong in cui si dà conto dei tentativi di definire il concetto nella letteratura scientifica: ben 85 definizioni diverse (1996). Prima di considerare i diversi valori della biodiversità, dovremo quindi farci un’idea (semplificando drasticamente), di cosa si studia nei dipartimenti di ecologia, biologia evoluzionistica o biologia della conservazione quando si studia la “biodiversità”. Un punto di partenza può essere la definizione di uno dei documenti principe in cui convergono i risultati della ricerca scientifica e la progettazione politica della conservazione della biodiversità, la Convention on Biological Diversity delle Nazioni Unite (CBD 1992, p. 5):
Per “diversità biologica” si intende la variabilità tra gli organismi viventi di ogni origine, inclusi, tra l'altro, gli ecosistemi terrestri, marini e acquatici; e i complessi ecologici di cui fanno parte; ciò comprende la diversità all'interno delle specie, tra le specie e degli ecosistemi.
Questa definizione ha il merito di essere molto inclusiva, ma difficilmente potrebbe servire come concetto operativo per chi intende, ad esempio, misurare e comparare la biodiversità presente in due regioni per decidere come gestire le risorse disponibili per la conservazione.
Lo studio della biodiversità, infatti, tratta le molteplici diversità biologiche a diversi livelli di organizzazione biologica e su diverse scale di grandezza (Huneman 2015, p. 5).
I livelli di organizzazione biologica considerati sono i geni, le specie e gli ecosistemi. La diversità genetica riguarda principalmente la varietà dell’informazione genetica presente negli individui di una medesima specie. La diversità di specie si riferisce invece alla diversità tassonomica, riguarda cioè la presenza di specie diverse in una data regione, la loro distribuzione, la loro abbondanza e numerose altre relazioni tra le specie. La diversità ecosistemica, infine, considera la variabilità degli ambienti (foresta pluviale, barriera corallina, torbiere, deserti, ambienti sotterranei, etc.). La diversità di specie, in particolare, ha rappresentato il livello di analisi privilegiato per molto tempo, ma vi sono approcci emergenti che enfatizzano maggiormente il livello genetico o il livello ecosistemico. Per ogni livello, gli ecologi studiano i patterns - andamenti più o meno regolari - con cui le molteplici diversità variano, ad esempio in relazione con tipologie di ecosistemi, ubicazione geografica, ampiezza delle aree studiate, cercando di sviluppare sia modelli esplicativi che tecniche e indici di misurazione. Inoltre, gli indici delle molteplici diversità biologiche rilevate vengono messi in relazione con determinati effetti che la biodiversità produce sugli ecosistemi, rendendoli più o meno stabili, resilienti e modificandone le funzioni. La biodiversità può essere studiata anche su diverse scale, temporali e spaziali: può essere studiata la biodiversità di specifiche aree, regioni ed ecosistemi, internamente a ciascuna unità o comparativamente tra unità dello stesso ordine di grandezza. Inoltre, gli intervalli temporali considerati per determinare con che ritmo la biodiversità aumenta o diminuisce possono variare di molto.
Il punto principale che rende difficile una definizione scientifica univoca di biodiversità è che le proprietà biologiche rilevanti sono moltissime: diversità morfologica, distanza filogenetica, diversità metaboliche, diversità di ruolo ecologico, diversità delle funzioni ecosistemiche, per nominarne solo alcune. I tentativi teorici di fare sintesi ed elaborare una nozione unitaria e scientificamente fondata di biodiversità possono essere suddivisi secondo due approcci alternativi di fondo, riduzionista o pluralista (Newman-Verner-Linquist 2017). Secondo l’approccio riduzionista, esiste una proprietà (o un insieme limitato di proprietà) centrale che rappresenta adeguatamente la biodiversità e a cui le altre proprietà devono essere ricondotte attraverso la determinazione di relazioni chiaramente definibili. Maclaurin e Sterelny, ad esempio, sostengono che la ricchezza di specie sia l’indice adeguato a cui ricondurre le altre proprietà biologiche rilevanti per la biodiversità (2008). Secondo l’approccio pluralista, invece, molteplici proprietà biologiche (o gruppi di proprietà) devono poter essere identificate dal concetto di biodiversità, a seconda dei livelli e delle scale considerati. Sarkar e Margules, in tal senso, avanzano la proposta radicale per cui debba essere la pratica concreta della conservazione a determinare, a partire dai singoli e particolari progetti, quali proprietà rilevanti debbano dare contenuto al concetto di biodiversità (2002; Sarkar 2005). Il problema, per entrambe le strategie teoriche cui abbiamo accennato, è giustificare il criterio in base a cui una proprietà o un insieme di proprietà rappresenti un appropriato indice di biodiversità. È importante notare, qui, che l’appropriatezza del concetto di biodiversità adottato non riguarda solo il rigore teorico e la solidità dei dati empirici utilizzati, ma si valuta anche rispetto ad obiettivi ed interessi pratici che sono in gioco negli interventi di conservazione.
Come abbiamo visto, infatti, da un lato lo studio scientifico-naturalistico della biodiversità è altamente complesso e ha sviluppato concetti differenziati per riferirsi a molteplici tipi di diversità biologica ed ambientale. Dall’altro, il concetto generale di biodiversità richiama nozioni olistiche e cariche di valore che si riferiscono ad una caratteristica essenziale e preziosa del nostro mondo terrestre, con cui l’essere umano è chiamato a confrontarsi anche a livello normativo (Huneman 2015, p.12).
Una comprensione completa della diversità biologica dovrebbe prendere in considerazione sia la pletora di concetti teorici di diversità, spesso contrastanti e talvolta complessi (insieme ai modelli destinati a spiegare i pattern di biodiversità) e la parola chiave onnicomprensiva “biodiversità” come punto di partenza per dare un senso alle varie conoscenze sul valore della diversità biologica.
La “comprensione completa” auspicata da Huneman richiede quindi di adottare una prospettiva che si sforzi di integrare le conoscenze sulle diversità biologiche ed ambientali prodotte dalle discipline pertinenti (in particolare ecologia, biologia della conservazione e biologia evoluzionistica) con i diversi saperi che riflettono sul significato ed il valore della biodiversità per la vita umana nella sua interezza e nella varietà delle forme di vita in cui si realizza.
Lo sviluppo delle Environmental Humanities risponde precisamente all’esigenza di tessere un dialogo tra i saperi scientifico-naturalistici ed i saperi umanistici per lo sviluppo di uno sguardo autenticamente ecologico con cui affrontare le molteplici sfide ambientali del presente.
Tra i punti che qualificano questo ambito emergente, ne rammentiamo solo alcuni particolarmente rilevanti per i propositi di questo saggio. Innanzitutto, si tratta di un campo di studi interdisciplinare, in cui varie tradizioni umanistiche (storia, letteratura, filosofia, scienze umane) e vari specialismi intra-disciplinari si pongono in dialogo e sperimentano ibridazioni. In secondo luogo, è un ambito di studi che nasce come risposta al contesto di crisi ecologica che segna il nostro tempo, e che mette quindi al primo posto l’obiettivo pragmatico di offrire un contributo alla risoluzione di tale crisi, tanto che “le riflessioni che sviluppa sono de facto funzionali alle pratiche che intendono interpretare meglio il tema e il senso dell’interconnessione di umano e non-umano” (Oppermann-Iovino 2017, pp. 3-4). Infine, coerentemente con la loro natura situata e impegnata, le Environmental Humanities prestano un’attenzione particolare agli aspetti valoriali e motivazionali connessi con l’attuale crisi ambientale e con le possibili risposte ad essa.
Seguendo l’analisi di Huneman (2015), abbiamo mostrato due traiettorie semantiche del termine biodiversità: da un lato una molteplicità di definizioni scientifiche che ad oggi non sembrano coerentemente sintetizzabili in un unico concetto, dall’altro un concetto olistico, generale e carico di assunzioni valoriali. In quanto segue, prenderò in considerazione alcune concezioni del valore della biodiversità, prendendo le mosse dai documenti programmatici internazionali, per poi passare in rassegna alcune delle posizioni principali proposte in etica ambientale. Successivamente, sosterrò che l’esperienza affettiva legata alla natura e alla biodiversità presenta alcune caratteristiche generali che la rendono un oggetto di indagine particolarmente calzante per la prospettiva delle Environmental Humanities.
I molti valori della biodiversità
Una breve ricognizione della semantica del termine biodiversità “ci conduce in contesti che non sono emotivamente neutrali [...] in questo senso [il termine] ha un carico che è, per così dire, assiologico e profondamente emotivo” (Huneman, 2015, p. 3, corsivo mio). Ritorniamo quindi all’assunzione che soggiace alla circolazione di gran parte della comunicazione ambientale sul tema e che - abbiamo visto - ha promosso la nascita stessa del concetto: “la biodiversità costituisce un valore per la vita umana”. Di che tipo di valore si tratta? In che senso e per quali ragioni consideriamo la biodiversità degna di essere un destinatario della nostra cura e della nostra responsabilità?
Storicamente, l’esigenza di sviluppare una nuova sensibilità culturale nei confronti di temi ambientali è emersa - prevalentemente a partire dagli Stati Uniti - negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, e ha spesso fatto leva su concetti e valori che avessero la capacità di rovesciare la prospettiva antropocentrica ritenuta responsabile di un rapporto distorto con la natura, a sua volta radice della crisi ecologica di cui cresceva la consapevolezza. Sulla scorta della opposizione tra antropocentrismo e anti-antropocentrismo, gran parte del dibattito ambientalista, a vari livelli, ha fatto propria l’idea che la natura (o parti di essa) sia dotata di valore intrinseco, in contrapposizione al cosiddetto valore strumentale2.
Il concetto di valore intrinseco, lungi dall’essere appannaggio esclusivo del dibattito filosofico accademico, ha permeato l’emergere di un rinnovato interesse culturale verso la natura e segnala la radicalità del cambiamento di cui si avverte il bisogno urgente. Vale la pena ricordare la posizione che Michael Soulé, uno dei padri fondatori della biologia della conservazione, sosteneva nel suo What is Conservation Biology?:
La diversità biotica ha valore intrinseco, a prescindere dal suo valore strumentale o utilitaristico. Questo postulato normativo è il più fondamentale. Sottolineando il valore inerente della vita non-umana, esso distingue la visione del mondo dualista e predatoria da una prospettiva più unitaria: le specie hanno valore in sé, un valore né attribuito né revocabile, ma che scaturisce dall’eredità e dal potenziale evolutivo di una specie o addirittura dal semplice fatto della sua esistenza. (Soulé 1985, p. 731, corsivo in originale)
Alle fondamenta della biologia della conservazione troviamo dunque un'assunzione valoriale particolarmente forte, la cui funzione, negli auspici di Soulé, è prendere le distanze da una cultura “dualista e predatoria”. Il concetto di valore intrinseco, in questo contesto, sembra innanzitutto esprimere l’esigenza di una presa di coscienza radicale che induca un intenso coinvolgimento morale e un netto posizionamento politico-culturale. Pochi anni dopo, anche i firmatari della Convention on Biological Diversity delle Nazioni Unite del 1992, si dichiarano
Consci del valore intrinseco della diversità biologica, e dei valori ecologico, genetico, sociale, economico, scientifico, educativo, culturale, ricreativo ed estetico della diversità biologica e delle sue componenti. (CBD 1992, p. 1, corsivo mio)
Questa dichiarazione, nel tentativo di accogliere una pluralità di concezioni del valore della biodiversità, affianca il concetto di valore intrinseco a vari altri valori, connotati dai modi in cui la biodiversità risponde positivamente ad interessi e bisogni umani.
L’idea generale per cui la biodiversità dovrebbe essere difesa in virtù del valore che ha in relazione ad interessi e bisogni umani (inclusa la sopravvivenza stessa della specie) è stata usualmente concepita nei termini di valore strumentale. Poiché la biodiversità dispensa gratuitamente una grande varietà di beni, dall’aria che respiriamo al godimento di un bel paesaggio, è prudente e razionale prendersene cura - questa all’incirca la linea di ragionamento generalmente associata alla nozione di valore strumentale.
In termini più precisi, si sostiene che il grado di biodiversità sia correlato con determinate funzioni ecosistemiche e, quindi, con la capacità dell’ambiente di fornire alle società umane una serie di cosiddetti servizi ecosistemici (aria pulita, acqua, cibo, regolazione dei cambiamenti climatici, impollinazione, ma anche occasione di apprezzamento estetico, ricreazione, e così via. Vedi Naeem et al. 2009). Una difesa della biodiversità che mette in primo piano la capacità di fornire servizi preziosi per le società umane privilegia una concezione strumentale del valore: la biodiversità deve essere gestita responsabilmente poiché è in relazione con importanti bisogni e interessi umani3. Questa prospettiva, che sottolinea la dipendenza della nostra specie da una natura che deve essere sufficientemente biodiversa per poterci fornire una serie di beni, ha progressivamente assunto un peso maggiore nei documenti programmatici di promozione della conservazione della biodiversità.
Nel voluminoso Report of the Open-Ended Working Group on the Post-2020 Global Biodiversity Framework delle Nazioni Unite, che si pone in diretta continuità con la Convention on Biological Diversity del 1992 con l’obiettivo di rilanciarne la visione e l’azione, le occorrenze di “valore intrinseco” (concetto con cui invece si apre platealmente il documento del 1992) ammontano a 14, il termine “servizi ecosistemici” ricorre invece ben 118 volte (CBD 2021a, b). A livello europeo, nell’intero documento EU biodiversity strategy 2030 non vi sono riferimenti al valore intrinseco della natura e la concezione del valore adottata sembra interamente assorbita nell’approccio dei servizi ecosistemici: “senza un’azione incisiva, questa continua perdita [di biodiversità] avrà ripercussioni economiche enormi. Gli studi più recenti confermano che oltre la metà del PIL mondiale dipende da un'alta biodiversità e dai servizi ecosistemici”, si legge nell’introduzione che restituisce il tono complessivo del testo (EU 2021, p. 4).
L’utilizzo dei concetti di valore intrinseco e valore strumentale, pur affiancati con spirito ecumenico nei documenti programmatici delle Nazioni Unite e in gran parte del discorso pubblico orientato alla conservazione e al ripristino della biodiversità, è tuttavia legato a modi di apprezzare la natura sostanzialmente differenti (anche se non necessariamente incompatibili): da un lato si reclama l’urgenza di riconoscere un valore alla natura indipendentemente dai benefici che possiamo trarre da essa, dall’altro si sottolinea proprio il valore di questi benefici e la nostra dipendenza da essi.
Nella riflessione etico-filosofica relativa al rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale4 e con la crisi ecologica, la nozione di valore intrinseco è stata di primaria importanza ed è stata articolata in diversi modi5. Anche in etica ambientale, tuttavia, si può notare un crescente scetticismo nei confronti del concetto di valore intrinseco riferito all’ambiente naturale (o a parti di esso), e varie critiche gli sono state mosse6.
Un filone di critiche - particolarmente rilevante per le Environmental Humanities - suggerisce di abbandonare la nozione di valore intrinseco, oltre che per la sua problematicità a livello di teoria del valore, a causa della sua irrilevanza pragmatica (ad es. Light 2002, Weston 1996). In vista di una risposta alla crisi ecologica, si sostiene, non abbiamo alcun bisogno del concetto di valore intrinseco: per promuovere una politica pubblica di conservazione o raccomandare atteggiamenti individuali responsabili, non è importante mostrare che una foresta di mangrovie ha valore intrinseco, ma è molto più importante mostrare che gli ecosistemi di mangrovie contribuiscono significativamente al benessere dell’uomo. Una ulteriore preoccupazione, secondo alcuni critici, è che le affermazioni sul valore intrinseco della natura elaborate dall’etica ambientale finiscano per ostacolare il dialogo con altre discipline (come l’economia o la psicologia) in cui lo statuto ontologico e metafisico del valore non è oggetto di discussione (Norton 1991).
Nel saggio Why Environmental Ethics Shouldn’t Give Up on Intrinsic Value, Katie McShane elabora una interessante replica a questa linea argomentativa, delineando una nozione debole di valore intrinseco che mette al centro dell’analisi alcune esperienze affettive tramite cui entriamo in una relazione valutativa con l’ambiente naturale (2007). Le differenti posizioni teoriche sul concetto di valore intrinseco nel campo dell’etica ambientale, sostiene l’autrice, elaborano quattro funzioni principali che il concetto svolge7.
Le affermazioni relative al valore intrinseco di X, possono essere affermazioni relative a:
- Il ruolo specifico che X dovrebbe assumere nelle nostre scelte morali.
- I modi caratteristici in cui ha senso essere interessati a X.
- Quali proprietà di X lo rendono qualcosa di valore.
- Lo statuto metafisico delle proprietà valutative di X.
Semplificando molto, nel primo gruppo rientrano i punti di vista secondo cui ciò che è dotato di valore intrinseco ha uno status morale preminente rispetto a ciò che non lo ha, dando luogo a obbligazioni e responsabilità diverse, generalmente ritenute più stringenti. Ad esempio, l’attribuzione di valore intrinseco ad una creatura senziente ha determinate implicazioni normative nei suoi confronti che sovrastano quelle verso entità che non sono dotate di valore intrinseco. La seconda categoria - su cui ci soffermeremo - riguarda gli atteggiamenti valutativi e distingue atteggiamenti che valutano in modo intrinseco da atteggiamenti che valutano in modo estrinseco. La terza categoria include affermazioni secondo cui qualcosa ha valore intrinseco in base a proprietà valutative intrinseche, ossia indipendenti dalle relazioni di X con altre entità. Ad esempio, il valore di una specie di alberi risiede in proprietà che non hanno a che vedere con la sua relazione con me (poniamo che mi offra lo sciroppo d’acero) o con gli uccelli (poniamo che offra un habitat importante per alcune specie rare). Infine, nell’ultimo gruppo troviamo prospettive in cui il valore intrinseco è concepito in termini di non-dipendenza dallo sguardo di un valutatore. Ad esempio, la Divina Commedia o una tigre del Bengala (se portatori di valore intrinseco) costituirebbero un valore anche in uno scenario ipotetico in cui la specie umana fosse estinta.
Secondo McShane, la seconda funzione affidata al concetto di valore intrinseco in etica ambientale è particolarmente rilevante, ed offre lo spazio di manovra per delineare un concetto di valore intrinseco che, pur depotenziato nella sua portata ontologica, coglie un tipo di esperienza del valore la cui peculiarità non dovrebbe essere tralasciata (e che merita quindi un concetto che la colga).
Il fulcro dell’analisi, in questa prospettiva, si sposta da ciò che rende intrinseco il valore di un ente a ciò che qualifica una data esperienza valutativa quando il valore di un ente ci viene presentato - in quell’esperienza - come intrinseco. La molteplicità dei tipi di valore, quindi, viene compresa e spiegata sulla base degli atteggiamenti valutativi che veicolano l’esperienza valoriale. L'esperienza della paura ha a che fare con ciò che è pauroso, quando proviamo ammirazione abbiamo a che fare con ciò che è ammirevole, siamo pieni di meraviglia verso qualcosa che esperiamo come meraviglioso, e così via. La stretta correlazione tra una varietà di atteggiamenti valutativi e tipi di valore esperiti ci conduce direttamente alla rilevanza dell’esperienza affettiva. Per rimanere nell’ambito della filosofia, la tradizione fenomenologica (a partire da Brentano), le varie teorie del valore di matrice sentimentalista (note come Fitting-Attitude Theories), fino alle teorie delle emozioni in filosofia della mente seguono questa linea di ragionamento (pur con sviluppi anche molto diversi fra loro) e si concentrano sull’analisi dell’esperienza affettiva come modalità fondamentale di valutazione8.
Prendiamo ora in considerazione alcune esperienze affettive (nel secondo senso di “modi caratteristici in cui ha senso essere interessati a X”) che potremmo avere verso, poniamo, una vasta faggeta in cui siamo soliti, di quando in quando, camminare. Potremmo provare gratitudine, una piacevole emozione di riconoscenza per un beneficio ricevuto, ad esempio per i profumi e i colori che ci distendono e alleggeriscono: nel provare gratitudine, il tipo di valutazione è estrinseca, infatti il destinatario della mia gratitudine è la faggeta nella misura in cui mi offre in beneficio sensazioni che contribuiscono al mio benessere9. Potremmo anche, però, provare un sincero amore, oppure un senso di riverenza e rispetto, o ancora di profondo stupore, per quella faggeta. In questi casi, le esperienze affettive che proviamo, per dir così, valutano in modo intrinseco l’oggetto a cui sono rivolte, ossia lo valutano in quanto tale, e nient’affatto in virtù di un suo effetto su altro (ad esempio sul mio benessere). Se dicessi di provare riverenza e rispetto nei confronti di qualcuno perché è molto ricco e ha accesso a circoli dell’alta società in cui vorrei inserirmi, si avrebbe buon gioco nel sostenere che non ho ben compreso cosa siano reverenza e rispetto o che il mio rispetto in questo caso non è appropriato. McShane prende ad esempio l’amore come un atteggiamento valutativo di tipo intrinseco: l’oggetto appropriato dell’amore è quel che amo in quanto tale, e non i molti benefici che la relazione mi procura (2007, pp. 10-11)10. È importante notare che le emozioni e i sentimenti, in quanto esperienze valutative, non semplicemente ci accadono in quanto fatti psicologici, ma giocano un ruolo cruciale nelle nostre pratiche normative: non solo proviamo rispetto o paura, ma crediamo che vi siano oggetti per cui tali atteggiamenti sono appropriati, e altri oggetti per cui non lo sono.
Il concetto di valore intrinseco, compreso in questa prospettiva, individua quindi una classe di atteggiamenti affettivi (tipicamente, emozioni e sentimenti) che valutano in modo intrinseco, offrendoci l’esperienza di valori in sé, con le sue peculiari implicazioni normative.
Emozioni, valore intrinseco e biodiversità: alcuni spunti conclusivi
Un concetto debole di valore intrinseco come quello qui appena abbozzato potrebbe offrire alcuni spunti sinergici rispetto al programma di ricerca delle emergenti Environmental Humanities.
In primo luogo, consente di delineare un terreno di indagine che, da un lato, eviti di impegnarsi in prima battuta in questioni metaetiche o di teoria del valore e dall’altro non si riduca a mera analisi della dinamica persuasiva o motivazionale di determinati fatti psichici. Questo terreno mediano include aspetti genuinamente normativi e consiste nell’analisi della struttura e nella descrizione dei contenuti delle esperienze tramite cui intratteniamo relazioni cariche di valore con ambienti naturali11.
Inoltre, offre una cornice entro cui raccordare i risultati di ricerca di diverse discipline, sia esclusivamente teoriche che basate su dati empirici. L’importanza delle emozioni per affrontare la crisi ecologica e approfondire la comprensione delle relazioni tra esseri umani e ambiente naturale è ampiamente riconosciuta in varie branche della psicologia e della filosofia. In particolare, la psicologia ambientale e della conservazione, l’etica ambientale e l’estetica ambientale studiano varie emozioni comunemente suscitate nel relazionarsi ad ambienti naturali in generale e ad aspetti rilevanti per la biodiversità in particolare12. Sarebbe interessante un lavoro interdisciplinare che tenga conto della distinzione tra esperienze affettive che valutano in modo intrinseco ed in modo estrinseco, esplorandone le differenze sul piano fenomenologico, motivazionale, normativo, sociale.
Infine, le emozioni e i sentimenti sono esperienze profondamente connesse ai valori che abbracciamo, motivano e orientano le nostre azioni e conferiscono intensità ai nostri vissuti. Uno studio che - come le Environmental Humanities - si interpreta come risposta attiva alla crisi ecologica in atto e che mette al centro l’esperienza umana, troverà nelle esperienze affettive un adeguato oggetto di indagine.
Note
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In questo articolo, con l’espressione generale esperienze affettive mi riferisco sia alle esperienze ordinariamente categorizzate come emozioni (gioia, stupore, paura, etc.), sia a sentimenti (amore, fiducia, senso di appartenenza, etc.). Emozioni e sentimenti, in particolare, hanno un legame diretto con il profilo valoriale di chi le prova. Per una mappatura delle esperienze affettive si veda Deonna-Teroni (2009).
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Al concetto di valore intrinseco si contrappone, più propriamente, il concetto di valore estrinseco, di cui il valore strumentale è una delle forme possibili.
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Per una puntuale trattazione dell’approccio dei servizi ecosistemici, con una utile disamina delle evidenze empiriche che supportano la correlazione tra il grado di biodiversità degli ecosistemi e la loro capacità di fornire servizi, si veda Newman-Verner-Linquist (2017, cap. 2).
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Con l’espressione “ambiente naturale” mi riferisco genericamente ai contesti con un’abbodanza relativa di vegetazione e/o fauna rispetto ad artefatti, includendo quindi da una foresta pluviale ad un parco cittadino sufficientemente ampio. Per una trattazione approfondita del rapporto tra natirale e artificiale in relazione all’ambiente, si veda il volume di Elena Casetta (2023).
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Mi limiterò, in quanto segue, a considerare alcune concezioni di valore intrinseco proposte in etica ambientale, lasciando quindi da parte le trattazioni del concetto che affrontano il problema dal punto di vista più generale della teoria del valore.
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Per un’analisi critica di diverse concezioni di valore intrinseco si veda Andreozzi (2015).
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Spesso, più d'una di queste funzioni è affidata al concetto di valore intrinseco in una singola teoria.
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Per una raccolta di saggi che introduce alla filosofia delle emozioni nella tradizione fenomenologica si veda Drummond e Rinofner-Kreidl (2018); per una introduzione comprensiva alla filosofia delle emozioni di taglio analitico, si veda invece Deonna e Teroni (2012). Per le teorie del valore che elaborano la prospettiva qui accennata, si veda la voce Fitting Attitude Theories of Value della Stanford Encyclopedia of Philosophy (Howard 2023).
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Nel caso della gratitudine, meriterebbe un’analisi specifica l’esperienza di “essere grato per l’esistenza di x”. In questo caso, anche la gratitudine sembrerebbe un modo di valutare intrinsecamente.
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Vedi anche Velleman (1999).
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Naturalmente, in alcun modo si mette in dubbio l’importanza delle indagini metaetiche e di teoria del valore, né delle indagini che si riservano neutralità sul piano normativo. Tuttavia, se adottiamo la prospettiva pragmatica e situata delle Environmental Humanities, è importante riconoscere priorità alle indagini che includono considerazioni esplicitamente normative.
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Un riferimento contemporaneo per avvicinarsi al tema delle emozioni estetiche si trova in What Are Aesthetic Emotions? (Menninghaus et al. 2018). Per quanto riguarda la psicologia ambientale, si vedano Kals e Müller (2012), Vining e Merrick (2012).
Bibliografia
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Informazioni
Cita come: Ariele Niccoli, Emozioni e valore intrinseco. Etica ambientale ed esperienza del valore in DILEF. Rivista digitale del Dipartimento di Lettere e Filosofia - 2 (2023), pp. 73-86. 10.35948/DILEF/2023.4312
- Data ricezione: 13/10/2022
- Data accettazione: 04/11/2022
- Data pubblicazione: 18/01/2023
- DOI: 10.35948/DILEF/2023.4312
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