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Su Lanfranco Caretti: attualità di un maestro

 ARTICOLO SCIENTIFICO

  • Data ricezione: 12/01/2025
  • Data accettazione: 01/10/2025
  • Data pubblicazione: 04/11/2025

Abstract

L’articolo delinea il carattere umano e il profilo scientifico di Lanfranco Caretti, dando risalto all’attualità del suo insegnamento.

 

The article outlines the human qualities and scholarly profile of Lanfranco Caretti, emphasizing the enduring relevance of his teachings.


Parole chiave
Keywords

1. Autoritratto

Desidero ringraziare gli organizzatori di questo incontro per avermi invitato a intervenire su Lanfranco Caretti, con il quale mi sono laureato nel giugno 1970 con una tesi dal titolo Tozzi novelliere (correlatore Giorgio Luti), perché considero davvero un onore ricordare un grande maestro. Caretti, ferrarese di nascita (classe 1915), laureato a Bologna nel 1938, è salito in cattedra nel 1951, all’età di 36 anni, e dal 1952 al 1964 (per 12 anni) ha insegnato all’Università di Pavia. Nel 1964 è stato chiamato alla facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze, dove ha insegnato Letteratura italiana per circa 20 anni, fino al “fuori ruolo” (all’età di 70 anni) nel 1985. Il pensionamento, dopo 5 anni di “fuori ruolo”, è venuto nel 1990, nel 1991 il titolo di professore emerito. A Firenze, Caretti è deceduto nel novembre 1995, all’età di 80 anni,  e riposa nel cimitero della sua città, Ferrara, e alla ferrarese Biblioteca Ariostea sono le sue carte e i suoi libri e i suoi dischi (è stato pubblicato il catalogo Il Fondo Lanfranco Caretti, a cura di Angela Ammirati, Ferrara, 2015, un volume di oltre 300 pagine, in formato grande)1.

Desidero presentare Caretti con le sue stesse parole, ovvero con alcuni passi del pezzo pubblicato nel 1960 nei Ritratti su misura, una raccolta di autoritratti di letterati curata da Elio Filippo Accrocca (Caretti nel 1960 ha 45 anni e insegna a Pavia):

[…] Nel 1940, a Firenze: Accademia della Crusca, e apprendistato filologico. Incontri determinanti: [Michele] Barbi, [Giuseppe] De Robertis, [Luigi] Foscolo Benedetto e [Giorgio] Pasquali. […] Dal 1942, alle armi senza entusiasmo. Ma dall’8 settembre 1943 all’agosto 1945 con l’esercito di liberazione per persuasa scelta. […] Nel 1948, libero docente; e nel 1952 (per somma benignità dei giudici) vincitore di cattedra universitaria […] e quindi stabilmente a Pavia, cattedra di letteratura italiana all’Università. E qui dimoro e dimorerò sino a che gli dei disporranno, con mia piena letizia.

Sempre «filologia e critica» (una sorta di emblema!), dialetticamente (a farcela, s’intende!). Tasso e Ariosto, Parini e Alfieri, e da ultimo Manzoni. E anche i “moderni”, specie coi giovani studenti a tenere vivi gli interessi militanti. […]

L’ambizione è verso una critica veramente “storica”, tecnicamente provveduta, organica. […] A chi mi rimprovera d’essere troppo filologo, rispondo che, ahimè, lo sono troppo poco. E forse si vede! Ma il nostro è un paese di geniali ed effusivi inventori; ed io invece credo molto al mestiere, alla modesta pratica di bottega. [Giuseppe] De Robertis mi ha iperbolicamente definito «un asso per sbrogliare matasse filologiche». Vorrei esserlo veramente, ma per mettere un po’ d’ordine negli accadimenti della mia coscienza molto turbata di dovere vegetare in una società che francamente non mi è molto simpatica2.

 

Risalta la leggerezza dell’autoironia («a farcela!»; «E forse si vede»), che è dote non troppo diffusa nei nostri ambienti accademici, sempre disposti all’autoincensamento e al culto di Narciso, e questa autoironia è già indizio di un carattere e di un metodo di lavoro. Il riferimento finale agli «accadimenti della mia coscienza» attesta un dato importante: la non separatezza tra versante scientifico e vita degli affetti, tra etica e scienza. Va sottolineata anche la frase «con mia piena letizia», che dice non la pena ma la gioia con cui è affrontata la fatica del lavoro. Infatti Caretti è sempre lontano dalle deprecazioni e dalle lugubri lamentazioni, correnti in ambito accademico.

 

2. Filologia e critica

Ma veniamo al punto che più interessa, ovvero al binomio Filologia e critica, che è il titolo della prolusione tenuta a Pavia il 17 novembre 1952: un dittico che si può considerare il sigillo distintivo del metodo operativo di Caretti (il titolo dell’omonima rivista romana, fondata nel 1976 e diretta da Enrico Malato, edita dalla Salerno Editrice, viene dalla prolusione di Caretti). Il binomio è poi diventato una formula da tutti citata, e anche pesticciata e pasticciata, ma in Caretti riveste un significato severo e rigoroso: indica un nesso dialettico, inscindibile, al quale Caretti è sempre rimasto fedele, fino dagli anni giovanili. Sul glorioso «Nuovo Corriere», il quotidiano fondato a Firenze nel 1945 e attivo fino al 1956, diretto di Romano Bilenchi, Caretti ha tenuto la rubrica Critica e filologia (i due termini possono invertirsi, ciò che importa è la connessione stretta che li tiene uniti) dal 1949 al 1956; e la stessa rubrica Critica e filologia l’ha tenuta per due anni su «Letteratura» di Alessandro Bonsanti (1950 e 1951), poi per quasi venti anni sulla rivista della RAI, «L’Approdo letterario», dal 1958 al 1977 (quando la rivista ha cessato le pubblicazioni).

Agli inizi degli anni Cinquanta, quando Caretti tiene la sua prolusione, il binomio Filologia e critica risponde alla necessità d'un rinnovamento della metodologia letteraria in area postcrociana e nasce, dice Caretti, dall'«esigenza crescente d'uno storicismo critico quanto mai reale e profondo», come invito anche «a proficui ripensamenti storici e a solide ambientazioni culturali»3; è augurabile, continua Caretti, che l'«odierna rimessa in circolazione della filologia [...] si faccia tanto più agguerrita quanto meno esibitoria: si manifesti, cioè, come una severa disciplina, un esercizio concreto dell'intelligenza, e non come uno svago mentale, una civetteria di moda»4.

Ha commentato Sebastiano Timpanaro nel 1996: «Di per se stesso, questo tipo d’indagine [filologico-critico] non è proprio del solo Caretti. Lo ritroviamo non solo nei grandi maestri della critica stilistica e di certo strutturalismo, ma anche in tutto un gruppo di studiosi italiani di poco più anziani o più giovani di Caretti, da Contini a Segre, Isella, Avalle, Maria Corti. Ma di fronte a questi maestri e a questi coetanei e compagni di lavoro, Caretti occupa, se non mi inganno, una posizione particolare. Lo studio delle strutture formali non diventa mai in lui, a differenza che in molti di quei pur valentissimi studiosi, civetteria formalistica»5.

In Gianfranco Contini la critica delle varianti approda allo strutturalismo. In Giuseppe De Robertis è chiave interpretativa di un “saper leggere” inteso come storia dello stile. In Caretti è strumento di uno «storicismo» integrale, di uno storicismo critico, tecnico e interpretativo, teso al giudizio di valore, in modo da saldare insieme filologia e critica, sostanza verbale e «ripensamenti storici», «società» e «opera letteraria», per «restituire  ̶  dice Caretti  ̶  alla poesia il suo nobilissimo volto umano e la sua vera “storicità”»6. Volto umano vuol dire rifiuto di ogni autoreferenzialità del testo e richiede tre imprescindibili connessioni: tra il testo, il quadro storico-sociale e la vicenda biografica dell'autore. La solida congiunzione tra filologia e critica significa questo: uno storicismo critico che sappia rivitalizzare i testi e insieme coglierne il nesso genetico con la vita dell’autore; uno storicismo che sappia drammatizzare il testo, in modo da valorizzare tutto ciò con cui un’opera di poesia accresce la nostra comprensione della vita.

Tale metodo Caretti l’ha adottato in tutti i suoi studi, che percorrono l’intero arco delle nostre lettere, da Dante a Manzoni: Dante (tre memorabili letture: canti V, XVI, XVIII dell’Inferno), Sacchetti7, Della Casa8, Ariosto (ed. Ricciardi 1954 e tanti altri interventi), Pontormo9, Tasso (Rime vol. romano del 1950; ed. della Liberata nei Classici Mondadori, 1957, e poi Rime eteree, 1990 e Il Gierusalemme, 1993), Parini (Nota sul testo del «Giorno», in «Studi di Filologia italiana», 1951; ed. Ricciardi Poesie e prose, 1951, e Parini e la critica, 1953; ed. Le Monnier 1969 Il Giorno, poesie e prose), Alfieri (molti interventi, e in particolare i 3 voll. dell’Epistolario nell’Edizione Nazionale: 1963, 1981, 1989, poi il vol. Caretti 1999), Foscolo (Lettere all’Arese, 1949; il cap. Foscolo nella Storia della letteratura italiana Garzanti di Cecchi-Sapegno)10; Manzoni (Opere, Mursia 1962 poi 1965 e 1973; ed. commentata del romanzo, Laterza 1970; ed. interlineare 1971 Einaudi; del 1972 Manzoni. Ideologia e stile; e il vol. per Laterza Manzoni e gli scrittori, 1995).

Poi il Novecento11: Montale12 (giova ricordare che il 29 ottobre 1977 in Palazzo Vecchio, a Firenze, presente Montale, in occasione del solenne conferimento della cittadinanza onoraria fiorentina al poeta, è Caretti, per decisione delle autorità comunali, che pronuncia la relazione ufficiale Montale a Firenze)13, poi Solmi14, Sereni15, Gadda16, Moretti17, Palazzeschi (il grande convegno del 1976)18. Quanto a Palazzeschi, va detto che alla genesi del Centro di Studi «A. Palazzeschi» dell’Università di Firenze (da cui molti neolaureati hanno attinto e attingono ancora oggi borse di studio e assegni di ricerca) c’è la straordinaria lungimiranza di Caretti.

In area novecentesca rilievo significativo hanno, tra gli altri, gli interventi di filologia d’autore, sempre brevi, puntuali, succosi: mi limito a ricordare Svevo (come impostare l’ed. dei romanzi)19, l’autocensura di Govoni nel suo primo libro, le Fiale del 190520, le Poesie di Pavese, con il rimprovero a Italo Calvino per l’edizione Einaudi delle Poesie del 1962 dove è smembrata la struttura autoriale di Lavorare stanca)21. Ciò che colpisce è la signorile leggerezza di questi interventi, asciutti e circostanziati, privi di qualsiasi pompa accademica, ma sono spesso decisivi e di duraturo insegnamento generale, formulati con schietta economia, brevitas, acutezza.

A proposito di sintesi tra filologia, storia, critica letteraria, come rivitalizzazione del passato, mi piace ricordare un saggio non molto citato, Il fidato Elia (1961), dedicato a Francesco Elia, il cameriere del giovane Alfieri. A Caretti, che ha pubblicato sei inedite lettere di Francesco Elia, va il merito di aver rivelato quest’enigmatica figura di cameriere come personaggio storico e insieme come autore. Le lettere di Elia, scritte a caldo mentre è in viaggio e corre in carrozza con il signor conte Vittorio Alfieri attraverso l'Europa, sono inviate a Torino ai Cumiana, cioè a Giulia Alfieri (la sorella del poeta) e al marito di lei, per tenerli informati in tutta segretezza (come essi stessi gli hanno ordinato) sui comportamenti del giovane e indocile Vittorio. In queste lettere di servizio, che costituiscono un vero e proprio taccuino di viaggio da Vienna a Londra, dal 1769 al 1771, le irrequietezze e le stravaganze del «padrone» sono registrate con meraviglia da Elia, osservatore attento, pieno di realistico buon senso. Elia, «abilissimo e spregiudicato viaggiatore», si rivela  ̶  scrive Caretti  ̶ «cronista vivacissimo e pungente, descrittore asciutto e preciso di luoghi e di persone, senza sbavature letterarie o mistificazioni sentimentali, con quel suo pittoresco stile lessicalmente plurilinguistico (nella sua innocente aspirazione a ridurre a base italiana dialettismi piemontesi e francesismi) e sintatticamente estroso (con passaggi arditi e repentini dall’“indiretto” al “diretto”, dal narrativo al colloquiale)»22. Di fronte alle pagine di Elia, «tanto essenziali e scarne quanto straordinariamente efficaci e divertenti», Caretti si domanda:

Dopo aver letto i resoconti di viaggio dei "padroni" [...], non sarà dunque venuto il momento di scoprire un filone più ricco di memorie dirette e piccanti, umorose e non conformiste, nei ripostigli clandestini dei "camerieri"? Peccato che il carattere fortuito, e del tutto eccezionale, del recupero delle lettere dell'Elia non conforti a sperare in altri cospicui ritrovamenti del genere. I "camerieri" non tenevano copialettere né avevano corrispondenti che gelosamente conservassero, per i posteri, le loro missive.

In questo campo la distruzione deve essere stata pressoché completa, e forse non del tutto casuale. L'Historia, come tutti sanno, non è tenera con le genti «meccaniche e di piccol affare»23.

Così, con il rinvio al suo Manzoni, Caretti chiude il saggio e anche questa nota finale è sintomatica per chiarire l’interrelazione stabilita tra ricerca erudita, accertamento filologico, prospettiva storico-critica e indagine biografica (sullo scapestrato conte Vittorio, bisognoso in giro per l’Europa di una esperta guida pratica e concreta). Proprio nella saldatura di questi piani diversi, sentiti come piani complementari, si riconosce lo stile di Caretti.

Sempre in campo alfieriano, uno dei «casi» illustrati nell'intervento Casi di filologia eterodossa (quasi un divertimento), presentato nell’aprile 1960 a Bologna, nel Convegno di Studi di Filologia italiana nel Centenario della Commissione per i Testi di Lingua24, riguarda, com'è noto, la famosa missiva «franco-londinese», inviata da Londra, senza indicazione del destinatario, in data 10 gennaio 1771, «che è tra le più importanti dell'Alfieri»25, ma angustiata da non pochi problemi interpretativi su cui si erano invano cimentati alfieristi provetti. Lo scioglimento degli enigmi, consentito dall'attento scrutinio dell'autografo ritrovato all'Università di Harvard, ruota sulla decifrazione di un'unica paroletta di tre lettere: non già «mon abbé» («mio abate», come sempre si era letto) ma «non abbé» («non abate»). Si sapeva che il destinatario doveva ragionevolmente essere l'abate Sabatier de Cabre, però il testo della missiva a un certo punto lascia supporre d'indirizzarsi a un diverso destinatario residente in Russia. In quella sola paroletta di tre lettere era la chiave: destinatari erano i due fratelli Sabatier, uno (l'abate) che si trovava come ministro di Francia presso il principe vescovo di Liegi, l'altro (il «non abate») che si trovava in momentanea missione diplomatica a Pietroburgo. Tale chiarificazione ha poi permesso di capire il senso, fino allora oscuro, di un intero passo della missiva, dove Alfieri comunica di avere fatto due diverse spedizioni di strani «oggettini» non identificati (la parola era infatti risultata illeggibile al primo editore). Gli oggettini erano «condoms», cioè preservativi: un pacchetto più cospicuo, di sei dozzine, era inviato in Russia al Sabatier «non abate» e un pacchettino più esile, di una sola dozzina, al Sabatier «abate» a Liegi. La differente consistenza dei due invii si giustifica per il fatto che la Russia era evidentemente «poco avanzata in questa sorta di espedienti preventivi» e il «non abate» dimorante a Pietroburgo si trovava, rispetto al fratello, in più gravi disagi di approvvigionamento. «A meno che qualcuno non pensi,  ̶  insinua con ironia Caretti  ̶  ma sarebbe malizia veramente dannabile, che la diversa distribuzione dei “condoms”, da parte dell'Alfieri, volesse significare, moralisticamente o scherzosamente, una sorta di invito alla morigeratezza rivolto al Sabatier abate e una più benevola condiscendenza, invece, verso il Sabatier laico di Pietroburgo»26.

Detto in termini tecnici è un «caso [...] di lettera con due destinatari [...], non evidenziabili se non per elementi interni, con soluzione esaustiva anche della sua particolare [...] struttura a doppio registro»27.  Detto in termini meno tecnici è un caso in cui erudizione e filologia si danno la mano e insieme collaborano a sciogliere, direbbe il gaddiano don Ciccio Ingravallo (citato da Caretti), un «nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero» e lo scioglimento illumina non solo un privato, singolare, riservato rapporto d'amicizia, ma anche un quadro di costume, un ambiente intellettuale e sociale.

 

3. Da Dante al Novecento

Gli autori studiati vanno da Dante al Novecento. Anche questo va notato: Caretti è stato un inesauribile viaggiatore tra passato e presente, tra «antichi» e «moderni» (tale il titolo di due volumi: Antichi e moderni. Studi di letteratura italiana [senza tante civetterie] Einaudi 1976 e Antichi e moderni. Studi di letteratura italiana. Seconda serie, Roma, Salerno Editrice, 1996, volume postumo ma del tutto approntato da Caretti). Spaziare tra l’antico e il moderno, è fondamentale, perché acuisce lo sguardo, crea la prospettiva giusta di valutazione e di giudizio. In tempi di competenze tanto parcellizzate, questo è il tratto distintivo di una personalità che sa unire lo scavo specialistico e il sentimento del tempo (che è dono raro: le nostre Università sono piene di acuminati e miopi cultori dello scavo specialistico). Il senso della storia evita, tra le altre cose, incidenti di percorso (accade non di rado, tra i cultori della contemporaneità, che l’ultimo prodotto dell’industria culturale o l’ultimo grido alla moda siano scambiati per capidopera).

A Caretti tali incidenti non sono capitati: anzi le sue selezioni, fino dagli anni giovanili, sono state quasi profetiche. Già sulle colonne del «Corriere Padano», del «Tempo di Scuola», del «Meridiano di Roma», negli anni Trenta, si osservano alcune sue tempestive segnalazioni: come nel 1938 Achille innamorato di Savinio, poi nel 1939 Ballo a Fontanigorda di Caproni, Poesie di Penna, e nel 1941 Campi Elisi di Sinisgalli, Frontiera di Sereni, Colori di Giotti, Poesie di Gatto. Basta il semplice raccordo degli autori con le rispettive date per accorgersi come l'occhio del recensore, poco più che ventenne, si muova, con fiuto infallibile, nella direzione giusta.

 

4. Essere un maestro

Un’altra frase voglio sottolineare nell’autoritratto che ho letto: «il nostro è un paese di geniali ed effusivi inventori; ed io invece credo molto al mestiere, alla modesta pratica di bottega». La frase riguarda il filologo e il critico, ma riguarda anche l’uomo di scuola. Montale a proposito di Giorgio Pasquali, «maestro di scuola», ha parlato dell'«estrema rarità» di «certe eroiche vocazioni»28 all’insegnamento. Caretti appartiene a questa famiglia, ma non avrebbe, quanto a sé, condiviso l'epiteto «eroiche». Non gli piacevano gli aggettivi acuti, né l'aura del sacrificio. Per lui l’insegnamento non era che l'adempimento di un dovere; era, anzi, il modo più naturale di essere se stesso e di assolvere con gioia l'impegno, anche gravoso, del mestiere. Appunto: «il nostro è un paese di geniali ed effusivi inventori; ed io invece credo molto al mestiere, alla modesta pratica di bottega».

Grande studioso e grande uomo di scuola: una saldatura non comune, tra alto rigore scientifico e passione per la comunicazione del sapere. E questa saldatura è la condizione necessaria per fare un grande maestro. Ci sono tanti saggisti brillanti, tanti critici letterari ingegnosissimi, ci sono tante primedonne della critica letteraria, ma ci sono pochi veri maestri. Sulla passione didattica bisogna intendersi: è una questione anche di etica, di etica civile. Caretti è stato un vero, grande maestro che ha considerato l’università un servizio pubblico reso agli studenti, non una vetrina personale, non un trampolino personale, non un palcoscenico, non una passerella per le proprie ambizioni, per le proprie esibizioni, per i propri nascisismi (Pancrazi si burlava di tanti critici letterari che «fan pensare al tacchino che fa la ruota»: si danno tanto d’attorno «per poi non mostrare che il centro della coda»)29.

Un insegnante affabile è stato Caretti e un amico generoso, pronto a battersi senza risparmio per difendere con dignità e a viso aperto (non con giochetti politici) i propri allievi meritevoli, ma anche maestro austero, autoritario, severo, per niente morbido, per niente remissivo, esigente e inflessibile, senza pacche sulle spalle, senza indulgenze, senza cameratismi. Molti dei suoi allievi (oggi anziani professori in pensione) si ricordano con angoscia, io per primo, di epiche e taglienti lavate di capo, rimaste indelebili nella memoria. Era il prezzo da pagare per entrare e restare nella sua scuola. Scuola vera, di alta formazione, ma scuola dura e faticosissima. Il serio apprendimento culturale non è uno scherzo, né una passeggiata.

 

5. Eredita di affetti

Il grande maestro si misura anche sulla eredità di affetti che ha lasciato. Si sa che i morti camminano in fretta e se ne vanno di passo lesto e sono presto dimenticati. Sono i veri maestri che lasciano eredità di affetti. A Caretti non sono mancati tributi di affezione e di stima. Nel 1985, per i suoi 70 anni, gli scolari gli hanno dedicato gli Studi di filologia e critica offerti dagli allievi a Lanfranco Caretti, Salerno Editrice di Roma, 2 volumi di quasi mille pagine (952 pagine): 28 saggi critici (28 allievi, 22 fiorentini, 6 pavesi). Ricordo che la stampa delle mille pagine ci impegnò nella ricerca di un finanziamento (senza Tabula gratulatoria, per espressa e categorica volontà del festeggiato: «non dovete andare a seccare i miei amici», ci intimò!) resa possibile dalla devota generosità del direttore della Salerno Editrice, l’amico Enrico Malato.

Nello stesso 1985 venne in luce il numero doppio speciale di «Filologia e Critica» dedicato a Caretti: Filologia e critica. Omaggio a Lanfranco Caretti: 24 autori, questa volta colleghi (tra gli altri, Vittore Branca, Gianfranco Contini, Carlo Dionisotti, Giovanni Aquilecchia, Cesare Segre, Sebastiano Timpanaro, Giorgio Petrocchi, e i colleghi della Facoltà fiorentina Domenico De Robertis, Giorgio Luti, Giuliano Innamorati, Mario Martelli).

Nel 1996 è uscita la Bibliografia degli scritti di Lanfranco Caretti,  a cura di Riccardo Bruscagli e Gino Tellini, Premessa di Sebastiano Timpanaro, Roma, Bulzoni. Il volume, di 220 pagine, presenta la schedatura sistematica di sessanta anni di attività critica (dal 1935 al 1995), incluse le principali recensioni ai vari volumi, tanto da rendere bene l’idea di una formidabile alacrità e continuità di lavoro. Anche sul versante dell’insegnamento: la Bibliografia infatti include l’elenco dei corsi universitari tenuti da Caretti (a Urbino, a Pavia, a Firenze), l’elenco completo delle tesi di laurea da lui seguite e discusse, nonché, tesi per tesi, gli esiti a stampa che in moltissimi casi ne sono derivati. Questa documentazione didattica (che si estende per 22 pagine) testimonia l’operosità e la passione dell’uomo di scuola per la formazione dei giovani. Sotto la sua guida sono cresciute schiere di insegnanti e di italianisti, docenti universitari in Italia e fuori d’Italia.

Nell’ottobre 2012 uno dei più affezionati allievi pavesi, Renzo Cremante, ha dato alle stampe in un’elegante plaquette, Filologia e critica. Tra antichi e moderni, Bologna, Clueb, l’intervento tenuto il 15 aprile 2011 nell’Aula Foscoliana dell’Università di Pavia in apertura della giornata promossa nell’ambito delle celebrazioni dei seicentocinquant’anni della costituzione dell’Università di Pavia, sotto il titolo Ricordando i maestri: letteratura e filologia italiana a Pavia nel secondo Novecento.

Nel 2016 è uscito un altro volume, di 373 pagine: Per Lanfranco Caretti. Gli allievi nel centenario della nascita 1915-2015, a cura di Riccardo Bruscagli e Gino Tellini, Firenze, Società Editrice Fiorentina: 27 contributi. Questa volta sono editi saggi critici attinenti a argomenti carettiani oppure ricordi personali legati all’insegnamento del maestro.

Sul periodo pavese di Caretti (ma non solo), è apparso nel 2017 il volume Filologia e filosofia (e critica). Lanfranco Caretti e dintorni, mezzo secolo dopo, a cura di Renzo Cremante, Luca Fonnesu e Federica Marinoni, Milano, Cisalpino: 10 contributi.

Il binomio dialettico e indissolubile filologia e critica sembra un obiettivo per tutti, a portata di mano e facile da raggiungere, ma non è così («a farcela!» diceva Caretti). Esso ha un preciso significato di metodo critico (come ho cercato di chiarire), ma non significa solo questo. Significa, in prospettiva più ampia, coerenza razionale, lucidità, perspicuità logica e ordine nell’organizzazione del lavoro. Significa fondamentale chiarezza e linearità espositiva, contro le astrazioni fatue, contro il gergo fumoso, contro le astruserie alla moda, supponenti, allusive, cifrate, care a tanti cattivi maestri (che non mancano mai, purtroppo, anche nelle aule universitarie). Significa rigore e integrità intellettuale. Primo Levi, in un saggio memorabile del 1976, Dello scrivere oscuro30, afferma che scrivere in modo non chiaro è una forma di violenza, e Levi sa bene di cosa parla quando parla di violenza. Alla scuola di Caretti, la chiarezza (nella oralità e nella scrittura) non era una questione di pulizia formale o di eleganza, era un indispensabile presupposto di etica e di onestà civile.

Note
  • 1

    Ammirati 2015.

  • 2

    Caretti 1960, p. 118.

  • 3

    Caretti 1952, p. 486.

  • 4

    Ibidem (questa citazione è tratta da una nota aggiunta nel 1955).

  • 5

    Timpanaro 1996, p. 17.

  • 6

    Caretti 1952, p. 487.

  • 7

    Caretti 1951.

  • 8

    Caretti 1953.

  • 9

    Caretti 1959.

  • 10

    Caretti 1996b.

  • 11

    Caretti 1976b.

  • 12

    Caretti 1987.

  • 13

    Il testo ora in Caretti 1987, pp. 13-27.

  • 14

    Itinerario di Solmi, in «Strumenti critici», III, 10, ottobre 1969, pp. 381-403; poi in Caretti 1976a, pp. 427-452; quindi, come Introduzione, in Solmi 1978, pp. V-XLI.

  • 15

    Il perpetuo “presente” di Sereni, in «Strumenti critici», I, 1, ottobre 1966, pp. 73-85; poi, come Introduzione, in Sereni 1973, pp. V-XXVI; quindi in Caretti 1976a, pp. 455-468.

  • 16

    I geniali umori di Gadda (1963), in Caretti 1976b, pp. 173-176.

  • 17

    Moretti e Palazzeschi, in Caretti 1976b, pp. 67-107.

  • 18

    Caretti 1978.

  • 19

    Per un’edizione di Svevo (1980), in Caretti 1987, pp. 149-151; ma vd. anche Montale e Svevo, in Caretti 1976b, pp. 108-145.

  • 20

    Govoni “inedito” (1975), in Caretti 1976b, pp. 1-13.

  • 21

    Per un’edizione delle «Poesie» di Pavese (1968), in Caretti 1976b, pp. 190-197: «non persuade l’operato di Italo Calvino, per tanti altri aspetti benemerito editore e chiosatore delle pagine pavesiane, il quale nel pubblicare nel 1962 le Poesie edite e inedite (Torino, Einaudi) […] ha ritenuto di doversi attenere a criteri strettamente cronologici e ha dissolto l’organismo compatto di Lavorare stanca abolendo i gruppi interni e stampando le singole poesie, che costituiscono quel libro unitario, secondo l’ordine di composizione e alternandole, a seconda che la cronologia lo esigesse, con un nutrito numero di poesie inedite, ritrovate tra le carte pavesiane e attribuibili agli anni 1931-1940, cioè agli anni delle altre poesie di Lavorare stanca, ma evidentemente scartate dall’autore». La garbatissima replica dell’amico Calvino, contenuta nella lettera privata inviata a Caretti da Torino il 1° aprile 1969, si legge in Calvino 2000, pp. 1042-1044: «Caro Caretti, […] il tuo rimprovero all’ordine cronologico di Poesie edite e inedite che rompeva la struttura di Lavorare stanca è giusto. Ossia il mio lavoro aveva un senso come strumento di studio, perché ricostruiva una specie di diario poetico; ma il fatto che circolasse come la raccolta delle poesie di Pavese era senz’altro un errore» (p. 1042).

  • 22

    Il “fidato” Elia (1960), in Caretti 1961, p. 46.

  • 23

    Ivi, pp. 47-48.

  • 24

    Edito negli Atti relativi (Bologna, Commissione per i Testi di Lingua, 1961, pp. 391-400), ma già in «Paragone / Letteratura», XI, 126, giugno 1960, pp. 42-49; poi  in Caretti 1961, pp. 127-139; quindi in Caretti 1999, pp. 89-101 (da cui si cita).

  • 25

    Ivi, p. 91.

  • 26

    Ivi, p. 93.

  • 27

    Ibidem.

  • 28

    Eugenio Montale, Un filologo stravagante (1951), in Montale 1996, I, p. 1305-1311.

  • 29

    Pietro Pancrazi, L’esempio di Verga (1920), in Pancrazi 1967, I, p. 371.

  • 30

    Levi 1976.

Bibliografia
  • Ammirati 2015 = Il Fondo Lanfranco Caretti, a cura di Angela Ammirati, Ferrara, Comune di Ferrara, Biblioteca Ariostea, 2015.

  • Bruscagli-Tellini 1996 = Bibliografia degli scritti di Lanfranco Caretti, a cura di Riccardo Bruscagli e Gino Tellini, Premessa di Sebastiano Timpanaro, Roma, Bulzoni, 1996.

  • Calvino 2000 = Italo Calvino, Lettere 1940-1985, a cura di Luca Baranelli, introduzione di Claudio Milanini, Milano, Mondadori, 2000.

  • Caretti 1951 = Saggio sul Sacchetti, Bari, Laterza, 1951.

  • Caretti 1952 = Filologia e critica, in «Aut Aut», 12, novembre 1952, pp. 484-506; poi in Caretti 1955, pp. 1-25; quindi in Caretti 1976a, pp. 469-488 (da cui si cita).

  • Caretti 1953 = Giovanni Della Casa, uomo pubblico e scrittore, in «Studi Urbinati», XXVII, n.s., 1, 1953, pp. 30-45; poi in Caretti 1955, pp. 63-80; quindi in Caretti 1976a, pp. 135-150.

  • Caretti 1955 = Filologia e critica. Studi di letteratura italiana, Milano-Napoli, Ricciardi, 1955.

  • Caretti 1959 = Il «Diario» del Pontormo, Roma, Bibliotechina della «Rassegna di cultura e vita scolastica», 1959; poi, con il titolo Il lunatico Pontormo, in Caretti 1964, pp. 57-65; quindi in Caretti 1976a, pp. 153-160.

  • Caretti 1960 = Lanfranco Caretti, in Ritratti su misura di scrittori italiani. Notizie biografiche, confessioni, bibliografie di poeti, narratori e critici, a cura di Elio Filippo Accrocca, Venezia, Sodalizio del Libro, 1960, pp. 118-119.

  • Caretti 1961 = Il "fidato" Elia e altre note alfieriane, Padova, Liviana, 1961.

  • Caretti 1964 = Dante, Manzoni e altri studi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1964.

  • Caretti 1976a = Antichi e moderni. Studi di letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1976.

  • Caretti 1976b = Sul Novecento, Pisa, Nistri Lischi, 1976.

  • Caretti 1978 = Palazzeschi oggi, Atti del Convegno, Firenze 6-8 novembre 1976, a cura di Lanfranco Caretti, Milano, il Saggiatore, 1978.

  • Caretti 1987 = Montale, e altri, Napoli, Morano, 1987.

  • Caretti 1996a = Antichi e moderni. Studi di letteratura italiana. Seconda serie, Roma, Salerno Editrice, 1996.

  • Caretti 1996b = Foscolo. Persuasione e retorica, Pisa, Nistri-Lischi, 1996.

  • Caretti 1999 = Studi sulle lettere alfieriane, a cura di Angelo Fabrizi e Clemente Mazzotta, Modena, Mucchi, 1999.

  • Levi 1976 = Primo Levi, Dello scrivere oscuro, in «La Stampa», Torino, 11 dicembre 1976; poi in L’altrui mestiere, Torino, Einaudi, 1985.

  • Montale 1996 = Eugenio Montale, Il secondo mestiere, a cura di Giorgio Zampa, Milano, Mondadori, 3 voll., I-II (Prose 1920-1979), III (Arte, musica, società).

  • Pancrazi 1967 = Ragguagli di Parnaso. Dal Carducci agli scrittori d’oggi, a cura di Cesare Galimberti, Milano-Napoli, Ricciardi, 3 voll., 1967.

  • Sereni 1973 = Vittorio Sereni, Poesie scelte (1935-1965), Milano, Mondadori, 1973.

  • Solmi 1978 = Sergio Solmi, Poesie (1924-1972), a cura di Lanfranco Caretti, Milano, Mondadori, 1978.

  • Timpanaro 1996 = Sebastiano Timpanaro, Premessa, in Bruscagli-Tellini 1996, pp. 15-24.

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