Abstract
Lo studio ripercorre parte dell’attività di Romagnoli e mette in risalto l’intenso rapporto da lui stabilito tra l’insegnamento e la ricerca.
The essay traces a part of Romagnoli’s activity and highlights the deep connection he established betwen teaching and research.
Parole chiave
Keywords
1.
Quando con la conclusione dell’a.a. 1992-1993 Sergio Romagnoli andò fuori ruolo lasciando la cattedra di Lingua e letteratura italiana tenuta per circa un trentennio presso la Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Firenze1, i colleghi del Dipartimento di Italianistica gli resero omaggio con un volume. Non una Festschrift che, come sapevano, non avrebbe gradita, ma con una raccolta di suoi scritti, risalenti a periodi diversi, dal 1962 al 1986, riuniti sotto il titolo Per una storia della critica letteraria. Dal De Sanctis al Novecento (Firenze, Le Lettere, 1993)2. Attraverso le pagine veniva a delinearsi la duplice tendenza della critica letteraria italiana dall’Otto al Novecento: quella di matrice desanctisiana e l’altra di impronta carducciana. Il volume, pertanto, si apriva con gli Studi sul De Sanctis, già editi da Einaudi (1962), si snodava attraverso i saggi su Giosuè Carducci e su Manara Valgimigli, riprendeva gli interventi sul dibattito sulla storia letteraria, segnatamente su La cultura di Alberto Asor Rosa – tomo II del IV volume della Storia d’Italia Einaudi (1975) – e si chiudeva con un profilo di Carlo Salinari con il quale Romagnoli condivideva la convinzione che «la base storica sia preliminare e fondamentale a qualsiasi indagine critica e tuttavia nient’affatto totalizzante e preclusiva di altre esperienze»3. Scrivendo così a proposito dell’amico, Romagnoli parlava di sé e chi lo ha seguito negli anni, anche assistendo alle sue lezioni, ha avuto modo di constatare quanto avvertisse la necessità del confronto con nuovi strumenti interpretativi senza mai tradire per questo la tradizione dello storicismo. I seminari, le lezioni, la didattica in generale, comprese le relazioni delle tesi di laurea, erano il laboratorio attraverso cui, secondo una tradizione accademica oggi purtroppo desueta e non per responsabilità dei docenti, verificava ipotesi di lavoro educando gli allievi alla difficile «arte di leggere lentamente». Ottocento tra letteratura e storia (Padova, Liviana, 1961), Momenti di vita civile e letteraria (Padova, Liviana,1966) sono a fondamento di un’attività di studioso intesa come impegno etico-politico, un convincimento che veniva da lontano – dalla tradizione familiare e dall’impegno sul fronte della Resistenza, aspetti che sono stati ben messi in luce da Giuseppe Ricuperati, Renato Pasta, Mario Mirri e Franco Cingano4 – ed al quale Romagnoli mantenne fede anche negli anni della maturità, allorché per l’analisi dei testi si avvalse degli strumenti linguistici e narratologici. Per questo verso il quadro storico letterario precedentemente tratteggiato con passaggi rapidi dal «ritratto allo sfondo si rinvigoriva attraverso un connubio che valorizzava in lui ancor più l’eleganza di scrittura, il dono di lettore raffinato e di critico» che sapeva «valersi con competenza e discrezione della strumentazione filologica senza cadere nell’affliggente filologismo con cui spesso si cerca di mascherare una condizione di impotenza esegetica»5. Di questo suo percorso oltre ai saggi fanno fede il fondo librario da lui lasciato al Dipartimento di Italianistica, i volumi della personale biblioteca donati dagli eredi per sua espressa volontà alla Biblioteca Comunale Panizzi di Reggio Emilia, i temi e la bibliografia dei corsi universitari6. Posso ricordare quelli del biennio ‘77-‘79 sullo Studio delle tecniche narrative nella letteratura italiana dal Sette al Novecento, per i quali era consigliata la lettura di Figure III di Genette (Einaudi, 1976) e il più didattico Universo del romanzo di Bourneuf-Ouellet (Einaudi, 1976). Ma ho in mente soprattutto il corso su Ippolito Nievo e la letteratura rusticale7 tenuto nell’a.a. 1968-69 che seguii in quanto studentessa del II anno. La Morfologia della fiaba di Propp (Einaudi, 1966), i Formalisti russi a cura di Todorov (Einaudi, 1968), gli Aspetti del romanzo di Forster (il Saggiatore, 1963) erano tra le letture raccomandate. Le dispense, frutto del seminario accostato al corso8, rimangono a testimonianza di un’indagine in cui «alcune tecniche […] approntate dai laboratori strutturalistici» erano utilizzate «mantenendo i contatti con la grande tradizione storicistica». Traggo queste parole dalla Presentazione scritta da Romagnoli a I promessi sposi. Manzoni e la guerra contro il tempo di Bruno Stagnitto (Padova, Liviana). Era il 1973; in quegli anni Manzoni era al centro dell’attenzione di Romagnoli. Per un triennio, dal 1971 al 1974, dedicò i corsi monografici a I promessi sposi9 e al tempo stesso, con un nesso ben saldo tra didattica e ricerca, preparava la cura del Fermo e Lucia10, partecipava alle celebrazioni manzoniane con relazioni sul romanzo presentate a convegni (1973,1976), a riunioni del Circolo filologico padovano (1976), a sedute dell’Accademia dell’Arcadia in Roma (1972)11.
2.
Più tardi (1984) riunì i contributi sotto il titolo di Manzoni e i suoi colleghi, un volume dall’impianto solidissimo. Procedendo per sondaggi ricomponeva il quadro della narrativa italiana del XIX secolo sino alle soglie del Novecento. Al suo interno I promessi sposi sono punto di riferimento costante sia che il genere risenta di Byron con storie di briganti (come in Guerrazzi), sia che sulla scia di Sue tenti i misteri cittadini, sia che pieghi verso il romanzo intimistico. A questo proposito – cioè per lo sviluppo del romanzo intimistico – nella lettura di Romagnoli momento privilegiato è l’elaborazione dell’«Addio ai monti» esaminato mediante il confronto tra il Fermo e Lucia e I promessi sposi. Nel testo del ’21-’23 il brano – avverte Romagnoli – «risulta ancora dispersivo», vi hanno parte determinante, secondo il modello di Walter Scott, «gli elementi di costume»12, nella versione del ’27-’40, «senza retorica», emerge «la realtà della vita psicologica e sentimentale»13, una novità, anche rispetto alla narrativa europea, che fu prontamente colta da Niccolò Tommaseo, il primo a intuire e a trarre giovamento con Fede e bellezza dalla «grande possibilità innovativa provocata dalla semplificazione della trama e del disegno e dalla monotonalità di uno stile intimistico»14.
In dialogo con Giorgio Petrocchi, Lanfranco Caretti, Claudio Varese e con giovani studiosi (tra loro Luca Toschi che stava lavorando a Si dia un padre a Lucia)15, Romagnoli leggeva I promessi sposi mediante il raffronto con Fermo e Lucia e ne scopriva l’intima politicità senza per questo cadere in un’interpretazione attualizzante. Nel clima di vivace dibattito stimolato anche dagli interventi di Sebastiano Timpanaro (mi riferisco in particolare a I manzoniani del “compromesso storico” e alcune idee su Manzoni, 1982), egli non condivideva le riserve sul progressismo manzoniano e rimuoveva, anche con le lezioni, ogni interpretazione attenuativa.
L’urgenza di una revisione del Fermo, secondo lui, era nata nello scrittore dall’«esigenza di fondere la propria arte col proprio ideale»16 e per questo Manzoni rielaborò i propri personaggi fin dai primi capitoli in vista di «un racconto più coerente e più verosimile tanto sotto il profilo psicologico quanto nell’ambito della dialettica tra indole naturale e condizioni storico-sociali»17.
Manzoni si dovette accorgere – scriveva – che […] se intendeva proporre a se stesso e ai lettori un diverso romanzo, che, dal piano del costume, sia pur privilegiato in senso morale, si dovesse alzare ad un piano più diversamente compenetrato di etica cristiana e di maggiore commozione perché più compreso della guerra tra il bene e il male, che si combatte nei misteri dell’animo, […] era necessario in special modo, elevare ad un più alto grado i personaggi. Il grande progetto di una società evangelico-liberale, che scaturisce con una sua pacata ma guerriera evidenza carica di spiriti utopici dai Promessi sposi, avrebbe dovuto essere esemplificato nella polifonia delle diverse voci dei personaggi.18
L’elaborazione riguardò personaggi maggiori e minori, coinvolse don Abbondio e Padre Cristoforo, non tralasciò Renzo e Lucia: l’una, sottratta al quadro di costume, viveva di una più intima dimensione spirituale, l’altro, non più Fermo Spolino, era destinato a svilupparsi come personaggio «tragico» nel momento in cui gli era affidata la responsabilità del perdono cristiano.
Fermo e Lucia, La promozione dei personaggi da Fermo e Lucia ai Promessi sposi, Padre (Galdino) Cristoforo, Variazioni sui personaggi manzoniani sono i capitoli attraverso i quali Romagnoli procede nella sua indagine riservando al protagonista maschile del romanzo le pagine su Lingua e società nei Promessi sposi. Qui lo studioso, a proposito del «processo di distinzione linguistica» tra personaggi di classi sociali diverse, rileva come Manzoni avesse risolto il nodo sul piano «dei livelli di comunicazione e quindi di comportamento»19. Attraverso Renzo, incapace di intendere «la connotazione allusiva delle parole», Manzoni mette a nudo la violenza che permea la società lombarda del Seicento: «In un secolo adottato come emblematico di errati e ingiusti rapporti fra le classi», quella «dominante […] appare possedere il controllo dei codici linguistici e delle modalità di codificazione, nonché il controllo dei canali ovvero delle modalità di circolazione dei messaggi e infine il controllo delle modalità di decodificazione e di interpretazione»20.
Nell’accostarsi alla storia interna dei Promessi sposi, Romagnoli aveva presente anche il travaglio teorico del Manzoni, la discussione con e dei contemporanei. Era solito richiamare, anche a lezione, la metafora dei burattini impiegata dallo scrittore a proposito dei personaggi, oppure citare la pagina di Cattaneo dove il meccanismo narrativo era paragonato a un’ars combinatoria per cui si potevano scrivere passabilmente
un paio di volumi mescolando non senza garbo quegli otto o dieci caratteri di convenzione e quelle venti o trenta combinazioni di fatti, con cui si può comporre un numero qualunque di romanzi, a un dipresso come con un mazzo di carte o con una scatola di scacchi si può fare un numero qualunque di partite.21
In una stagione di strutturalismo e di teorie della letteratura diffuse citava questi due passi con divertito intento provocatorio, ma anche convinto «che il Manzoni e i suoi contemporanei fossero ben edotti intorno alle tecniche del romanzo»22. A questo fine considerava la prima ricezione dei Promessi sposi. Alle sue spalle aveva l’ampio capitolo sul Romanzo storico approntato per la Storia della letteratura italiana diretta da Cecchi e Sapegno che risaliva al 1968, ma a un quindicennio di distanza leggeva in modo nuovo le recensioni apparse sulla «Biblioteca italiana» e sull’«Antologia». Gli interventi di Niccolò Tommaseo e di Paride Zajotti davano idea di quali e quanti fossero i pregiudizi dei primi lettori-letterati e soprattutto Zajotti con una critica sostitutiva riscriveva il romanzo suggerendo tecniche basate sul modello scottiano, insomma il critico trentino «nulla sapendo del Fermo e Lucia o per lo meno senza aver potuto avere accesso agli scartafacci manzoniani, parve intuire che in origine era esistito un romanzo diverso e che molti episodi nei Promessi sposi quell’esito diverso l’avevano pur avuto, spesso simile o vicino [a quello suggerito da lui] nel Fermo e Lucia»23.
Romagnoli tornava sugli articoli di due dei più rappresentativi lettori degli anni ’20-’30 dell’Ottocento nel clima di un rinnovato interesse per il romanzo storico, che lui stesso aveva contribuito a riscoprire, di nuovi studi sulle riviste: sull’«Antologia» di Gian Pietro Vieusseux e sulla «Biblioteca italiana» appena ricordate. A questa concomitanza di interessi sono da ricondurre le tre giornate sulle Teorie del romanzo nel primo Ottocento promosse dal Dipartimento di Italianistica dell’Università di Firenze su suggestione proprio di Romagnoli. Lo scopo del seminario, cui parteciparono studiosi di generazioni e di scuole diverse, fu chiarito da Romagnoli stesso nella relazione di apertura.
Desidereremmo […] apparisse chiaro – esordiva – che non è nostro intento ritessere la vicenda della discussione sul romanzo storico. […]. Il fatto è che in qualche corso e in qualche seminario sul primo Ottocento e in particolare sulla narrativa di quel periodo ci eravamo accorti che sovente gli scritti più acuti si leggevano non tanto nei trattati di retorica quanto nei periodici che proprio durante la Restaurazione fiorirono negli stati italiani con diversi intenti e sempre con voci per intelligenza non flebili.24
Le recensioni, dunque, le prefazioni, i riassunti venivano considerati in quanto luoghi impiegati da autori e critici non tanto in senso illustrativo quanto per sviluppare un discorso teorico sulla funzione e sulle forme della letteratura. Ma nel momento stesso in cui dettava la linea dell’incontro Romagnoli, come spesso accadeva, suggeriva un percorso di ricerca che dall’estratto dei giornali del Settecento giungesse alle recensioni primo-ottocentesche da lui avvertite come
un genere letterario in via di costituzione per appoggiare il rinnovamento critico proprio del Romanticismo e puntato, quindi, a trattare in particolar modo del romanzo, ossia di un genere anch’esso rinnovato, con sicurezza emergente e […] in procinto di divenire egemone. Quelle recensioni si configurano come i paradigmi del futuro e dell’imminente intervento critico, come la voce più prossima a quella saggistica che potremmo chiamare, appunto, di intervento e nella quale eccelse negli anni Cinquanta a Torino e a Zurigo l’esule Francesco De Sanctis.25
3.
In Manzoni e i suoi colleghi, a proposito del Brigante nel romanzo storico italiano, Romagnoli dedicava un ritratto alla «pittorica immagine» dello Spaccafumo, celebre contrabbandiere nelle Confessioni d’un Italiano, «imprendibile fantasma delle barene e delle forre che si stendevano da Portogruaro verso il mare e le lagune venete, cavaliere grande e possente, dalla gran barba nera, protettore ed amico dei poveri, soccorritore burbero dei fanciulli sperduti»26. E il nome di Nievo ricorre più volte nel volume, segno di un interesse mai venuto meno per l’autore che Romagnoli, più di altri, ha contribuito a togliere dall’angolo dei minori. Nella storia della fortuna nieviana, i due pilastri della rinascita dello scrittore furono messi negli anni Cinquanta del secolo scorso da Sergio Romagnoli e da Iginio De Luca, coetanei, entrambi padovani per formazione. All’intelligenza di De Luca dobbiamo la prima edizione del Varmo (Padova, A.P.E., 1945) e del Novelliere campagnuolo (Einaudi, 1956). A Romagnoli il volume delle Opere pubblicato nel 1952 nella collezione Storia e testi della casa editrice Ricciardi. Con questo il critico, appena trentenne, faceva piazza pulita dei luoghi comuni che avevano ridotto Nievo all’immagine del «poeta soldato», per coglierne invece tutta la ricchezza e novità. Non si limitava alle Confessioni d’un Italiano; richiamava tutta l’opera (dai romanzi così detti minori ai racconti, alle liriche, alle tragedie e alle lettere), compresi gli Studi sulla poesia popolare e civile massimamente in Italia e gli ultimi due scritti, Venezia e la libertà d’Italia e il Frammento sulla rivoluzione nazionale, nati, sottolineava, «da un’intelligenza di politico»27. Anna Nozzoli, nel suo contributo su Romagnoli nievista, si chiede «attraverso quale processo […] la figura e l’opera di Ippolito Nievo abbiano fatto irruzione nella vita di un giovanissimo germanista»28. Tra le ragioni che lo portarono allo scrittore veneto dovettero influire memorie familiari (il nonno paterno, Edoardo, aveva preso parte alla spedizione dei Mille; esisteva un legame per via femminile con Aurelio Saffi), la vicinanza a Luigi Russo29, curatore di un’edizione ridotta delle Confessioni nieviane (Le Monnier,1934) e delle Noterelle di Giuseppe Cesare Abba30, la Resistenza, da Romagnoli vissuta al pari di altri come secondo Risorgimento31, l’amicizia con altri giovani padovani32: con De Luca, appena ricordato, che già nel 1946 attraverso Gastone Manacorda, cugino di Romagnoli, cercava un editore per il Novelliere33, con Filippo Zampieri, interessato invece all’epistolario34.
Ufficialmente Romagnoli manifestò l’interesse a Nievo nel 1950. Nell’anno in cui pubblicava la traduzione di Ecce homo di Nietzsche e mentre lavorava con Emma Cantimori Mezzomonti alla traduzione dei voll. IV e V del Carteggio Marx-Engels, recensì per «Il Nuovo Corriere» di Bilenchi (14 gennaio 1950) e «Il Ponte» (a. VI, n. 5, maggio 1950) due studi nieviani di Luigi Ciceri. Al contempo era maturata in lui l’idea di un Ottocento rivisto attraverso «gli scrittori progressivi del Risorgimento»35 e in questa prospettiva elaborò, tra il 1948 e il 1951, il progetto di un’edizione completa dell’opera di Nievo da realizzarsi presso Einaudi36. Degli otto volumi previsti nel piano videro la luce il Novelliere campagnuolo curato da De Luca e il Teatro realizzato da Emilio Faccioli per esigenze accademiche e che non giunse in libreria. Seppure l’iniziativa, progettata con tanto entusiasmo, arenasse, segnò un altro momento decisivo per la riscoperta di Nievo e ad essa Romagnoli avrebbe continuato a dare un apporto incisivo recuperando nel suo autore il dialogo con la letteratura europea. A questo proposito conviene leggere dal suo Ritorno del Nievo:
Cercò [Nievo] con audacia un legame tra la tradizione narrativa settecentesca che aveva ammirato e fermato in due diversissimi autori, lo Sterne e il Rousseau, e il nuovo romanzo ottocentesco. Partito sandiano, si ritrovò accanto al Manzoni, ma seppe liberarsi presto del manzonismo, che non gli era congeniale, e fu da ultimo scrittore di composita formazione europea, sì che è facile trovargli parentele con il Thackray di Henry Esmond, con il Dickens, con i maggiori romanzieri francesi. Di cultura vastissima e curiosa, durante la stesura delle Confessioni d’un Italiano arrivò a conoscere il Poe, indubbiamente attraverso il Baudelaire.37
La pagina è del 1956; gli sviluppi della critica nieviana hanno mostrato quanto Romagnoli avesse visto giusto e lui stesso non avrebbe lasciato cadere questi temi. Il legame tra Nievo e la cultura settecentesca, da lui, specialista dell’Illuminismo settentrionale, era avvertito oltre che nell’idea di una letteratura capace di «riferirsi a particolari, concrete situazioni», nelle forme, nell’adozione di una lingua «che non rifuggisse dal dialetto e che parlasse per “farsi intendere da molti”»38. Il frutto di un esercizio critico durato un quarantennio – dalle recensioni degli anni ’50 all’edizione delle Confessioni d’un Italiano del 1990 – è riunito nel volume Di Nievo in Nievo pubblicato postumo (2013). Testimonianza della fedeltà all’autore, la raccolta è riprova della capacità di Romagnoli di rinnovarsi. Per darne idea mi soffermo rapidamente su due saggi: le Annotazioni preliminari alle rubriche di Nievo (1985) e l’Introduzione alle Confessioni del 1990. Nel primo, da una parte risalta il legame intenzionale dello scrittore con la tradizione autobiografica veneziana (Goldoni, Carlo Gozzi, Casanova), dall’altra l’analisi per campioni delle rubriche del romanzo considera la funzione di questi «riassunti anticipati» rispetto al lettore e il rapporto con «il segmento narrativo del capitolo»39. Ma l’intervento è inserito in un discorso più ampio e avrebbe dovuto costituire il tassello di uno studio sulla «partizione ufficiale delle opere narrative» – ovvero sul modo tenuto nel dividere e collegare i capitoli – in vista del quale Romagnoli lavorava raccogliendo materiali40. L’introduzione del ’90 è a tutt’oggi ineludibile per chi si occupa delle Confessioni. Già con l’edizione del ’52 Romagnoli aveva posto le basi della filologia nieviana rimediando ai guasti apportati al testo del romanzo dai precedenti curatori. Ma nel ’90 tornava ad esse con sensibilità acuita, con «attenzione più conservativa delle abitudini grafiche, interpuntive e morfologiche» dello scrittore. Non era per pedanteria. La scelta metteva a stretto contatto la posizione tenuta da Nievo circa l’unità linguistica (più vicina ad Ascoli che a Manzoni) con la forma narrativa – quella autobiografica – impiegata per raccontare la vita dell’ottantenne Carlino Altoviti che nato «veneziano ai 18 ottobre 1775» inizia a scrivere di sé «alla sera di una grande sconfitta» cioè della battaglia di Novara (25 marzo 1849). «L’uso delle scempie, delle doppie e dei dittonghi […] gli errori di ortografia», presenti nel manoscritto delle Confessioni dal principio alla fine, possono considerarsi «mimesi di una scrittura incerta ma spontanea […] conversevole»41, peculiare dell’ottuagenario che già all’inizio del primo capitolo sollecita la benevolenza dei lettori dichiarando loro la sua «quasi ignoranza letteraria» e la scarsa dimestichezza con l’«arte dello scrivere».
Restano fuori da Di Nievo in Nievo, perché non isolabili, le pagine su Spazio pittorico e spazio letterario da Parini a Gadda, un ampio studio, quasi un libro, inserito negli Annali. Paesaggio della Storia d’Italia Einaudi. Questo contributo, modello di indagine multidisciplinare, con intersezioni tra gusto figurativo e parola, ebbe come momento preliminare il corso dell’a.a. ’79-’80 su Spazio letterario e spazio pittorico dal Settecento al Novecento. Non ho dimenticato le lezioni, cui assistevo da giovane ricercatrice, durante le quali il professore, con la sua padronanza della cultura figurativa, insegnava a saper vedere nella descrizione di un paesaggio «un disegno, una tela dipinta»42. Nella rappresentazione dello spazio «più che il paesaggio reale» coglieva «il paesaggio mentale»43, ossia il valore simbolico di un’immagine mutevole nel tempo. Da questo punto di vista considerava anche la descrizione del castello di Fratta con la quale Nievo rovesciava i topoi dei «castelli di fattura romantica». Nelle Confessioni d’un Italiano, l’io narrante ci offre un’immagine sdoppiata del castello. Ne rappresenta l’esterno con una descrizione di impronta umoristica, ma per l’interno, giunto al grande focolare, recupera la percezione infantile e con essa «l’elemento fiabesco e la dismisura magica». Romagnoli scorge nel contrasto di registri il rispecchiamento dello stato d’animo dell’ottuagenario scisso tra volontà ordinatrice e confessione e, più in generale, vi vede riflesso «il difficile rapporto tra io attuale e io storico che s’insinua nel genere autobiografico e che conseguentemente dovrebbe apparire anche nella sua finzione»44.
4.
Nievo, Manzoni, il romanzo storico, De Sanctis sono alcuni dei temi coltivati da Romagnoli. Non parlo in questa circostanza del suo Settecento perché in merito è intervenuto di recente e con autorevolezza Renato Pasta45. Non posso, tuttavia, concludere senza ricordare il suo interesse per il teatro, avvertito come «parte essenziale della vita di una comunità, senza la quale viene a mancare un legame necessario e perciò prezioso fra i diversi momenti positivi della dinamica cittadina»46. Così scriveva introducendo i due volumi del Teatro a Reggio Emilia, frutto del lavoro di una equipe da lui guidata con Elvira Garbero. La ricchezza di documenti custoditi con premurosa cura e sagace competenza nella Biblioteca Comunale e negli Archivi della città emiliana avevano dato modo di offrire un esempio di storia complessiva dello spettacolo, inteso come fenomeno legato alla vita culturale, civile e politica47. Eravamo nel 1980 e con questa introduzione Romagnoli tornava agli studi sul teatro, assenti nella sua bibliografia dal 1959 dopo ripetuti interventi su Ruzante (1952, 1953, 1954, 1959), su Metastasio (1951, 1955), su Goldoni (1953). Fondamentali per questa ripresa furono sicuramente l’amicizia, mai venuta meno, con Mario Baratto, Elvira Garbero, Ludovico Zorzi, Cesare Molinari; ma decisivi dovettero essere per lui l’esperienza del convegno su Reggio e i Territori Estensi dall’Antico Regime all’Età Napoleonica (18-19-20 marzo 1977) organizzato con Marino Berengo e il legame di profonda stima che stabilì con Giorgio Cagnolati, Giuseppe Armani, Susi Davoli, Maurizio Festanti, Giuseppe Gherpelli. L’idea di «riesaminare la storia della città» andando oltre gli studi di carattere locale, di approfondire temi generali a partire dal «basso»48, avrebbe contribuito a mettere a punto un metodo di lavoro, anche collettivo, di cui Romagnoli si sarebbe avvalso negli anni futuri, in special modo quando andò a presiedere l’Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Goldoni edita dalla casa editrice Marsilio.
L’imponente messe di fonti documentarie e la loro qualità, la parte fondamentale svolta da Agostino Paradisi in sodalizio con Francesco Albergati Capacelli nel rinnovamento delle scene reggiane con le rappresentazioni di Voltaire e di Goldoni, lo convinsero ancor più che il Settecento è stato un secolo «eminentemente teatrale»49, che il teatro fu il mezzo attraverso cui le idee illuministiche misero radici anche in Italia. Non casualmente ai volumi sul Teatro a Reggio Emilia, promossi dall’Amministrazione Comunale e dal Teatro Municipale «Romolo Valli», seguirono di lì a poco Il teatro e «Il Caffè»50 (1981), il progetto di un ciclo di conferenze su Scene e figure del teatro italiano cui contribuì con Nel laboratorio di Carlo Goldoni51 (1981) e poi la messa a punto con altri studiosi (ricordo Ezio Raimondi, Fabrizio Cruciani, Lorenzo Bianconi, Guido Davico Bonino) del programma del convegno su Settecento e civiltà teatrale in Emilia52, realizzato nell’ambito del programma di ricerche su «Cultura e vita civile nel Settecento emiliano», la partecipazione al comitato scientifico della collana «Proscenio» fondata con la precisa volontà di fornire strumenti di conoscenza, di recuperare la specificità della memoria di un territorio nelle sue relazioni con l’insieme della vita culturale e sociale di un’epoca53.
Allo stesso modo degli storici dello spettacolo, considerava l’evento teatrale come il risultato di una convergenza tra autore-attore-pubblico, una sinergia tra testo, rappresentazione, accoglienza degli spettatori. E proprio partendo dal rapporto – mutevole di recita in recita, di situazione in situazione – tra testo-lingua e testo-scena scrisse l’Introduzione alle Tragedie di Vittorio Alfieri (1985). Pagine in cui, con la consueta eleganza, affrontava uno dei motivi dominanti la discussione sul teatro nel Settecento: «la reciproca diffidenza tra scrittori drammatici e compagnie comiche»54. Un vero rovello per Alfieri che ricorse ai «semi-pubblici» dei salotti e solo eccezionalmente andò a vedere il Saul interpretato da Antonio Morrocchesi a Firenze, al Teatro di Santa Maria (1794); ma, a ben guardare un problema anche per Goldoni. Romagnoli aveva presente la fatica, il rischio cui si espose il commediografo il quale, a differenza dei «drammaturghi letterati», che «pur avevano tentato e attuato l’eliminazione delle maschere», si fece «poeta prezzolato»55 e in questa veste affrontò la sfida della riforma. Era un modo di avvicinarsi a Goldoni il suo che lo portava a leggere Il teatro comico «non tanto come un trattato di drammaturgia, ma come un brogliaccio, un quaderno di regia, un diario di pratica esperienza teatrale»56. Questa sensibilità per la scena che Romagnoli possedeva e di cui si avvantaggiava mantenendo distinti i campi disciplinari – quello della storia dello spettacolo e quello della letteratura teatrale – fece sì che a lui fosse affidata la presidenza dell’Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Goldoni. Fu un incarico che assunse con entusiasmo, che svolse con pazienza fino al momento del decesso esercitando spesso opera di mediazione tra gli studiosi chiamati a collaborare. L’impresa, messa a punto, dopo incontri e accese discussioni svoltesi a Venezia a Casa Goldoni, prese il via nel 1993 ed ancora procede. Insieme agli studi fa parte del patrimonio intellettuale consegnato da Romagnoli alle nuove generazioni di studiosi e di studenti.
Gli faremmo torto, però, se celebrando il centenario dell’Università di Firenze, dimenticassimo che del suo Nachlass fa parte anche Palazzo Marucelli-Fenzi come è ricordato nella Breve storia di Palazzo Marucelli-Fenzi leggibile nel sito del Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo (SAGAS)57:
Fu acquistato [il palazzo] il 25 giugno 1971 dal Rettore dall’Università degli Studi di Firenze, Prof. Giorgio Sestini, su proposta del Prof. Sergio Romagnoli, sostenuto dal Prof. Meo Zilio, Preside della Facolta di Magistero, dove allora il Prof. Romagnoli era Ordinario di Letteratura italiana.Fu grazie alla lungimiranza e alla capacità di valutazione della struttura e del contenuto da parte di Sergio Romagnoli, se ora l’Ateneo dispone di uno dei palazzi fiorentini più importanti.
Per capire quanta modestia si accompagnasse alla conoscenza, all’amore e interesse per l’arte e anche per l’Università, occorre ricordare quanto, rispetto a questa impresa, raccontava lo stesso Prof. Romagnoli: “il viaggio in treno andata e ritorno per concordare l’acquisto, fu brevissimo: tornammo subito a Firenze, non andammo neppure a pranzo”.
L’atto di compravendita fu rogato dal notaro Vasco Bartoli e registrato a Firenze il 10 luglio dello stesso 1971.
Note
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Nato a Bologna il 22 dicembre 1922, Romagnoli si era laureato in Letteratura tedesca all’Università di Padova con una tesi su Eduard Mörike discussa con Bonaventura Tecchi. Giunse alla Facoltà di Magistero di Firenze nell’a.a. 1967-68 chiamato sulla cattedra già tenuta da Raffaello Ramat, deceduto nel luglio 1967. Il primo profilo biografico di Romagnoli si deve a Giuseppe Ricuperati (Ricuperati 1999, pp. 3-31). Più recenti i contributi di Renato Pasta e di Diego Salvadori (Pasta 2021; Salvadori 2022).
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In appendice al volume è disponibile una Bibliografia, non completa, dei suoi scritti.
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Romagnoli 1993, p. 322.
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Cingano 1999, pp. 121-124; Mirri 1989, p. 305n.
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Ghidetti 1999, p. 84.
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L’elenco dei corsi monografici in Turchi 1999.
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Questo era anche il titolo di un suo volume del 1966 (Padova, Liviana).
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Si tratta di tre fascicoli ciclostilati che raccolgono i lavori di due studentesse: Letizia Piochi e Maria Paola Pieroni.
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Alessandro Manzoni romanziere. Lettura dei Promessi sposi (1971-72); Alessandro Manzoni: l’uomo e l’opera. Lettura dei Promessi sposi (1972-73). Nell’a.a. 1973-74 il corso era diviso in due parti: la prima sulla Storia della letteratura italiana di Francesco de Sanctis, la seconda sulla Lettura del Fermo e Lucia. Sul romanzo manzoniano tornò anche con corsi non specificatamente dedicati ad esso, ma che miravano a scandagliarne il contesto. Negli anni accademici 1977-78 e 1978-79 con Studio delle tecniche narrative nella letteratura italiana parte I (sec. XVIII e XIX) e Studio delle tecniche narrative nella letteratura italiana parte II (sec. XIX-XX). Successivamente affrontando Spazio letterario e spazio pittorico dal Settecento al Novecento (1979-1980); Il romanzo italiano nei primi decenni dell’Ottocento (1983-1984); Dal trattato al romanzo: storia di un’idea di giustizia (Beccaria, Verri, Manzoni) (1984-1985); La polemica sul romanzo nei primi decenni dell’Ottocento (1988-89); Il romanzo italiano dell’Ottocento dal Manzoni all’età del Decadentismo (1991-92).
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Milano, Fabbri, 1973 nella collana dei «Classici della società italiana» che dirigeva con Giorgio Luti.
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Le occasioni sono indicate da Romagnoli stesso nella Nota a Romagnoli 1984, p. 372.
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Variazioni sui personaggi manzoniani, ivi, p. 143.
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Ivi, p. 145.
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Ibid.
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Padova, Liviana, 1983, nella collana degli «Scartabelli» diretta da Romagnoli con Pier Vincenzo Mengaldo.
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Alessandro Manzoni e il Romanticismo, in Romagnoli 1984, p. 11.
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Sala Di Felice 1989, p. 68.
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La promozione dei personaggi dal Fermo e Lucia ai Promessi sposi, in Romagnoli 1984, p. 71.
-
Lingua e società nei Promessi sposi, ivi, p. 42.
-
Ivi, p. 44.
-
Cattaneo 1981, p. 121.
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Lingua e società nei Promessi sposi, in Romagnoli 1984, p. 37.
-
Dello Zajotti e dei Promessi sposi, ivi, p. 156.
-
Dall’estratto alla recensione in Teorie 1991, p. 9.
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Ivi, p. 11.
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Il brigante nel romanzo storico italiano, in Romagnoli 1984, p. 291.
-
Introduzione a Nievo 1952, p. 291.
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Nozzoli 2019, p. 14.
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Il contatto con Luigi Russo si intensificò nel dopoguerra, quando nel ’49-’49 Romagnoli fu a Firenze, redattore di «Belfagor». Si veda Pasta 2021, p. 14 e n. Del contributo di Russo alla riscoperta novecentesca di Nievo Romagnoli parlò nella relazione su Luigi Russo e l’eredità risorgimentale che si legge in Romagnoli 1997, pp. 247-265.
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Nel 1954, mentre il progetto dell’edizione einaudiana stentava a decollare, Luigi Russo manifestò l’interesse per un volume di opere di Nievo per la collana degli «Scrittori d’Italia» edita da Laterza. Si veda Cerneaz 2019.
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E a questo proposito cito dall’Interpretazione della Resistenza, dalle pagine premesse da Romagnoli a L’Italia partigiana, l’antologia di testi che egli curò insieme a Giorgio Luti per la casa editrice Longanesi: «In alcune regioni d’Italia, sempre più dopo il 25 luglio e decisamente dopo lo smarrimento provocato dall’8 settembre, in un periodo di estrema crisi di tutte le istituzioni superstiti del vecchio Stato, la diffidenza e poi l’ostilità verso l’alleato nuovamente imposto dal fascismo si ricollegarono alla tradizione ormai lontana del Risorgimento e facilitarono la formazione di bande per le quali ancora una volta libertà significava preliminarmente indipendenza nazionale» (p. XIII).
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Un ricordo delle amicizie giovanili in Romagnoli 1996.
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Cfr. Turchi 2019, pp. 29-30.
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Cfr. Ivi, pp. 30-31.
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Cfr. Ivi, p. 31, dove si cita la lettera di Romagnoli a Carlo Muscetta, 21 giugno 1953.
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Cfr. per questo i contributi di Anna Nozzoli e Roberta Turchi, ivi, rispettivamente a pp. 15-17 e a pp. 31-36.
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Il ritorno del Nievo (1956), ora in Romagnoli 2013, p. 21.
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Ivi, p. 23 e 24.
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Annotazioni preliminari alle rubriche del Nievo (1985), ivi, p. 166.
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Se non fosse scomparso anzitempo, il 7 maggio 1997, invitato da Nicolò Mineo, avrebbe dovuto tenere una lezione all’Università di Catania su Le partizioni ufficiali della «Divina Commedia».
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Introduzione a I. Nievo, Le Confessioni d’un Italiano (1990), in Romagnoli 2013, p. 232.
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De Seta 1999, p. 156.
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Calvino 1982.
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Romagnoli 1982, p. 487.
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Cfr. Pasta 2021.
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Romagnoli 1980, p. XIII.
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Cfr. la recensione di Paolo Bosisio, in Bosisio 1982.
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Gherpelli 1979, p. 7.
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Romagnoli 1995, p. 423.
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Romagnoli 1981.
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Garbero Zorzi-Romagnoli 1981, pp. 129-157.
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Settecento 1986.
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Nella collana apparvero, tra gli altri: Gronda 1990; Mattioda 1993.
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Romagnoli 1985, p. 12.
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Garbero Zorzi-Romagnoli 1981, p. 130.
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Gronda 1999, p. 65.
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Ma si veda soprattutto Bigazzi- Ciufoletti 2002.
Bibliografia
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Bigazzi-Ciufoletti 2002 = Isabella Bigazzi – Zeffiro Ciuffoletti, Palazzo Marucelli-Fenzi. Guida storico artistica, Firenze, Polistampa, 2002.
-
Bosisio 1982 = Paolo Bosisio, Recensione, in «Italianistica», a. XI, n. 2-3, maggio-dicembre 1982, pp. 339-340.
-
Calvino 1982 = Italo Calvino, E naufragar m’è dolce in questo Vuoto, in «la Repubblica», 12-13 dicembre 1982 (recensione a Il paesaggio, a cura di Cesare De Seta, Storia d’Italia. Annali 5), Torino, Einaudi, 1982.
-
Cattaneo 1981 = Carlo Cattaneo, Fede e bellezza di Niccolò Tommaseo, in «Politecnico», III (1840), fasc. XIV, p. 166. Si cita da Id., Scritti letterari, a cura di P. Treves, Firenze, Le Monnier, 1981, vol. I.
-
Cerneaz 2019 = Sara Cerneaz, I Ciceri e Ippolito Nievo: le vicende degli anni ’50, in Presenza di Nievo nel Novecento (1945-1990). Atti del seminario in ricordo di Sergio Romagnoli (Firenze, 8-9 febbraio 2018), a cura di R. Turchi, Firenze, Franco Cesati editore, 2019, pp. 49-51.
-
Cingano 1999 = Francesco Cingano, Un compagno di studi, in Il filo della ragione. Studi e testimonianze per Sergio Romagnoli, a cura di Enrico Ghidetti e Roberta Turchi, Venezia, Marsilio, 1999.
-
De Seta 1999 = Cesare De Seta, Saper vedere o della melanconica dolcezza di Sergio Romagnoli, in Il filo della ragione. Studi e testimonianze per Sergio Romagnoli, a cura di Enrico Ghidetti e Roberta Turchi, Venezia, Marsilio, 1999.
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Garbero Zorzi-Romagnoli 1981= Nel laboratorio di Carlo Goldoni («Il teatro comico»), in Scene e figure del teatro italiano, a cura di Elvira Garbero Zorzi e Sergio Romagnoli, Reggio Emilia, Teatro Municipale «Romolo Valli», 1981, pp. 63-86, poi in La buona compagnia, cit., pp. 129-157.
-
Gherpelli 1979 = Giuseppe Gherpelli, Presentazione di Reggio e i Territori Estensi dall’Antico Regime all’Età Napoleonica, a cura di Marino Berengo e Sergio Romagnoli, Parma, Pratiche Editrice, 1979, vol. I.
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Ghidetti 1999= Enrico Ghidetti, L’Ottocento di Romagnoli, tra letteratura e storia, in Il filo della ragione. Studi e testimonianze per Sergio Romagnoli, a cura di Enrico Ghidetti e Roberta Turchi, Venezia, Marsilio, 1999.
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Gronda 1990 = Giovanna Gronda, La carriera di un librettista. Pietro Pariati da Reggio di Lombardia (1990).
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Gronda 1999 = Giovanna Gronda, Sergio Romagnoli e il teatro, in Il filo della ragione. Studi e testimonianze per Sergio Romagnoli, a cura di Enrico Ghidetti e Roberta Turchi, Venezia, Marsilio, 1999
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Mattioda 1993 = Enrico Mattioda, «Il dilettante per mestiere». Francesco Albergati Capacelli, Bologna, Il Mulino, 1993.
-
Mirri 1989 = Mario Mirri, Fra Vicenza e Pisa: esperienze morali, intellettuali e politiche di giovani negli anni ’40, in Il contributo dell’Università di Pisa e della Scuola Normale Superiore alla lotta antifascista ed alla guerra di liberazione. Atti del Convegno 24/25 aprile 1985, a cura di Filippo Frassati, Pisa, Giardini, 1989.
-
Nievo 1952= Ippolito Nievo, Opere, Milano-Napoli, Ricciardi, 1952.
-
Nozzoli 2019 = Anna Nozzoli, Per Sergio Romagnoli nievista, in Presenza di Nievo nel Novecento (1945-1990). Atti del seminario in ricordo di Sergio Romagnoli (Firenze, 8-9 febbraio 2018), a cura di Roberta Turchi, Firenze, Franco Cesati editore, 2019.
-
Pasta 2021 = Renato Pasta, Profilo di un critico amato. Sergio Romagnoli, in «Seicento e Settecento», XVI, 2021, pp. 11-33.
-
Ricuperati 1999 = Giuseppe Ricuperati, Sergio Romagnoli, la storia, la «ragione terrestre» e «la buona compagnia» dei Lumi, in Il filo della ragione. Studi e testimonianze per Sergio Romagnoli, a cura di Enrico Ghidetti e Roberta Turchi, Venezia, Marsilio, 1999, pp. 3-31.
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Romagnoli 1980 = Sergio Romagnoli, Introduzione a Teatro a Reggio Emilia, a cura di Sergio Romagnoli e Elvira Garbero, Firenze, Sansoni, 1980, vol. I.
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Romagnoli 1981 = Sergio Romagnoli, Il teatro e «Il Caffè», in «Quaderni di teatro», a. III, n. 11 (febbraio 1981), pp. 210-224, poi in Id., La buona compagnia. Studi sulla letteratura italiana del Settecento, Milano, Angeli, 1983, pp. 158-177.
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Romagnoli 1982 = Sergio Romagnoli, Spazio pittorico e spazio letterario da Parini a Gadda, in Il paesaggio, a cura di C. De Seta (Storia d’Italia. Annali 5), Torino, Einaudi, 1982.
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Romagnoli 1984 = Sergio Romagnoli, Manzoni e i suoi colleghi, Firenze, Sansoni, 1984 .
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Romagnoli 1985 = Sergio Romagnoli, Introduzione a V. Alfieri, Tragedie, a cura di L. Toschi, Firenze, Sansoni, 1985, vol. I, p. 12.
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Romagnoli 1993 = Sergio Romagnoli, Carlo Salinari storico della letteratura italiana, in Id., Per una storia della critica letteraria. Dal De Sanctis al Novecento, Firenze, Le Lettere, 1993.
-
Romagnoli 1995 = Sergio Romagnoli, La letteratura teatrale in Un decennio di storiografia italiana sul secolo XVIII, Napoli, Istituto italiano per gli studi filosofici, 1995.
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Romagnoli 1996 = Sergio Romagnoli, Eugenio Montale tra Euganei e Berici, in Testimonianze per Eugenio Montale. Atti del Convegno – Firenze, 28-29 marzo 1996, in «Antologia Vieusseux», n.s., a. II, n. 6, settembre-dicembre 1996, pp. 61-68.
-
Romagnoli 1997= Sergio Romagnoli, Luigi Russo. Un’idea di letteratura a confronto. Atti del convegno nazionale tenutosi a Caltanissetta e Delia dal 15 al 18 ottobre 1992, a cura di Nicolò Mineo, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia editore, 1997.
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Romagnoli 2013 = Sergio Romagnoli, Di Nievo in Nievo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2013.
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Sala Di Felice 1989 = Elena Sala Di Felice, Il punto su: Manzoni, Roma, Laterza, 1989.
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Salvadori 2022 = Diego Salvadori, Sergio Romagnoli (1922-1997), in La critica viva. Lettura collettiva di una generazione. 1920-1940, a cura di Luciano Curreri e Pierluigi Pellini, Macerata, Quodlibet, 2022, pp. 57-62.
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Settecento 1986 = Civiltà teatrale e Settecento emiliano, a cura di Susi Davoli, con una premessa di Sergio Romagnoli, Bologna, il Mulino, 1986 (n. 3 della collana «Proscenio. Quaderni del Teatro Municipale «Romolo Valli» di Reggio Emilia).
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Teorie 1991= Teorie del romanzo nel primo Ottocento, a cura di Riccardo Bruscagli e Roberta Turchi, Roma, Bulzoni, 1991.
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Turchi 1999 = Roberta Turchi, Il professor Romagnoli, in Il filo della ragione. Studi e testimonianze per Sergio Romagnoli, a cura di Enrico Ghidetti e Roberta Turchi, Venezia, Marsilio, 1999, pp. 147-149.
-
Turchi 2019 = Roberta Turchi, Dal Varmo al Novelliere, in Presenza di Nievo nel Novecento (1945-1990). Atti del seminario in ricordo di Sergio Romagnoli (Firenze, 8-9 febbraio 2018), a cura di Roberta Turchi, Firenze, Franco Cesati editore, 2019.
Informazioni
- Data ricezione: 29/11/2024
- Data accettazione: 01/09/2025
- Data pubblicazione: 26/11/2025
- DOI: 10.35948/DILEF/2025.4382
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