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Madrigali pluristrofici nel repertorio dell'Ars Nova italiana

 ARTICOLO SCIENTIFICO

  • Data ricezione: 10/05/2023
  • Data accettazione: 11/07/2023
  • Data pubblicazione: 15/12/2023

Abstract

La prima edizione critica dei più di 1100 testi poetici intonati dai polifonisti del Trecento e del primo Quattrocento, in corso nell’ambito del progetto ERC Advanced Grant ArsNova, ha permesso di precisare il corpus dei madrigali con più ritornelli intercalati nel corpo del testo dopo i singoli terzetti, e di definirne le caratteristiche formali. L’articolo offre inoltre l’edizione critica di otto madrigali (testo poetico e testo musicale).

 

The first critical edition of more than 1100 poetic texts set to music by 14th- and early 15th-century polyphonists, underway as part of the ERC Advanced Grant ArsNova project, has made it possible to specify the corpus of madrigals with multiple refrains interposed in the body of the text after each tercet, and to define their formal characteristics. The article also offers the critical edition of eight madrigals (poetic text and musical text).


Parole chiave
Keywords

In un saggio sulla morfologia e la storia del madrigale che rimane fondamentale, Guido Capovilla procede a una classificazione del complesso dei madrigali trecenteschi che approda a un vero e proprio repertorio metrico1. I circa 150 madrigali compresi nel repertorio metrico sono costituiti generalmente da endecasillabi talvolta accompagnati da settenari, articolati in due o tre terzetti più un ritornello di due versi a rima baciata. In sei casi il ritornello è doppio, in undici è costituito da un solo verso, e manca in sette casi, tra i quali il terzo dei madrigali del Canzoniere di Petrarca, CXXI Or vedi, Amor, che giovenetta donna, costituito da tre terzetti.

Analizzando le conformazioni eccentriche, Capovilla individua sei esemplari con uno o due ritornelli intercalati nel corpo del testo dopo i singoli terzetti, che si aggiungono al ritornello finale. Ne riporto l’elenco con gli schemi metrici secondo Capovilla2:

1) L’antico dio Biber 
ABB  C 
ADD  E

2) Aquila altera
ABB  C
DEE  F
GHH  I
3) Quando la stella
ABB  CC
DEE  FF

4) Musica son
ABB  CC
DEE  FF

5) Se premio di virtù
ABB  CC
DEE  FGG
HH
6) Vaguça vaga
ABB  C
DEE  F 
GHH  I


I tre terzetti con ritornello di Aquila altera e Musica son, intonati rispettivamente da Jacopo da Bologna e Francesco Landini, si cantano contemporaneamente su tre voci. Si tratta dunque di madrigali paragonabili ai mottetti politestuali, e pertanto Capovilla li distingue giustamente dagli altri quattro3.

Il lavoro di edizione critica digitale di più di 1100 testi poetici e delle relative intonazioni del repertorio arsnovistico, in corso nell’ambito del progetto ERC Advanced Grant ArsNova,4 ha permesso di precisare l’insieme dei madrigali con più ritornelli, escludendo uno dei quattro individuati da Capovilla, Se premio di virtut’ è solo onore (secondo l’incipit della nuova edizione), intonato da Bartolino da Padova, e aggiungendone altri quattro, come si vedrà meglio. Li elenco con il nome dell’intonatore, se noto, e le relative strutture strofiche, che si ricavano dalle nuove edizioni riportate qui nell’Appendice, complete del testo musicale. Gli schemi metrici sono quelli del Repertorio delle strutture metriche e musicali (ANS), anch’esso in corso di allestimento nell’ambito del progetto ArsNova. Il plurilinguismo che caratterizza il corpus dei testi intonati dai polifonisti dell’Ars Nova ha imposto la scelta di un univoco sistema di rappresentazione delle strutture formali dei testi poetici, che prescindesse dalle convenzioni proprie dei diversi corpora. Si è optato per il sistema francese, che permette di indicare esplicitamente la misura dei versi ed è utilizzabile anche per i testi in latino.

1) Canta lo gallo
4’a 6’b 10’b; (4’c) 10’c
2) Con’ cavalc’ el cont’ Ugo per la strada
10’a 10’b; 6’c
3) L’antico Iopiter, fra sette stelle 
10’a 10(’)b 10(’)b; 10’c
4) Piançe la bella iguana 
(6’a) 13’b, (6’c) 13’b; (6’d) 13’d
5) Vaguça vaga, gli to ochi trade
10’a 10’b 10’b; 10’c
6) Quando la stella press' al'alba spira (Giovanni da Cascia)
10ʼa 10ʼb 10ʼb; 10ʼc 10ʼc
7) Giunge ’l bel tempo della primavera (Jacopo da Bologna)
10ʼa 10ʼb 10ʼb; 10’c


Il madrigale Se premio di virtut’ è sol’ onore, di argomento morale, concettualmente complesso (Appendice, n. 8), è conservato nel codice Reina (R), nel codice di San Lorenzo (SL) e nel codice Squarcialupi (Sq). In tutti e tre i testimoni sono sottoposti alla musica il primo terzetto e il ritornello mentre altri due terzetti si leggono nel residuum, dove R riporta un secondo ritornello, che non si ha ragione di ritenere spurio. Nell’edizione complessiva della poesia trecentesca intonata, Giuseppe Corsi pone il primo ritornello dopo il primo terzetto, e il secondo ritornello dopo gli altri due terzetti, ottenendo un’articolazione asimmetrica, accolta da Capovilla, che è però isolata nell’intero corpus dei madrigali trecenteschi5. Nella disposizione normalmente adottata nei manoscritti per i madrigali, sono sottoposti alla musica il primo terzetto e il ritornello, e relegati nel residuum gli altri terzetti e gli altri eventuali ritornelli, che si cantano sulla stessa musica. Per questo si può presumere che anche nel caso di Se premio di virtut’ è sol’ onore il secondo e il terzo terzetto e il secondo ritornello si debbano cantare rispettivamente sulla musica del primo terzetto e del primo ritornello, e che i due ritornelli siano da collocarsi in chiusura, dopo i terzetti, secondo uno schema non registrato nel repertorio di Capovilla, ma quasi identico al n. LIII. Non c’è quindi ragione di anticipare il primo ritornello, inserendolo tra i terzetti.

Corsi: 
10’a 10’b 10’b; 10’c 10’c; 10’d 10’e 10’e, 10’f 10’g 10’g; 10’h 10’h
Presente edizione:
10’a 10’b 10’b, 10’c 10’d 10’d, 10’e 10’f 10’f; 10’g 10’g; 10’h 10’h
Capovilla LIII:
10’a 10’b 10’b, 10’c 10’d 10’d, 10’e 10’f 10’f; 10’g 10’g


I primi cinque madrigali sono conservati esclusivamente nel codice Rossi (Rs), la più antica antologia di musica polifonica, che corrisponde ai mss. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ross. 215; Ostiglia (Mantova), Fondazione Opera Pia don Giuseppe Greggiati, mus. rari B 35, quest’ultimo scoperto da Oscar Mischiati, che lo pubblicò nel 19666. L’antologia è priva di attribuzioni, fu compilata in Veneto negli anni Settanta del Trecento e conserva un repertorio formatosi nei venti o trent’anni precedenti7.

Dei cinque madrigali in Rs, due non entrano nel repertorio di Capovilla, Con’ cavalc’ el cont’ Ugo per la strada e Piançe la bella iguana. Mischiati sottolinea l’anomalia formale del primo, conservato nel solo frammento di Ostiglia.

Per quel che si riferisce alle forme metriche, in particolare, gli otto testi di Ostiglia sono quasi tutti madrigali redatti sugli schemi di Antonio da Tempo e Gidino da Sommacampagna e che già sono noti attraverso il manoscritto rossiano; fa eccezione il penultimo testo, di ardua interpretazione testuale oltre che metrica; la lezione è certa, ma forse il testo è corrotto8.

Il testo è effettivamente corrotto, ma è stato possibile proporre una ricostruzione dalla quale risulta una struttura di due moduli costituiti da due endecasillabi più un settenario interpretabile come ritornello, secondo lo schema 10’a 10’b; 6’c (Appendice, n. 2). Non si può escludere una conformazione in due terzetti senza ritornello, ma la scelta di distinguere il settenario è giustificata dalla constatazione che tutti i madrigali di Rs di cui sia possibile individuare con certezza la struttura formale, ovvero non lacunosi o frammentari, sono muniti di uno o due ritornelli.

Per quanto riguarda Piançe la bella iguana, la sua esclusione dal repertorio di Capovilla potrebbe essere stata originata dal fatto che Corsi definisce il testo «canzonetta a “coblas capfinidas”»9, non riconoscendo la presenza di più ritornelli, come invece Tiziana Sucato nella successiva edizione complessiva delle composizioni di Rs10. Si tratta in effetti di un madrigale costituito da due moduli di quattro settenari, interpretabili anche come settenari doppi, seguiti da un ritornello di due settenari a rima baciata o settenario doppio con rima interna, secondo lo schema 6’a 6’b, 6’c 6’b; 6’d 6’d = (6’a) 13’b, (6’c) 13’b; (6’d) 13’d (Appendice, n. 4). La soluzione del settenario doppio è preferibile, se si considera che questo verso, di ascendenza francese, rarissimo nella lirica tràdita dai canzonieri (si ricordi però che costituisce il verso base del contrasto di Cielo d’Alcamo), è invece ben rappresentato nella lirica settentrionale di tradizione occasionale, sin dal più antico esempio, il Frammento piacentino, pervenutoci con la melodia corrispondente al ritornello11. Ma sono in settenari doppi anche il Serventese romagnolo, una ballata dei memoriali bolognesi (Pur bii del vin, comadre) e un contrasto in forma di ballata con incipit lacunoso (Perdona b... a l’incolpata) appartenente al corpus di testi “mantovani” tràditi dal codice gonzaghesco che contiene il Parténopeus de Blois (Paris, BnF, n. a. fr. 7516)12.

Altri due madrigali, Canta lo gallo e Giunge ’l bel tempo della primavera, pur inclusi nel repertorio, non sono annoverati da Capovilla tra gli esemplari con più ritornelli. Canta lo gallo è anch’esso tràdito dal frammento di Ostiglia, e quindi non figura nell’edizione complessiva di Corsi. Capovilla, sulla scorta della trascrizione di Mischiati13, interpreta il testo come madrigale formato da quattro terzetti di endecasillabi privi di ritornello (schema n. II del repertorio: AAB CCD EEF GGH). In realtà, nell’interpretazione di Capovilla, il primo emistichio del primo endecasillabo di ogni terzetto, che si ripete identico, sarebbe costantemente ipermetro («Canta lo gallo la ser’ a çascun’ ora»; «Canta lo gallo la meçanote assai»; «Canta lo gallo çoioso a la maitina»; «Canta lo gallo soave nel mio core»). Sebbene sia possibile ottenere un endecasillabo regolare optando per la forma asillabica dell’articolo (Canta lo gallo > Canta ’l gallo), risulta più economico suddividere il testo in quattro moduli con struttura 4’a 6’b 10’b; (4’c) 10’c, dove l’ultimo verso, endecasillabo con rima interna, costituisce il ritornello, come conferma del resto la sintassi (Appendice, n. 1). Si aggiunga che lo schema rimico a b b; c è condiviso da altri quattro madrigali con più ritornelli.

La nuova edizione di Giunge ’l bel tempo della primavera, attribuito a Jacopo da Bologna (Appendice, n. 7), individua infatti un modulo identico per lo schema di rime a quello di Canta lo gallo, fatta eccezione per la rima interna del ritornello: 10ʼa 10ʼb 10ʼb; 10’c ripetuto due volte, secondo un’interpretazione proposta già da Massimo Zenari, che però non considera la ripetibilità del modulo in regime di coblas singulars e stabilisce uno schema metrico complessivo (10ʼa 10ʼb 10ʼb + 10ʼe; 10ʼc 10ʼd 10ʼd + 10ʼe)14. Nell’edizione di Corsi (e prima ancora in quella di Li Gotti), i due ritornelli sono riuniti in posizione finale15. A questa edizione fa riferimento Capovilla, che colloca il madrigale sotto lo schema n. XLVIII (ABB CDD EE), il più diffuso di tutti.

Come Zenari, Capovilla non considera la possibilità di uno stesso modulo ripetuto per i tre restanti madrigali, L’antico Iopiter, fra sette stelle (nella nuova edizione l’incipit è stato emendato per congettura), Vaguça vaga, gli to ochi trade e Quando la stella pressʼ alʼalba spira, attribuito a Giovanni da Cascia (Appendice, nn. 3, 5-6). I tre madrigali sono anch’essi costituiti da moduli di tre endecasillabi con schema rimico a b b seguiti da uno o due endecasillabi con rima c, che hanno funzione di ritornello. Nel primo madrigale, in italiano e francese, il modulo prevede l’intercambiabilità della cadenza (eterogonia) nei versi in francese, che sono prima piani e poi tronchi, secondo lo schema 10’a 10(’)b 10(’)b; 10’c.

In tutti i madrigali con ritornelli intercalati nel corpo del testo, i diversi moduli (terzetti e ritornelli) si cantano sulla stessa musica, vale cioè il principio dell’isostrofismo di matrice musicale costitutivo della poesia strofica medievale. Da questo punto di vista, le definizioni correnti, «corona» o «collana» di madrigali, risultano improprie, perché implicano l’idea che i diversi moduli chiusi dai ritornelli costituiscano testi indipendenti riuniti, come nel caso delle corone o collane di sonetti. Mi pare invece più appropriata la definizione di madrigale pluristrofico, che valorizza l’unità concettuale dei testi e l’isostrofismo verbale e musicale.

Il piccolo corpus fin qui analizzato risponde a una conformazione di ambientazione settentrionale che possiamo considerare arcaica o arcaizzante. Lo indica la presenza della maggioranza degli esemplari nel codice Rossi, e il fatto che Jacopo da Bologna e Giovanni da Cascia appartengono alla prima generazione dei polifonisti dell’Ars Nova, attivi presso le corti dell’Italia settentrionale. Lo indica anche il fatto che il madrigale con più ritornelli è descritto nella Summa artis rithmici vulgaris dictamini che Antonio da Tempo dedica ad Alberto della Scala nel 1332 (cap. LV)16, ma non nel Trattato e arte deli rithimi volgari che Gidino da Sommacampagna dedica ad Antonio della Scala circa cinquant’anni più tardi17.


APPENDICE18

 

I. TESTI POETICI

 

 1. CANTA LO GALLO

(a cura di Maria Sofia Lannutti)

 

Manoscritti

Rs c. 26v, C (vv. 1-4), T (vv. 1-4), resid. (vv. 5-16)


Edizioni

Mischiati 1966, p. 74; Pirrotta 1992, p. 37; Sucato 2003, p. 87.

Canta lo gallo
la ser’ a çascun’ ora
col dolce dexio ch’altrui inamora,

se l’ochio çira    là dove sospira.

Canta lo gallo5
la meçanote assai,
tor mal pensero nel stato di guai,

tal fruto porta    di cosa ch’è morta.

Canta lo gallo
çoioso a la maitina,10
alor più forte non ponçe la spina:

el i milanta,    a ço che, ’l gallo, canta.

Canta lo gallo
soave nel mio core,
ch’el me·l promise madona e Amore:15

d’amor constreto    m’à, gallo galleto.

3 col] om. RsC ▪ altrui] altui RsT     7 guai] gnai Rs     11 alor] alora Rs


Metrica

Madrigale pluristrofico 4’a 6’b 10’b; (4’c) 10’c. Coblas capdenals.

Rima identica ai vv. 1: 5: 9: 13.

Capovilla II.

 

Note al testo

7-8. ‘togliere i cattivi pensieri quando si è in affanno, questo frutto apporta da cosa senza vita (questo beneficio fa scaturire da una condizione di assoluta prostrazione)’.

11-12. ‘in quel momento la spina non punge più con intensità: in quel momento, lui, il gallo, inganna cantando’.

12. el: anticipa ’l gallo. ▪ i: ‘lì’, variazione di alor al verso precedente. ▪ a çò che: ‘per il fatto che’.

 


2. CON' CAVALC’ EL CONT’ UGO PER LA STRADA

(a cura di Maria Sofia Lannutti)

 

Manoscritti

Rs c. 32r, C (vv. 1-3), T (vv. 1-3), resid. (vv. 4-6)


Edizioni

Mischiati 1966, p. 75; Pirrotta 1992, p. 37; Sucato 2003, p. 88.

Con’ cavalc’ el cont’ Ugo per la strada,
ça inscontras’ in una Remençarda,

figlia del so segnor[e].

Braço ghe çeta al collo [e sì] basòla
per amor: «Domnidio de Remençarda!5

Che fêsti luna e sole!».

1 Con] e con Rs ▪ cavalc’] cavalche Rs     2 ça] e çarlo RsC; e ***lo RsT     3 figlia del] e figliola de lo RsC; e figliola de RsT ▪ segnore] segnor Rs     4 e sì] om. Rs     5 amor] amore Rs ▪ Domnidio] dominidio Rs     6 luna e sole] la luna el sole Rs

 

Metrica

Madrigale pluristrofico 10’a 10’b; 6’c.

Rima identica ai vv. 2: 5.

 


Note al testo

2. ‘qui (sulla strada) s’imbatte in una di nome Remençarda’. ▪ ça: ‘qui’. La e iniziale genera ipermetria, ed è quindi stata espunta, come al verso successivo. Si sarebbe forse potuto conservare çarlo come nome proprio (da un originario Carlo), interpretando il primo verso come indicazione temporale generica ‘All’epoca in cui il conte Ugo cavalcava per la strada’ (ma vedi oltre). ▪ Remençarda: variante di Ermengarda; altri nomi propri, oltre Ugo al v. 1, Çiliola, Uberto e Viola nel madrigale A l’alba una maitina solo andava, che segue Con’ cavalc’ el cont’ Ugo per la strada in Rs. È possibile che si alluda a Ugo di Provenza, eletto re d’Italia il 6 luglio del 926, e a sua sorella o sorellastra Ermengarda di Ivrea. Nel De administrando imperio di Costantino VII Porfirogenito, è contenuta una genealogia del re Ugo che lo fa discendere da Carlo Magno. Per questo non si può escludere che Carlo > çarlo indichi il nome del signore di Ugo e che si tratti di una glossa inserita indebitamente in questo punto. In ogni caso, i nomi Ugo e Remençarda richiamano i personaggi dei poemi narrativi franco-veneti, tra i quali l’Huon d'Auvergne.

4. L'integrazione è già in Sucato 2003.

6. fêsti: ‘facesti’. Il soggetto è Domnidio.



3. L'ANTICO IOPITER, FRA SETTE STELLE

(a cura di Maria Sofia Lannutti)

  

Il testo è suddiviso in due sezioni di quattro versi (interpretabili come terzetti seguiti da un ritornello), il primo e l’ultimo in italiano, i due centrali in francese e in rima tra loro. È incentrato su un’immagine astrologica, che nella prima parte allude al mito della ninfa Callisto, amata da Giove, di cui narra anche Ovidio nelle Metamorfosi. Secondo il mito, Callisto subì due metamorfosi, la prima per volontà di Era, che volle punirla trasformandola in un’orsa, la seconda per intervento di Zeus, che la collocò in cielo trasformandola nell’Orsa Maggiore, costellazione composta da sette stelle il cui moto rimane sempre visibile nel cielo settentrionale (v. 2 a tramontaine). Nella seconda parte, l’immagine delle due donne che cantano al di sopra delle stelle fisse allude con ogni probabilità alla musica polifonica su cui il testo veniva cantato, dove al tenor o cantus firmus, rappresentato da les poles fermés del firmamento, si sovrappone il cantus delle due donne, tenendo conto della concezione secondo la quale il cantus firmus è emanazione sensibile del cielo delle stelle fisse (Meyer 2009, pp. 125-26). Con l’altro madrigale bilingue Ogni dilecto e ogni bel piacere, intonato da Maestro Piero, L’antico Iopiter è anche il primo esempio di poesia lirica settentrionale con versi in francese, e ha un precedente nella sola canzone trilingue Aï faus ris di Dante. Sono infatti più tardi i sonetti bilingui e trilingui di Gidino di Sommacampagna e Francesco di Vannozzo, che risalgono agli anni Ottanta del Trecento, mentre possono dirsi all’incirca coevi i due testi di Matteo Correggiaio in ternari trilingui di endecasillabi sciolti, che appartengono però al genere delle epistole in versi. Il testo allude in più punti alla Commedia.

 

Manoscritti

Rs cc. 22v-23r, C (vv. 1-4), T (vv. 1-4), resid. vv. 5-8


Edizioni

Liuzzi 1937, p. 67; Li Gotti 1944a, pp. 136-37; Sesini 1943-1950, p. 232; Corsi 1970, pp. 363-64; Pirrotta 1992, p. 30; Sucato 2003, p. 83.

L’antico [Iopiter], fra sette stelle,
che tout jor vont intor a tramontaine,
som spirt a mis et s’amisté sovraine.

I·llor aspetti son trini et sestil[i].4

Doe donne, poi, çentile e molto belle
seoir ce vi sor les poles fermés,
cantant: «Chi ame bien doit estre amés!».

Così finì suo canto in piana voce.8

1 Lanticho dio biber lanticho dio biber RsC; Lanticho dio biper lanticho dio biber RsT    4 sestili] sestille Rs

 

Metrica

Madrigale pluristrofico 10’a 10(’)b 10(’)b; 10’c. La rima a è ripetuta nella seconda strofe.

Capovilla XXXIX.

Rima ricca ai vv. 6: 7.

 

Note al testo

1. L’antico Iopiter: la congettura si basa sull’allusione al mito di Callisto. La forma Iopiter per il lat. Iupiter, che spiega meglio le varianti erronee, è attestata in un’opera franco-italiana, il Roman d’Alexandre in versi, versione A, v. 6769 «Lai prendra sepultura, Jopiter l’otrie». L’aggettivo antico riferito a un personaggio mitologico richiama l’incipit del canto IX del Purgatorio: «La concubina di Titone antico». ▪ sette stelle: l’Orsa Maggiore con la descrizione del suo corso è citata nella parte iniziale del canto XIII del Paradiso.

2. vont intor: nel canto XVIII del Paradiso (vv. 58-69), Dante gira intorno con il cielo di Giove (v. 61 «sì m’accors’io che ’l mio girare intorno…»), temprata stella sesta (vv. 68-69 «per lo candor de la temprata stella / sesta, che dentro a sé m’avea ricolto»). Le forme jor e intor sono italianismi diffusi nella scripta franco-italiana, come spirt al v. 3, sor al v. 6, cantant al v. 7.

3. spirt: la forma è garantita dalla misura del verso ed è quindi interpretabile come tratto linguistico originario.

5. L’autore doveva avere nell’orecchio il passo del canto II dell’Inferno in cui gli occhi di Beatrice sono paragonati a una stella, la voce è detta angelica, il dire soave e piano (vv. 52-58, 100-102). Le due donne che nel madrigale presidiano i punti fermi dell’asse, con quello che ne può conseguire a livello simbolico, potrebbero allora rimandare alla coppia Beatrice-Rachele, sedute l’una accanto all’altra nella rosa dei beati.

6. ce: la forma ce per ci ‘qui’, se non è erronea (nell’ed. Sucato è sostituita dal pronome je), potrebbe essere assimilata alla forma se per si avverbio, propria soprattutto dei dialetti francesi del nord e dell’est. ▪ sor le poles fermés: traduce sovra fissi poli, in rima al v. 11 del canto XXIV del Paradiso («si fero spere sopra fissi poli»), nel passo in cui le anime del cielo stellato assumono l’aspetto di cerchi simili a sfere che ruotano intorno al loro asse.

7. Il canto delle due donne richiama la reciprocità dell’amore, secondo l’insegnamento evangelico, «Mandatum novum do vobis: ut diligatis invicem: sicut dilexi vos, ut et vos diligatis invicem» (Io 13 34), anticipato nell’Antico Testamento, «Ego diligentes me diligo» (Prv 8 17), e riformulato in Inf. V, v. 103 «Amor ch’a nullo amato amar perdona».

 


 4. PIANÇE LA BELLA IGUANA

(a cura di Maria Sofia Lannutti)

 

Manoscritti

Rs c. 6v, C (vv. 1-6), T (vv. 1-6)


Edizioni

Liuzzi 1937, pp. 55-56; Li Gotti 1944a, pp. 127-28; Sesini 1943-1950, p. 223; Sapegno 1952, p. 507; Muscetta-Rivalta 1956, p. 863; Corsi 1969, p. 1087; Corsi 1970, p. 362; Pirrotta 1992, pp. 29-30; Sucato 2003, p. 75.

Piançe la bella iguana    se ’l süo amor non vede
fil d’oro ten in mano    e spera di mercede.

Çentil furto mi prese        che dai bei ochi scese.

Scese dolci sospiri      poi che non ride el sole,
e sempre, come donna,    vol pur quel che la vole.5

L’umel sdegno l’adorna,    ch’a bella pace torna.

Torna ’l piacer a danno,    ch’el se coruça, Am[o]re,
che lassa questa euguana    per star con altro fiore.

Oimè! Co’ ’l cor me françe,    quando i bei ochi piançe!

3 ochi] iochi Rs     7 Amore] amare Rs     9 ochi] iochi Rs


Metrica

Madrigale pluristrofico (6’a) 13’b, (6’c) 13’b; (6’d) 13’d. Coblas capfinidas.

 

Note al testo

1. iguana (al v. 8 euguana): ‘ninfa delle acque’ (cfr. TLIO, s.v. aiguana), figura tipica dell’immaginario lirico settentrionale fino al Rinascimento.

3. furto: ‘seduzione, fascino’.

4-5: ‘Il sole non le sorride più, così lei sospira dolcemente, e desidera (ama) solo colui che la desidera (ama), come si addice a una donna’. Si allude forse al mito di Clizia, amata dal Sole e poi da lui ripudiata.

6. ‘L’adorna uno sdegno benigno (umel), che diventa conciliante (torna a bella pace)’.

9. ‘Ahimè! Come mi si spezza il cuore, quando i begli occhi piangono!’. Le forme verbali denotano la coincidenza della terza persona plurale con la terza persona singolare, propria delle varietà settentrionali.


 

 5. VAGUÇA VAGA, GLI TO OCHI TRADE

(a cura di Maria Sofia Lannutti)

 

Manoscritti

Rs c. 26r, C (vv. 1-4), T (vv. 1-4), resid. (vv. 5-12)

Reg c. Bv, C (vv. 1-4), T (vv. 1-4), resid. (vv. 5-12)


Edizioni

Mischiati 1966, p. 74; Sucato 2003, p. 86; Huck-Dieckmann 2007, p. 142.

Vaguça vaga, gli to’ ochi trade
mio spirito sì forte ched el crida,
temendo che quî ladri no l’ucida,

sì dolce e vago è l’ato che gli pande.

Perché soa luce dentro ala mia mente5
cu[m sì] tanto valor ne bate l’ale,
che l’anema de fuor quasi ne sale,

ma’ tanto se sostien, quanto la spera.

Destruçi la pietà la toa vagheça,
sì che non creda l’alma esser tradita,10
e poi con ti starò senpre, mia vita,

da che sei sola, d’onni mio ben, donna.

2 spirito] spi*** Reg ▪ ched el] **el Reg     3 ladri] la** Reg     4 l’ato che] ill. Reg     6 cum sì tanto] cu tanto Rs; cum valor Reg     7 de] d* Reg ▪ sale] sa** Reg     8 ma’ tanto] ill. Reg     9 Destruçi la pietà la toa vagheça] ill. Reg ▪ la] a Rs     11 poi con ti] **y con ** Reg     12 mio] om. Reg

1 to’] toy Reg     6 ale] alle Rs

 

Metrica

Madrigale pluristrofico 10’a 10’b 10’b; 10’c.

Capovilla XXXVI.

 

Note al testo

4. ‘così dolce e bello è l’atto che gli occhi gli manifestano’.

5-8. ‘Poiché la loro luce (degli occhi) batte le ali nella mia mente con tanta forza che l’anima quasi ne fuoriesce salendo, (la mente) si eleva (si tiene in posizione elevata) ancora di più, quanto il cielo’.

8. ma’: ‘più’.

9. ‘la pietà consumi la tua bellezza’. Cfr. Dante, Amor, da che convien pur ch’io mi doglia, v. 15 «pietà faria men bello il suo bel volto». ▪ Destruçi: cong. pr. III pers. sing. analogico dei verbi della prima coniugazione.

 

 

6. QUANDO LA STELLA PRESS' AL'ALBA SPIRA

(a cura di Vittoria Brancato)

 

Manoscritti

Fp c. 54v, C (vv. 1-5), T (vv. 1-5), resid. (vv. 6-10): m(agister) giova(nni)


Edizioni

Corsi 1959, p. 80; Corsi 1970, pp. 20-21; Zenari 2004, pp. 136-37.

Quando la stella pressʼ alʼalba spira,
il sol si mostra in verso lʼorïente,
Amor gentil mʼaparse nella mente.

La vaga donna col benigno aspetto
tenea nele braçça per diletto.5

Poi la coperse di perfetta luce,
e del suo raggio li fece vestita
vermiglio e bianco di color partita.

Una ghirlanda ʼn sule treççe bionde
di foglie verdi pose con le fronde.10


Metrica

Madrigale pluristrofico 10ʼa 10ʼb 10ʼb; 10ʼc 10ʼc.

Capovilla XLIII.

 

Note al testo

Il madrigale sembra risentire del primo capitolo e del primo sonetto della Vita nova, A ciascun’ alma presa e gentil core, con il racconto della visione di Amore che «ne le bracciʼ avea / madonna involta in un drappo dormendo» (vv. 10-11). Si noti che l’apparizione di Amore anche nel sonetto dantesco segue una perifrasi temporale: «Già eran quasi che aterzate lʼore / del tempo che onne stella né lucente, / quando mʼaparve Amor subitamente» (vv. 6-8).

1. stella: Venere.

7-8. li fece… partita: ʻle fece una veste drappeggiata di colore rosso e biancoʼ, forse ʻuna veste divisa in parti rosse e biancheʼ.

7. vestita: participio pass. sostantivato vale ʻabito, vesteʼ.

8. partita: vale ʻripartitaʼ, o forse ‘divisa in quadri o fasce’.



7. GIUNGE 'L BEL TEMPO DELLA PRIMAVERA

(a cura di Vittoria Brancato)

 

Manoscritti

Fp c. 93r, C (vv. 1-4), resid. (vv. 5-8): m(agister) jacopo da bolo(nia)


Edizioni

Li Gotti 1944, p. 381; Corsi 1969, p. 1018; Corsi 1970, p. 34; Zenari 2004, p. 144.

Giunge ’l bel tempo della primavera,
che nova erbetta dà, fiori e vïole.
Cresce beato, Amor, dove esser vuole:

et ogni frutto del piacer germoglia.

A’ dolci versi dʼuselletti, fuora5
van donne pe·ghirlande in compagnia,
seguendo lor amor drei tuttavia,

ché sol consiglio fan dʼamar di voglia.

3 dovʼesser vuole] uesser uo le rip. Fp

 

Metrica

Madrigale pluristrofico 10ʼa 10ʼb 10ʼb; 10’c. Secondo Zenari si tratta di un madrigale ritornellato con schema 10ʼa 10ʼb 10ʼb + 10ʼe; 10ʼc 10ʼd 10ʼd + 10ʼe (Li Gotti e Corsi stampano il madrigale come fosse composto da due terzetti e da un ritornello conclusivo in rima baciata).

Capovilla XLVIII (ma sulla base dello schema metrico in Corsi 1970).

Punti sottoscritti: v. 2 (nova) Fp, (fiori) Fp; v. 3 (dove) Fp; v. 6 (ghirlande) Fp.

 

Note al testo

7. drei: ‘dietro’. Forma non toscana, da interpretarsi come settentrionalismo se non come indizio di un’origine settentrionale.

 


8. SE PREMIO DI VIRTUT' È SOL' ONORE

(a cura di Maria Sofia Lannutti)

 

Manoscritti

R cc. 44r, C (vv. 1-3 e 12-13), resid. (vv. 4-11)

SL cc. 33v-34r, C (vv. 1-3 e 12-13), T (vv. 1-3 e 12-13), resid. (vv. 4-9). Il tenor è quasi del tutto illeggibile, ciò che si distingue coincide con il testo del cantus.

Sq c. 113r, C (vv. 1-3 e 12-13), T (vv. 1-3 e 12-13), resid. (vv. 4-9): magister frater bartolinus de padua


Edizioni

Corsi 1970, pp. 243-44.

Se premio de virtut’ è sol’ onore,
molt’ è fallace de çascun la brama
che sença lei se crede aquistar fama,
unde ala vista et al parer attende,
voltando sempre, col disio fervente,5
dal’eser proprio la volubel mente.
Ma se pur gloria al mondo è digna laude,
cerca ’l disio nel’umano intelletto,
vertute aquista e çonçevi l’efetto.

Sich’ ela è priva e for d’ogni sïentia,10
seguendo l’ombra e non la vera esençia,

perché lei è lo fruto, e la radice
di cotal sper’ è con piacer fellice.

1 sol’] sole SqT     5 col] con SL Sq     8 cerca] cera SL Sq ▪ umano] vano SL Sq ▪ intelletto] ill. SL     9 vertute] ill. SL ▪ aquista] aquisti SL Sq ▪ çonçevi] concevi R; giungine Sq; giun*** SL ▪ l’] all SL Sq     10 ela è] elle SL; el SqC; ela SqT ▪ sïentia] scien SL     11 esençia] essença R     12-13om. SL Sq     13 fellice] Se premio add. R

1 virtute] virtu SL SqC ▪ sol’] solo SL SqC ▪ de] di SL Sq     2 de çascun] di ciascun SL Sq     3 sença] sança SL Sq ▪ se] si SL Sq     4 unde ala] onde alla SL Sq     6 dal] dall SL Sq ▪ volubel] volubil SL Sq     7 Ma se] masse SL Sq ▪ digna] degna SL Sq     9 vertute] virtute Sq ▪ e] et SL Sq     10 e for] et fuor SL Sq ▪ sïentia] sciençia Sq     11 e] et SL Sq

 

Metrica

Madrigale con doppio ritornello 10’a 10’b 10’b, 10’c 10’d 10’d, 10’e 10’f 10’f; 10’g 10’g; 10’h 10’h.

Capovilla XLIV in base all’ed. Corsi 1970, ma schema non repertoriato, che si differenzia da LIII solo per l’aggiunta del secondo ritornello.

 

Note al testo

1-13. ‘Se l’onore è il premio solo della virtù, è fallace il desiderio di chi crede di acquistare fama senza di lei (la virtù), per cui si preoccupa solo delle apparenze, distogliendo continuamente la mente volubile dall’essenza, a causa di un fervente (irrazionale) desiderio. Ma se è vero che la gloria in questo mondo viene da una lode meritata, cerca il desiderio nell’intelletto umano, acquista la virtù e raggiungi lì l’effetto. Pertanto (possiamo dire che la gloria) è lontana da ogni forma di scienza se segue l’apparenza e non l’essenza, perché lei (la gloria) è il frutto, e la radice di tale speranza (di gloria) è nel piacere che dà felicità (provenendo da un desiderio non irrazionale)’.

11. esençia: si uniforma l’uscita tenendo conto dell’intonazione.

13. sper’: per spera ‘speranza’. R aggiunge Se premio per errore, forse pensando alla ripresa di una ballata.

 

II. TESTI MUSICALI

 

I madrigali pluristrofici di Rs e Quando la stella di Giovanni da Cascia (1-6)

(a cura di Giacomo Ferraris)

 

Può essere interessante notare che se la caratteristica generale di quelli che abbiamo definito madrigali pluristrofici è di presentare la successione strofa-ritornello intatta nell’iterazione di ogni stanza (piuttosto che una successione terzetto-terzetto-ritornello, o eventualmente terzetto-terzetto-ritornello-ritornello, occorrenza quest’ultima comunque piuttosto rara nel repertorio trecentesco), quattro brani in particolare fra quelli discussi in questo articolo, tutti testimoniati dal codice Rossiano (Canta lo gallo, Con’ cavalc’ el cont’ Ugo per la strada, Piançe la bella iguana e Vaguça vaga, gli to ochi trade) sono accomunati da un tratto ulteriore: la divisione fra strofa e ritornello non risulta in nessun modo rilevata a livello musicale. Lo stacco fra le sezioni non è sottolineato da un cambio di divisio, come accade abitualmente nel repertorio più tardo; né si trovano cambiamenti rilevanti di ambitus delle voci, a livello di interazione contrappuntistica (tenor in ruolo di supporto vs interazione canonica) o ad altri livelli, come diventa invece comune nel madrigale maturo19.

Questa osservazione può risultare particolarmente significativa alla luce del fatto che proprio questi brani presentano altre caratteristiche che sembrano indicarne una origine arcaica anche rispetto alla media del codice, a sua volta la compilazione di repertorio trecentesco italiano di datazione più alta fra quelle che ci sono pervenute (insieme forse al cosiddetto frammento Mischiati di Reggio Emilia, conservato però in forma molto più frammentaria: consiste infatti di due soli fogli, probabilmente provenienti da un medesimo bifoglio).

Manca qui ovviamente lo spazio per una disamina complessiva della questione (una discussione più dettagliata ha trovato spazio in un mio contributo di prossima pubblicazione)20; ma in estrema sintesi, penso che segni di arcaismo, che si trovano in misura diversa in vari brani, possano essere considerati:

 

  1. Alcune caratteristiche della scrittura contrappuntistica, particolarmente il ricorso a parallelismi di ottava e all’utilizzo contrappuntisticamente strutturale dell’intervallo di quarta. Esempi del primo fenomeno si trovano soprattutto in Con’ cavalc’ el cont’ Ugo per la strada; il secondo di nuovo in Con’ cavalc’ el cont’ Ugo per la strada e in Piançe la bella iguana.
  1. La scarsa densità di eventi sonori per unità di tempo notata, in particolare nel tenor. Mi richiamo qui al concetto di densità del tenor, originariamente formulato da Marco Gozzi21. In breve, l’idea di Gozzi è che la rapidità media di enunciazione degli eventi sonori nelle voci, e particolarmente nel tenor, tenda a rimanere grosso modo la stessa nel repertorio italiano trecentesco, e che dunque un brano caratterizzato da bassa densità di eventi sonori del tenor debba essere eseguita a tempo più rapido, così da compensare la densità “reale”, o nel tempo. A titolo di esempio, possiamo immaginare che il tenor di un brano in octonaria presenti una scansione media di una nota per unità di breve: Gozzi, che àncora il riferimento della densità alla semibrevis maior, calcolerebbe una scansione di una nota ogni due semibrevi, che si traduce in una densità media di 0,50 (alla semibreve). Nel caso invece di un brano sempre in octonaria, ma che presenta una media di due note per unità di breve, si calcolerebbe dunque una densità media di 1 (di nuovo alla semibreve). Ora, se vale il principio che la frequenza effettiva degli eventi sonori nei due brani non possa realmente essere tanto divergente (salvo chiare eccezioni, come ad esempio brani caratterizzati da andamento canonico), e debba invece essere all’incirca equivalente, si dovrà concludere che il primo brano vada eseguito a una velocità doppia rispetto al secondo. Ho discusso altrove alcuni ulteriori elementi di validazione dell’assunto di base dello studioso (a cominciare dal parametro del trattamento della dissonanza)22; in ogni caso, la pertinenza di principi non troppo dissimili è stata da tempo accettata anche in relazione a repertori musicali di altri luoghi e epoche23. Ora, l’analisi dell’evoluzione del parametro della densità nel repertorio italiano trecentesco mostra chiaramente un processo di “densificazione” nel corso del secolo, ovvero una tendenza del tenor a diventare progressivamente più denso: il che, seguendo il ragionamento di Gozzi, dovrebbe indicare un progressivo rallentamento del tempo. E certamente l’esistenza di un processo di questo tipo appare coerente con quanto sappiamo dell’evoluzione musicale e notazionale sia del repertorio del Trecento italiano specificamente sia generalmente di tutta l’evoluzione dei primi secoli della polifonia occidentale24. Ma se accettiamo tutte queste premesse, ne può allora seguire che individuare brani dalla densità particolarmente bassa possa essere considerato un plausibile indizio di arcaismo rispetto alla media delle composizioni del codice Rossi (v. Tabella 1). E in effetti tutti i quattro brani mostrano una densità decisamente bassa: particolarmente nel caso di Con’ cavalc’ el cont’ Ugo per la strada e di Piançe la bella iguana, soprattutto nel contesto della divisio octonaria nella quale i due brani sono notati25.
  1. Un carattere modulare e ripetitivo della strutturazione del tenor (e, in certa misura, anche del cantus), basata sulla ripetizione nel tenor di semplici disegni melodici tetra- o pentacordali rispetto ai quali la voce superiore tende a muoversi per moto contrario, venendo poi a convergere su una terminazione sull’unisono. In un certo senso, si potrebbe dire che la ripetizione del materiale musicale che deriva inevitabilmente dalla stroficità costituisca in qualche modo una “amplificazione” di una caratteristica già in qualche modo presente a livello dell’organizzazione musicale all’interno della singola strofa, e che potrebbe plausibilmente essere connessa a una pratica compositiva arcaica, che conservi tracce di una origine orale-improvvisativa del genere del madrigale26.

 

L'ultima di queste osservazioni, in particolare, potrebbe suggerire una dinamica evolutiva della forma e delle caratteristiche musicali del madrigale. La pratica arcaica di questo genere (della quale ci rimangono pochi esempi, tendenzialmente concentrati nel codice Rossi) sarebbe stata generalmente caratterizzata da una forma ripetitiva, nella quale la ripetizione strofica si accompagnava alla presentazione dell’intero brano come un “blocco unico”, per così dire, privo di una chiara scansione formale in sezioni distinte27. Un simile stato di cose potrebbe riflettere lo stato del madrigale delle origini come rudium, inordinatum concinium, privo delle caratteristiche di sofisticatezza formale che saranno proprie della forma matura28. E di certo, è facile vedere come simili caratteristiche musicali si accompagnino naturalmente alla successione strofa-ritornello all’interno di ogni stanza: quale sarebbe infatti lo scopo di creare una partizione formale che risulterebbe poi inevitabilmente scarsamente apprezzabile all’ascolto, a causa della somiglianza musicale fra le sezioni?

Nel repertorio successivo una più chiara distinzione musicale fra terzetti e ritornello comincia ad affermarsi, e con questa la modalità di esecuzione, che diventerà comune nel madrigale maturo, che vede la successione terzetto-terzetto-ritornello (-ritornello).

La caratteristica di presentare un chiaro stacco musicale fra terzetti e ritornelli è condivisa, fra i brani pluristrofici presentati in questo articolo (cioè con l’esclusione del madrigale di Bartolino, che abbiamo concluso non appartenere a questa tipologia), da L’antico Iopiter, fra sette stelle, Giunge il bel tempo della primavera di Jacopo da Bologna e Quando la stella press’ al’alba spira di Giovanni da Cascia. Ma mentre nel primo di questi brani (che sarà discusso in un paragrafo autonomo: vedi infra) questo tipo di discontinuità musicale viene ottenuto attraverso l’adozione di un andamento canonico nella sezione corrispondente ai terzetti, ma non nei ritornelli, in L’antico Iopiter, fra sette stelle e Quando la stella press’ al’alba spira la differenziazione avviene attraverso un cambio di divisio fra le sezioni29. Vediamo quindi che in entrambi i brani viene stabilita una differenza di base fra tempus imperfectum nei terzetti e tempus perfectum nei ritornelli (per esprimerci in termini della teoria francese coeva, o anche di quella marchettiana). Questo tipo di successione caratterizza fortemente la modalità di organizzazione che diventerà poi comune nella maggior parte del repertorio della seconda metà del secolo, e ancora dell’inizio del secolo successivo (ad esempio nei madrigali italiani di Johannes Ciconia). La differenza fondamentale fra quei casi e i brani discussi qui è che – se la nostra ipotesi di fondo è corretta – il passaggio fra tempus imperfectum e tempus perfectum si ripete qui due volte, mentre avviene ovviamente una volta sola nella forma “normale” caratterizzata da una doppia iterazione del terzetto seguita dal ritornello; una differenza ovviamente rilevante in termini percettivi e quindi anche analitici, così come lo è, in termini di organizzazione dello spazio sonoro, il diverso rapporto che si stabilisce, per le stesse ragioni, fra le mete cadenzali finali delle due sezioni.

Ricapitolando, il quadro di evoluzione generale che sembrerebbe delinearsi (perlomeno sulla base dei brani che abbiamo discusso in questo articolo) parrebbe dunque essere il seguente: (1) in una prima fase, testimoniata dai quattro brani del codice Rossi che sembrano presentare caratteristiche musicali particolarmente arcaiche, la forma “normale” del madrigale sarebbe stata caratterizzata dall’esecuzione dell’intero brano come un “blocco unico”, con l’esecuzione successiva di varie strofe ognuna caratterizzata dall’esecuzione continua di terzetto e ritornello e in assenza di una chiara distinzione musicale fra le sezioni; (2) in un secondo momento, testimoniato da L’antico Iopiter, fra sette stelle, Quando la stella pressʼ alʼ alba spira, e anche da Giunge ’l bel tempo della primavera, si comincerebbe ad assistere a una chiara differenziazione musicale fra terzetti e ritornello, ottenuta attraverso mezzi compositivi diversi, che continuerebbe però ad accompagnarsi alla possibilità di adottare la successione verso-ritornello nell’ambito dell’esecuzione di ogni stanza, e (3) una fase coincidente con la forma matura del madrigale della seconda metà del secolo, nella quale la possibilità di adottare la forma pluristorica (che si accompagni o no a un cambio di divisio e a un momento di discontinuità musicale fra terzetto e ritornello) sembra tendenzialmente venire meno. 

Alcune notazioni filologiche aggiuntive sono necessarie a proposito di Vaguça Vaga. Il brano è conservato in due manoscritti, la porzione conservata ad Ostiglia del codice Rossiano (d’ora in avanti Rs) e il codice di Reggio Emilia (d’ora in avanti Reg). La lettura di entrambi presenta difficoltà: Rs limitatamente ad alcuni passaggi, in corrispondenza di strappi e cancellature nella pergamena; Reg molto più diffusamente, a causa del cattivo stato di conservazione generale.

Fra le precedenti edizioni del brano, quella di Thomas Marrocco30 si basa unicamente su Rs, perché Reg non era ancora noto all’epoca dell’edizione31; l’edizione a cura di Tiziana Sucato32 pure è esclusivamente basata su Rs, ma in questo caso in conseguenza della scelta editoriale di base di procurare un’edizione completa dei brani trasmessi dai due frammenti che compongono la porzione nota del codice Rossiano, e nelle sole versioni preservate da questi. Oliver Huck e Sandra Dieckmann, nella loro edizione del 2007 dedicata al repertorio italiano in trasmissione multipla (Dieckmann ha la responsabilità dell'edizione dei testi; Huck dell'edizione della musica, che si avvale inoltre anche della collaborazione scientifica di Marco Gozzi) trascrivono entrambe le versioni, sia in trascrizione diplomatica (nel secondo volume dello studio) che in edizione interpretativa in notazione moderna (nel primo volume)33

Le edizioni Marrocco e Sucato ricorrono all’opzione (nel loro caso obbligata) di emendare congetturalmente i passaggi illeggibili in Rs; Huck invece, in considerazione del fatto che i passaggi nei quali Reg non è leggibile non corrispondono a quelli in cui non lo è Rs, opta per ibridare le lezioni di Rs (assunto come testimone di riferimento) con quelle di Reg nei casi in cui le prime non siano decifrabili. Questa seconda opzione, pur fornendo una lezione che è certo probabilisticamente più vicina a quella originale di Rs di quanto possa essere la congettura di un musicologo moderno, non mi sembra però completamente condivisibile, anche perché nei passaggi decifrabili le lezioni di Rs e quelle di Reg risultano generalmente molto vicine, ma non completamente coincidenti; e in un caso, la b.14 della nostra edizione, quanto si riesce a leggere di Ostiglia – pur insufficiente per una trascrizione – mi sembra contraddire le versione fornita da Huck sulla base di Reg (in un passaggio che, peraltro, non sono riuscito a decifrare sulla base della riproduzione di Reg a me disponibile)34. Ho dunque scelto di: (1) procurare una versione congetturale nel passaggio di b. 14, dove mi pare che la versione di Rs non possa corrispondere a quella letta da Huck in Reg (ho anzi adottato la stessa versione proposta da Tiziana Sucato, che mi pare in sé buona e plausibile, perché non mi sembra utile moltiplicare le versioni congetturali quando non è necessario), presentandola ovviamente fra parentesi quadre; e (2) negli altri passaggi, accogliere come Huck le versioni di Reg, presentandole però non come ibridazioni accolte a testo, ma come congetture fra parentesi quadre (per quanto si tratti certo di congetture particolarmente autorevoli). C’è infine un passaggio, alla b.74 in trascrizione del tenor, che non è presente in Rs (non per lacuna materiale, ma per dimenticanza del copista) e che Huck integra sulla base di Reg. Io non sono stato in grado di leggere il passaggio corrispondente di Reg, ma accolgo comunque la sua proposta che mi sembra musicalmente buona, di nuovo integrandola fra parentesi quadre in qualità di congettura. 

Per quanto riguarda l’apparato, ho collazionato le porzioni di Reg che mi è stato possibile leggere sulla base delle riproduzioni a mia disposizione35.

Un aspetto strutturale della versione di Reg, già discusso da Marco Gozzi e Agostino Ziino in un contributo che fornisce una prima descrizione del codice Reg e del suo contenuto musicale, è la scelta da parte del suo copista di notare il brano in octonaria in opposizione alla quaternaria della versione di Rs, ma nell’ambito di un rapporto di equivalenza di breve fra le due tipologie notazionali, non di equivalenza fra la semibrevis maior dell’octonaria e la breve della quaternaria come avverrà nel fenomeno posteriore della cosiddetta Longanotation36. Questo fa sì che alle minime di Rs corrispondano le semibreves minores di Reg, e alle semiminime di Rs le minime di Reg. Non rendo conto singolarmente delle occorrenze differenziali di questi valori nei due manoscritti, che sono strutturalmente coerenti con le scelte notazionali di base (che naturalmente segnalo) e generalmente prevedibili.

L’unico aspetto potenzialmente sorprendente è il fatto che in corrispondenza delle bb. 6, 55 e 57 il notatore di Rs pare ritornare a una tipologia di notazione che sembrerebbe caratteristica dell’octonaria (semibreve-minima-semibreve-semibreve, ad esprimere una successione di ottavo puntato-sedicesimo-ottavo-ottavo in trascrizione). Va tuttavia notato che il copista non avrebbe avuto modo di notare questi passaggi facendo corrispondere all’ottavo in trascrizione la minima e al sedicesimo in trascrizione la semiminima come fa nel resto del brano, perché questo avrebbe richiesto, per esprimere i valori espressi con l’ottavo puntato nella nostra trascrizione, o il ricorso al punctum additionis, che non faceva parte del suo sistema notazionale di riferimento, puramente italiano, o l’utilizzo di una minima con cauda obliqua aggiunta, soluzione che viene adottata da alcuni autori italiani, ma solo in epoche più tarde (ad esempio in Bartolino). Ho scelto quindi di non segnalare neanche questi casi in apparato, perché non sarei incline a ritenerli errori, ma piuttosto caratteristiche strutturali di un sistema notazionale in una fase di transizione.

Infine, una precisazione filologico-notazionale di carattere generale. Si trovano in Rs un certo numero di casi di omissione del pontellus a chiusura dell’unità di breve, che Tiziana Sucato nella sua edizione segnala regolarmente in apparato come errori. Io ho deciso invece di non riportare questi casi singolarmente, perché ritengo probabile che il copista di Rs abbia potuto decidere talvolta pragmaticamente di omettere i pontelli quando non strettamente necessari all’interpretazione del passaggio (una qualche analogia si potrebbe proporre a questo proposito con il fenomeno ben noto dell’omissione in Rs di alcuni gambi di minima quando questi non risultano indispensabili a fini di disambiguazione, seppure i due fenomeni abbiano indubbiamente genesi storiche completamente diverse). Se si accetta questa interpretazione, anche l’omissione dei pontelli andrà allora considerata un fenomeno strutturale del sistema notazionale del codice, e come tale, credo, da non registrare puntualmente in apparato.



DENSITÀ
Dal bel castel se parte de Peschiera – verso
1,13
Su la rivera, dove ’l sol agiaça
1
Seguendo un me’ sparver, che me menava – parte del ritornello
0,93
In un broleto al’alba del chiar çorno
0,90
Involta d’un bel velo– verso37
0,82
Al’alba una maitina solo andava – verso
0,76
Chiamando un’astorella ch’era posa
0,76
Quando l’aire començaa farse bruno– verso
0,72
Bella granata fra le fioro sète
0,70
Pescando in acqua dolce presso un’isola – verso
0,70
Quando i oselli canta – verso
0,69
O crudel donna, o falsa mia serena – verso
0,69
Abraçami, cor mio – verso
0,67
Seguendo un me’ sparver, che me menava – verso
0,67
I’ vidi a l’umbra de la verde fronda – parte del verso
0,64
Canta lo gallo
0,61
L’antico Iopiter, fra sette stelle– verso
0,61
Gaiete, dolçe parolete mie
0,55
Con’ cavalc’ el cont’ Ugo per la strada
0,50
Levandome ’l maitin vidi la bella
0,49
Vaguça vaga, gli to ochi trade
0,47
Piançe la bella iguana
0,45
Lavandose le mane e 'l volto bello - verso0,43
De soto ’l verde vidi gli ochi vaghi – verso
0,41


Tabella 1. Densità del tenor nei brani, e nelle sezioni di brani, in octonaria e in quaternaria del codice Rossi: distinguo visivamente i brani in octonaria da quelli in quaternaria evidenziando i secondi in grassetto. Si potrà facilmente notare come la densità di tutti i brani in octonaria trasmessi dal Rossiano che abbiamo discusso in questo articolo sia bassa rispetto alla media del codice (incluso L’antico Iopiter, fra sette stelle, che pure. come già osservato, ha tratti di maggior modernità nell’articolazione formale, con una chiara discontinuità musicale fra terzetti e ritornello); in particolare Con’ cavalc’ el cont’ Ugo per la strada e Piançe la bella iguana presentano una densità perfettamente paragonabile alle composizioni in quaternaria (che all’altezza della compilazione del codice, e della composizione della maggior parte dei brani contenuti, era indubbiamente già caratterizzata da un tempo più veloce rispetto all’octonaria).

 

Vedi Apparato 1.


Jacopo da Bologna, Giunge ʼl bel tempo della primavera (7)

(a cura di Carlos C. Iafelice)

 

Tramandata in unicum nel codice Panciatichi 26 (Fp) in notazione italiana e priva di segni di divisio, la composizione si caratterizza per essere l’unico tra i madrigali di Jacopo con la sezione A in canone. L’uso di tale tecnica probabilmente è stato determinato dai contenuti del testo poetico e in particolare al tema della reverdie, in cui la circolarità implicita nel ciclo delle stagioni – e nel ritorno della primavera – è espressa simbolicamente dall’imitazione canonica (cfr. Epifani 2019, p. lxxi). Inoltre, alla stessa ciclicità potrebbe risalire la particolare forma strofica dell’intonazione.

Le indicazioni che fanno riferimento all’impiego della tecnica canonica sono presentate esclusivamente al cantus secundus (fig. 1): le quattro pause di longa imperfecta indicano la distanza di ingresso, mentre la porzione musicale, inframezzata dal paratesto «usque», indica il punto in cui il secundus interrompe l’imitazione e procede in maniera indipendente dal primus per chiudere la sezione. Per quanto riguarda la tipologia delle indicazioni impiegata, questa si avvicina a quella del tipo A, secondo la tassonomia proposta da Epifani (2019, p. cxiv). La sezione B, invece, presenta ordinariamente entrambe le voci con il rispettivo testo poetico.


 

Esempio 1: cantus secundus, sezione A (Fp, c. 93r)


Significativo l’effetto antifonale nella sezione canonica causato dal text underlay, in cui Jacopo ha accuratamente evitato la declamazione simultanea del testo, rendendo in tal modo evidente il contrasto la sezione successiva. Si noti anche qualche arcaismo nella condotta delle parti e nel trattamento della dissonanza, come le quinte parallele a b. 58 e la quarta all’inizio di b. 15.

Riguardo alle alterazioni, è da notare che la presenza del bemolle in chiave non è sistematica, presentandosi in tale posizione soltanto al principio del terzo rigo; tuttavia, la prescrizione del bemolle su b nella sezione A (bb. 6, 50 e 66), oltre al fatto che non si nota nessun movimento di grado ascendente dopo b in tutto il madrigale38 ha indotto a ritenere la prescrizione del bemolle su b valida per l'intero brano39. Di difficile interpretazione, inoltre, la presenza del segno di bequadro o diesis posto in chiave (sul fa), solo sul primo esagramma.

È da rilevare il fatto che gli editori precedenti offrono soluzioni diverse sia per la mensura sia per la conclusione della prima sezione. Mentre Marrocco propone in tutte le sue edizioni una trascrizione in senaria perfecta (sezione A) e senaria imperfecta (sezione B), Pirrotta interpreta come senaria imperfecta con modus imperfectus (sezione A) e modus perfectus (sezione B). Per quanto riguarda le ultime battute della sezione canonica, entrambi gli editori presentano un emendamento non necessario, per via dell’interpretazione erronea della ligatura ternaria a bb. 64-65 del cantus primus, in cui l’ultima nota è inspiegabilmente trascritta come brevis invece che longa. La mancanza del tempus dell’ultima nota del passaggio è poi compensata anticipando l’interruzione dell’imitazione canonica, con effetti anche nella disposizione delle sillabe sotto le note del cantus secundus (fig. 2).


a)


 

b)

Esempio 2 – Jacopo, Giunge ’l bel tempo, bb. 64-71,

secondo (a) l’interpretazione di Pirrotta 1963, p. 34 e (b) quella sostenuta dalla presente edizione.

 

Vedi Apparato 2.


Bartolino da Padova, Se premio de virtut’ è sol’ onore (8)

(a cura di Michele Epifani)

 

Il madrigale Se premio de virtute è stato intonato a due voci da uno dei più importanti compositori di area settentrionale della seconda metà del Trecento, Bartolino da Padova. La tradizione manoscritta conta tre testimoni, nessuno dei quali latore di un testo integro: Sq e il palinsesto SL omettono il distico finale, mentre in R il testo musicale manca dell’intera parte del tenor. Oltre alla comune omissione dei versi finali, si rileva che, sul piano della variantistica musicale, Sq e SL sono sempre in reciproco accordo contro R (fatti salvi un paio di errori di SL assenti in Sq). La varia lectio, in sostanza, tende a descrivere due redazioni, una settentrionale (R) e una toscana (Sq SL), con ciò allineandosi a larga parte del corpus di Bartolino40. Le opere del frate carmelitano, infatti, si attestano, come prevedibile, nelle sillogi di origine settentrionale di inizio Quattrocento (in particolare R e Man), ma anche in Toscana e a Firenze in particolare, dove fu certamente apprezzato come polifonista41. Per giunta, è ad oggi proprio la linea di tradizione fiorentina a consegnarci il più alto numero di composizioni di Bartolino: solo un unicum di Man, la ballata Serva ciascuno com’è facto a lui, risulta essere sfuggito ai compilatori di Sq42. L’attenzione riservata a Bartolino in questa importante silloge è tuttavia peculiare: nelle sillogi toscane di qualche anno precedenti (Fp, Lo, Pit) la presenza di Bartolino è sostanzialmente marginale. In tal senso è interessante, soprattutto per le implicazioni che potrebbero esserci sul piano della trasmissione testuale, la massiccia presenza di Bartolino in SL, che, da quanto si evince dalle carte rimanenti della sezione dedicata al compositore, non doveva essere di molto inferiore a quella di Sq.  

Le precedenti edizioni di Se premio de vritute (Wolf 1955 e Marrocco 1975), entrambe pubblicate prima della scoperta di SL43, si basano su Sq. Considerando la situazione da un punto di vista meramente musicale, la scelta del testimone di riferimento era sostanzialmente obbligata, essendo Sq l’unico testimone completo conosciuto. Della questione relativa al secondo ritornello nel residuum di R non v’è traccia nell’edizione di Wolf, che si riproponeva di offrire la prima trascrizione in notazione moderna dell’intero contenuto di Sq, così come nell’edizione critica di Marrocco, che pure riporta in apparato le varianti di R. Nelle edizioni del testo musicale, dunque, la questione della forma anomala e mai riscontrata nel repertorio ipotizzata da Corsi (ABAAB in luogo di AAABB) è di fatto ignorata44. A completare il quadro, si aggiunga una curiosa osservazione di Pirrotta, per cui la forma del madrigale consisterebbe in «two ritornelli alternating with two terzetti»45 che parrebbe doversi interpretare come ABAB, che evidentemente non tiene in conto il terzo terzetto. In conclusione, nessuna edizione ha finora restituito il testo di questo madrigale in modo corretto: Corsi per la dislocazione delle partizioni metriche, Wolf e Marrocco per l’assenza del secondo ritornello.

Date le peculiarità della tradizione manoscritta e partendo dal presupposto che non vi è alcuna ragione per supporre che il secondo ritornello sia spurio, laddove la caduta dei versi in residuum è fenomeno assai frequente, per l’edizione critica dell’intonazione si profilano in prima battuta solo due strade percorribili: integrare la musica (R + tenor di Sq) o integrare il testo (Sq + secondo ritornello di R)46. In questa edizione si è seguita la prima strada, accogliendo R come testimone di riferimento per il testo poetico e per il cantus, integrando la parte del tenor da Sq. Non è difficile dimostrare che, in questo caso specifico, l’integrazione della musica sia di fatto l’unica scelta plausibile: R e Sq, come si è detto, sono testimoni provenienti da differenti aree geografiche e con evidenti ripercussioni sulla patina linguistica, che inibisce un’eventuale integrazione di Sq con i versi di R. L’integrazione della musica in R, tuttavia, non dovrebbe considerarsi necessariamente priva di controindicazioni rispetto a quella del testo poetico. La possibilità di una combinazione tra le parti vocali passa inevitabilmente per il contrappunto e, pertanto, nel caso di parti desunte da testimoni differenti, il successo dell’operazione dipende in ultima analisi dalla varia lectio: una tradizione instabile, che tendesse addirittura a trasmettere redazioni differenti, con tutta probabilità porrebbe diversi ostacoli alla combinazione. Nel caso specifico di Se premio de virtute, fortunatamente, le divergenze nella parte del cantus tra R e la coppia Sq SL sono limitate a pochi passaggi e sempre interpretabili come varianti ‘formali’, cioè fioriture che in nulla modificano la struttura contrappuntistica soggiacente (C 17, 40, 78, 100). La direzione, peraltro, è costante: passaggi ornamentali sono sempre in R contro Sq SL. Per quanto riguarda le varianti del text underlay, non solo si nota una generale conformità, ma in un caso parrebbe addirittura migliore l’accordo tra cantus di R e tenor di Sq SL di quanto non accada all’interno di questi ultimi, dove il cantus viene a trovarsi in anticipo di un tempus nella declamazione del secondo emistichio del v. 10 (seguendo l’ombraˆe non la ve-raˆes-sen-za), e in particolare dell’ottava e decima sede, da cui si dipana il melisma di fine verso.

 

Esempio 3. Bartolino da Padova, Se premio de virtute, bb. 96-99.

 

Un altro passaggio in cui il cantus di R presenta una disposizione del testo più coerente rispetto a tenor di Sq SL è a bb. 47-51, corrispondenti al primo emistichio del v. 2 (che sença lei se crede aquistar fama), dove ancora una volta il cantus di Sq risulta in anticipo di un tempus.

 

Esempio 4. Bartolino da Padova, Se premio de virtute, bb. 47-51.

 

Circa l’omissione del tenor in R ben poco si può dire, se non escludere una redazione genuinamente monodica del madrigale47, dove peraltro si nota la presenza di due lunghe pause del cantus (bb. 24-26 e 42-44), che senza il tenor non avrebbero alcun senso e che un’eventuale versione monodica avrebbe senz’altro rimosso. Il copista ha probabilmente tratto il madrigale da un esemplare già privo del tenor, che avrebbe trovato spazio sufficiente nei quattro esagrammi lasciati in bianco. Il che forse potrebbe dirci qualcosa circa lo strano paratesto che si legge in chiusura del testo in residuum, «Se p(re)mio /», che, come aveva giustamente osservato Corsi, prescrive erroneamente la ripresa della sezione A con il testo del primo terzetto. L’indicazione data dal paratesto è quella che sistematicamente si riscontra nel residuum della ballata, l’unico genere che poteva vantare una tradizione monodica (e in notazione mensurale) all’interno del repertorio arsnovistico e che forse proprio per questo potrebbe aver indotto il copista in errore.

In conclusione, restano due brevi osservazioni sulla notazione. Il corpus di Bartolino è tramandato in tutti i testimoni in notazione italiana, rispondente al sistema post-marchettiano più avanzato, grosso modo come lo si trova esposto da Prosdocimo nel trattato ad modum Ytalicorum48. È del tutto plausibile, anche considerando che a Padova operarono sia Marchetto sia Prosdocimo, che la veste notazionale trasmessa dai codici corrisponda al sistema impiegato dal compositore stesso49. Un tratto che si rileva con particolare frequenza è la libera oscillazione tra aer Italico e aer Gallico: una volta impostata la qualità del tempus (perfectum /imperfectum, ovvero ternario / binario), le divisiones interne fluttuano liberamente tra octonaria e senaria imperfecta oppure duodenaria e novenaria. Nonostante sia possibile trovare indicazioni esplicite (in questo caso Sq indica quasi tutti i cambi di divisio al cantus), queste non sono realmente necessarie, essendo generalmente desumibili dal contesto. Nell’edizione si è tradotta questa oscillazione mediante l’uso di gruppi irregolari (terzine)50, ritenendola più prossima alla notazione originaria, rispetto alla prescrizione di continui cambi di tempo, che avrebbero inevitabilmente appesantito il testo.

Il secondo aspetto caratteristico della notazione di Bartolino è senza dubbio l’uso delle ligaturae parigrado51. Come è noto, nel sistema notazionale italiano i limiti della divisio sono ‘invalicabili’, non è possibile cioè porre una figura a cavallo di due divisiones (corrispondenti alle battute in notazione moderna). La soluzione per aggirare questa evidente limitazione è l’uso della ligatura parigrado: l’accostamento fino a rendere tangenti due figurae, anche se poste tra due divisiones, per indicare un singolo suono di durata pari alla somma delle due figurae (è sostanzialmente il medesimo principio della legatura di valore nella notazione moderna). Nel processo di trasmissione dei testi musicali dell’Ars Nova italiana, le ligaturae parigrado rappresentano uno dei tratti notazionali più instabili52. Benché il ripristino delle parigrado rientri – o dovrebbe rientrare – nella normale prassi ecdotica di questo repertorio, la loro individuazione è spesso interamente a carico dell’editore (nella presente edizione le parigrado congetturali si rendono con la legatura di valore tratteggiata). Nel caso di Se premio de virtute, Sq non conserva nessuna parigrado e lo stesso può dirsi di R, che per giunta presenta una scrittura alquanto compressa, che rende spesso difficile stabilire un discrimine certo tra figurae tangenti e separate; una decina di ligaturae parigrado sono invece di interpretazione più che sicura nel palinsesto SL (v. Apparato critico). Non è dato sapere quali effetti avessero la caduta o la conservazione delle parigrado in termini di esecuzione: non si può escludere che in determinati contesti la loro conservazione fosse ritenuta inutile perché delegata alla prassi esecutiva. In ogni caso, poiché non è pensabile un approccio meccanico, che implicherebbe l’assurdità di legare indiscriminatamente tutti i suoni ribattuti, si dovrà valutare ogni singolo caso. A tal proposito, limitatamente alla parte del cantus di Se premio de virtute, un computo dei suoni ribattuti in passi melismatici (non giustificati dalla declamazione del testo) offre la seguente casistica: 28 casi a cavallo di divisio, contro due soli casi all’interno della divisio (C 55 e 82). La sproporzione non sorprende, in quanto il sistema italiano non aveva particolari limitazioni all’interno della divisio; inoltre, il sistema notazionale di Bartolino impiega figurae non contemplate dalla teoria marchettiana, in particolare le semibreves e le minimae con cauda obliqua (C 31, 63, 69), che unite alla disambiguazione costante della minima, rendono spesso superfluo l’uso della parigrado o la riducono a pura scelta grafica. Per un compositore che impieghi il sistema notazionale con cui è tramandato il corpus di Bartolino, la parigrado è di fatto l’unico mezzo per esprimere (1) durate superiori alla brevis ma inferiori alla longa (C 1-2, 12-13, ecc.) e (2) processi di sincopazione che coinvolgono due o più divisiones (C 4-8, 9-11, 20-23, ecc.). Nel caso della sincope, prima ancora che di un fatto meramente tecnico-notazionale, si tratta di un elemento stilistico, che attiene a un particolare modo di costruire la melodia; un’eventuale rinuncia al ripristino delle ligaturae parigrado significherebbe occultare un tratto non secondario del pensiero musicale di Bartolino.

Vedi Apparato 3.

Note
  • 1

    Capovilla 1982, rist. in Capovilla 2021, da cui si cita. Il repertorio è alle pp. 177-87. La ricerca di cui si offrono i risultati nel presente articolo è parte integrante del progetto Advanced Grant «European Ars Nova: Multilingual Poetry and Polyphonic Song in the Late Middle Ages» (ArsNova), finanziato dallo European Research Council nell’ambito del programma «Horizon 2020 research and innovation» dell’Unione Europea (Grant Agreement n° 786379). Nell’Appendice, l’edizione critica dei testi poetici dei madrigali si deve a Maria Sofia Lannutti (madrigali 1-5 e 8) e Vittoria Brancato (madrigali 6-7), l’edizione critica dei testi musicali si deve a Giacomo Ferraris (madrigali 1-6), Carlos Henrique Cascarelli Iafelice (madrigale 7) e Michele Epifani (madrigale 8).

  • 2

    Ivi, p. 111.

  • 3

    Ivi, pp. 111-12. Su Aquila altera, anche in relazione allo statuto aulico del madrigale, vedi Caraci Vela 2014.

  • 4

    Per una descrizione del progetto, cfr. il sito web www.europeanarsnova.eu/it, e Lannutti 2020. Il corpus delle edizioni sarà fruibile nel database del progetto, che è ospitato dal portale «MIRABILE. Archivio digitale della cultura medievale» ed è costituito da tre sezioni: Catalogo dei manoscritti, degli autori e dei testi (CANT); Corpus dei testi poetici e musicali (ANT); Repertorio delle strutture metriche e musicali (ANS).

  • 5

    Corsi 1970, pp. 243-44.

  • 6

    Mischiati 1966.

  • 7

    Sucato 2003, p. 3, con bibliografia pregressa.

  • 8

    Mischiati 1966, p. 71.

  • 9

    Corsi 1970, p. 362.

  • 10

    Sucato 2003, p. 75.

  • 11

    Ed. in Vela 2005, e vedi anche Formentin 2007; Brugnolo 2010, pp. 26-43.

  • 12

    Lannutti 2005, pp. 168-73.

  • 13

    Mischiati 1966, p. 74.

  • 14

    Zenari 2004, p. 144.

  • 15

    Li Gotti 1944, p. 381; Corsi 1969, p. 1018; Corsi 1970, p. 34.

  • 16

    Andrews 1977, pp. 74-75.

  • 17

    Edizione, contestualizzazione storico-biografica e studio delle forme metriche in Caprettini 1993.

  • 18

    I criteri di edizione sono sostanzialmente quelli adottati in Calvia 2017 ed Epifani 2019. In caso di tradizione pluritestimoniale, per ogni testo, nell’elenco dei testimoni, si indica per primo il manoscritto di riferimento, del quale si conservano a testo le caratteristiche formali e grafiche, ma si uniformano a i le grafie y e j, si distinguono secondo l’uso moderno u e v, si elimina la h in ch e gh seguiti da a o da vocali posteriori, si elimina la i davanti a e quando indica la pronuncia affricata palatale di c e g, si uniformano le grafie della laterale palatale gl(i) e lgl(i) e della nasale palatale gn(i) e ngn(i), rese sempre rispettivamente con gl e con gn. Si introducono inoltre i segni diacritici indispensabili e il punto in alto per indicare il rafforzamento fonosintattico. Le maiuscole dei manoscritti sono tacitamente riportate all’uso moderno. Si sciolgono le abbreviature: la nota tironiana con et; il titulus con m di fronte a labiale. Le integrazioni e gli emendamenti congetturali sono tra parentesi quadre. L’apparato, di tipo negativo, è diviso in due fasce contenenti rispettivamente varianti sostanziali e formali (morfologiche, fonetiche e grafiche). C = cantus; T = tenor; resid. = residuum.

  • 19

    Vd. Ferraris 2023.

  • 20

    Si noti, a puro titolo di esempio, come una alternanza di binarietà e ternarietà fra terzetti e ritornello (per cui se i terzetti sono caratterizzati da un andamento binario il ritornello è caratterizzato da un andamento ternario, e viceversa) si trovi nella totalità dei madrigali preservati, dodici in totale, del compositore più celebrato del Trecento maturo, Francesco Landini (nei brani notati secondo la modalità secondo-trecentesca della Longanotation l’alternanza si realizza a livello di raggruppamento binario vs ternario della quaternaria, non esplicitata graficamente ma che emerge nondimeno in modo inequivocabile a livello analitico).

  • 21

    Vedi Gozzi 2001, in particolare le pp. 23-39.

  • 22

    Vedi Ferraris 2021. In particolare, mi sono focalizzato sull’analisi del parametro del trattamento della dissonanza in connessione alla densità del tenor. Ho osservato che i brani caratterizzati da densità più bassa del tenor presentano un utilizzo sistematico della semibreve (semibrevis maior nel contesto delle divisiones octonaria o duodenaria), mentre la dissonanza sulla semibreve viene tendenzialmente evitata (e evitata in modo assoluto nelle composizioni della seconda metà del secolo) nelle composizioni caratterizzate da una densità più alta. Mi sembra che questa circostanza possa corroborare l’idea che le composizioni con più bassa densità del tenor venissero eseguite più rapidamente, cosicché la semibreve o semibrevis maior avrebbe assunto una durata temporale più lunga; allora un intervallo dissonante in corrispondenza di questo valore avrebbe assunto un maggiore impatto “sonoro”, tale da essere inaccettabile rispetto alle convenzioni contrappuntistiche dell’epoca. Per una esposizione più distesa di questi argomenti e per una discussione degli indubbi elementi di complessità causati dall’introduzione di una dimensione diacronica (ovvero di una valutazione dell’evoluzione congiunta dei parametri della densità del tenor e del trattamento della dissonanza nel corso del secolo), nonché dall’interazione con la teoria musicale dell’epoca, rimando comunque alla tesi, e particolarmente al secondo capitolo, Tempo e dissonanza, pp.109-88.

  • 23

    Vedi ad es. Wegman 1989 sul repertorio sacro quattrocentesco inglese.

  • 24

    Nel corso della quale vediamo il tactus, o l’unità di movimento, spostarsi dalla longa su cui ricade nel repertorio della cosiddetta scuola di Notre Dame, fino alla semiminima nei “madrigali in note nere” del secondo ’500.

  • 25

    Per una discussione più puntuale della densità nei diversi brani del Rossiano devo rimandare, ancora una volta, a Ferraris 2021, particolarmente alle pp. 42-92, mentre riporto in Appendice una tabella con i valori di densità del tenor di tutti i brani in octonaria e in quaternaria del codice.

  • 26

    Sui possibili rapporti del madrigale arcaico con una prassi di tipo improvvisativo vedi Toliver 1992. La modularità è già stata notata da Marrocco 1967 in relazione a Con’ cavalc’, el cont’Ugo per la strada; ma lo stesso fenomeno caratterizza con molta evidenza anche Canta lo gallo e Piançe la bella iguana.

  • 27

    E una chiara discontinuità musicale fra terzetti e ritornello permane anche nei (complessivamente piuttosto rari) casi di quello che potremmo definire madrigale durchkomponiert, nei quali terzetti e ritornelli vengono intonati in modo continuo, senza ripetizione. Per un esempio di questa tipologia formale, si veda ad es. Sì dolce non sonò co·llir’ Orfeo di Francesco Landini.

  • 28

    La definizione è quella di Francesco da Barberino (Egidi 1902-27, II, p.66).

  • 29

    Specificamente, troviamo una successione di octonaria nei terzetti e duodenaria nei ritornelli in L’antico Iopiter, fra sette stelle – il che si traduce in una successione di 2/4 e di 3/4 nella nostra trascrizione; e di octonaria nei terzetti, novenaria, duodenaria e senaria perfecta nei ritornelli in Quando la stella press’ al’ alba spira, ciò che si traduce in una successione di 2/4 e 3/4, con la sistematica adozione di valori terzinati nella porzione corrispondente alla novenaria nella nostra trascrizione.

  • 30

    Marrocco 1972.

  • 31

    Il codice, scoperto da Oscar Mischiati nel 1990, è stato oggetto di un primo studio da parte di Marco Gozzi e Agostino Ziino nel 2007 (Gozzi-Ziino 2007).

  • 32

    Sucato 2003.

  • 33

    Huck-Dieckmann 2007, I, pp. 7-8 (trascrizione), p.142 (edizione del testo), pp.156-57 (apparato e commento); II, pp. 10-12 (trascrizione semidiplomatica in notazione originale). La responsabilità dell’edizione della musica è di Oliver Huck; a Sandra Dieckmann sono dovute le edizioni dei testi.

  • 34

    Mi sembra, quantomeno, di capire che sia questa la ratio della scelta di Huck (sebbene la discussione in apparato non mi risulti del tutto trasparente su questo punto). In realtà, la questione è però complicata dal fatto che la trascrizione semidiplomatica presenti una lezione diversa da quella presentata in trascrizione; in questo modo, la trascrizione si troverebbe a non coincidere con la lezione di Reg fornita nella trascrizione semidiplomatica, ma a non essere compatibile neanche con quella di Rs (in cui, come già osservato, pur nell’illeggibilità del passaggio si intravede chiaramente la presenza di almeno un’altra nota). Presumo che questa discrepanza sia da ricondursi a una diversa valutazione da parte degli editori in fasi diverse del lavoro di edizione, che non sono state poi uniformate al momento della pubblicazione.

  • 35

    Che sono meno estese rispetto a quelle collazionate da Gozzi e Huck; il mio apparato potrebbe quindi essere successivamente arricchito nella versione per il portale se un accesso diretto al codice con tecnologia appropriata – che non mi è per ora stato possibile utilizzare – permetterà una miglior leggibilità.

  • 36

    Per una discussione sulla notazione di questo brano nel Rossiano, e particolarmente per l’indicazione di mensura inconsueta (q.m., in luogo della semplice q. abitualmente utilizzata per la quaternaria), vedi la discussione di Nino Pirrotta, che propone che l’indicazione stia per quaternaria maior (Pirrotta 1985, p. 205 nota 15) e di Tiziana Sucato (Sucato 2003, pp. 30-31), che suggerisce che vada interpretata come quaternaria minimarum. In Ferraris 2021, pp. 51-56, ritorno sulla questione, mettendo questa indicazione in relazione a un’altra per certi aspetti analoga (la o.m. utilizzata per un brano in octonaria del codice, In un broleto, al’alba del chiar çorno, in luogo della semplice.o. abitualmente utilizzata per questa divisio) e al sistema notazionale del codice in generale. Mi sembra in ogni caso indubbio come questa designazione, qualunque sia il suo significato, sia connessa alla caratteristica di questa quaternaria di presentare talvolta più di quattro note per unità breve (anche se mai più di sei), che è poi anche la ragione per la forma notazionale diversa in cui il brano si trova trasmesso in Reg. Per una discussione delle evoluzioni post-marchettiane della quaternaria, inclusa la possibilità di aumentare il numero di note per breve, vedi comunque Epifani 2015, che basa la sua discussione anche su un trattato (le Rubricae breves) all’incirca contemporaneo alla compilazione di Rs e di Reg.

  • 37

    Non si considera qui il ritornello perché l’andamento canonico del tenor rende la sua densità non comparabile a quella degli altri brani.

  • 38

    Da notare, comunque, la terza ascendente tra le battute 58-59 (e in canone a battute 66-67).

  • 39

    Nonostante si verifichi la necessità dell'annullamento per bequadro contestualmente all’impiego del diesis su F in cadenza, come accade alle bb. 89, 94, 97 della sezione B.

  • 40

    Il corpus di opere di attribuzione certa a Bartolino da Padova è costituito da 27 ballate e 11 madrigali per lo più a due voci. A questi si aggiungono poche composizioni di attribuzione congetturale.

  • 41

    Ad oggi le notizie biografiche su Bartolino restano incerte e non vi sono stati significativi passi avanti rispetto a Petrobelli 1968. La presenza di Bartolino a Firenze non è documentata, ma la sua notorietà, oltre che dalla trasmissione del corpus di opere, è desumibile anche da testimonianze indirette, come Il paradiso degli Alberti di Giovanni Gherardi da Prato (cfr. Giovanni da Prato 1867, III, p. 170).

  • 42

    Alcuni unica di R, tramandati in sezioni del codice che sono in larga parte occupate da composizioni di Bartolino, gli sono state attribuite modernamente; cfr. Nádas 1986, p. 197 nota 214.

  • 42

    Sul codice cfr. D’Accone 1984 e la recente edizione in facsimile Janke – Nádas 2016. Nel caso specifico del madrigale Se premio de virtute, SL non è di particolare aiuto per costituzione del testo: rispetto a Sq rappresenta a livello teorico la tipica condizione dei descripti (se ne distingue solo per gli errori propri a C 61-63 e 81); ma la lezione di SL presenta comunque interessanti dettagli notazionali, di cui si discuterà più avanti.

  • 43

    Converrà ricordare che la forma con ritornello di quattro versi (intonati a coppie) è anch’essa piuttosto rara: dal repertorio Capovilla 1982 se ne contano dieci casi (incluso Se premio de virtute), di cui solo sei con intonazione polifonica, che riconducono in massima parte all’area settentrionale (oltre a Bartolino: Ogni diletto di Piero; I’ mi son un e Prima virtute di Jacopo; Del glorioso titolo di Antonello; Plorans ploravi di Zacara). 

  • 45

    Pirrotta 1983, p. 90.

  • 46

    Una terza via, cioè sottoporre alla musica di Sq il testo di R, è filologicamente impraticabile: oltre che a restituire il testo in una forma che non ha alcuna probabilità di essere esistita, una simile contaminazione di lezioni non farebbe altro che svilire i testimoni, obliterando tanto le caratteristiche musicali di R quanto quelle linguistiche di Sq.

  • 47

    La menzione al madrigale monodico nella Summa di Antonio da Tempo (Andrews 1977, p. 71), ancorché ventilata come ipotesi che «non ita bene sonat», resta problematica e priva di riscontri nel repertorio. A ciò si aggiunga che l’accenno al madrigale monodico manca del tutto nella traduzione di Gidino (cfr. Caprettini 1993, p. 134 nota 5).

  • 48

    Tra gli aspetti trattati diversamente da Prosdocimo vi sono le ligaturae parigrado, che il teorico non prende in considerazione, proponendo per la sincope a cavallo di divisio una soluzione che non mi risulta trovare riscontri nel repertorio (la sovrapposizione del pontello su una singola figura a cavallo di divisio); cfr. Sartori 1938, pp. 64-65 e Huff 1972, p. 49.

  • 49

    L’assenza di testimoni autografi congiunta all’instabilità del sistema notazionale italiano, che contempla casi di ammodernamento notazionale (cfr., ad esempio, Gozzi 1995), fa sì che qualsiasi considerazione di ordine paleografico-musicale sia di norma riferita ai copisti.

  • 50

    La medesima soluzione è seguita in Marrocco 1975.

  • 51

    Dopo le prime osservazioni su Rs (Long 1981, pp. 15-20), la conservazione delle ligaturae parigrado è stata accuratamente rilevata per tutti i codici analizzati in Nádas 1986 (per Sq si vedano in particolare le pp. 449-57). Sull’argomento cfr. anche Sucato 1999 e Sucato 2000, nonché quanto rilevato per il madrigale La douce çere di Bartolino in Lannutti – Epifani 2015, p. 324.

  • 52

    Una delle principali ragioni per cui la conservazione delle ligaturae parigrado poteva essere problematica, è che queste non sono contemplate nel sistema dell’Ars Nova francese, che nel corso del XIV secolo si è imposto anche in Italia. Tale sistema è peraltro maggioritario nella tradizione manoscritta dei principali compositori toscani, incluso Francesco Landini, ma in molti casi è certamente il frutto di un ammodernamento notazionale a partire da originali in notazione italiana: il passaggio da un sistema all’altro può facilmente comportare la perdita in blocco delle parigrado. A ciò si dovrebbe aggiungere anche l’ambiguità che scaturisce da scritture particolarmente compresse o poco curate, e le stesse abitudini grafiche dei copisti, soprattutto ogniqualvolta che la parigrado rappresenti l’unico modo per esprimere una certa durata.

Bibliografia
  • Andrews 1977 = Antonio da Tempo, Summa artis rithimici vulgaris dictamini, edizione critica a cura di Richard Andrews, Bologna, Commissione per i testi di lingua.

  • Brugnolo 2010 = Furio Brugnolo, Lirica italiana settentrionale delle origini: note sui più antichi testi, in Id., Meandri. Studi sulla lirica veneta e italiana settentrionale del Due-Trecento, Roma-Padova, Antenore, pp. 5-43.

  • Calvia 2017 = Nicolò del Preposto, Opera Completa, edizione critica commentata dei testi intonati e delle musiche, a cura di Antonio Calvia, Firenze, Edizioni del Galluzzo.

  • Capovilla 1982 = Guido Capovilla, Materiali per la morfologia e la storia del madrigale “antico”, dal ms. Vaticano Rossi 215 al Novecento, «Metrica», 3, pp. 159-252, rist. in Id., Studi Metrici, a cura di Emilio Torchio, Firenze, Edizioni del Galluzzo, pp. 99-187.

  • Caprettini 1993 = Gidino da Sommacampagna, Trattato e arte deli rithimi volgari. Riproduzione fotografica del cod. CCCCXLIV della Biblioteca Capitolare di Verona, testo critico a cura di Gian Paolo Caprettini, introduzione e commentario di Gabriella Milan, con una prefazione di Gian Paolo Marchi e una nota musicologica di Enrico Paganuzzi, Vago di Lavagno (Verona), La Grafica Editrice.

  • Caraci Vela 2014 = Maria Caraci Vela, Per una nuova lettura del madrigale Aquila altera / Creatura gentile / Uccel di Dio di Jacopo da Bologna, «Philomusica on-line», 13, pp. 2-58.

  • Corsi 1969 = G. Corsi, Rimatori del Trecento, Torino, UTET.

  • Corsi 1970 = Giuseppe Corsi, Poesie musicali del Trecento, Bologna, Commissione per i testi di lingua.

  • Cross 2000 = Lucy Cross, Musica ficta, in A Performer’s Guide to Medieval Music, a cura di Ross W. Duffin, Bloomington, Indiana University Press, pp. 496-509.

  • D’Accone 1984 = Franck D’Accone, Una nuova fonte dell’Ars Nova italiana: il codice di San Lorenzo, 2211, «Studi Musicali», XIII, pp. 3-31.

  • Epifani 2019 = La caccia nell'Ars Nova italiana, edizione critica commentata dei testi e delle intonazioni, a cura di Michele Epifani, Firenze, Edizioni del Galluzzo.

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Sigle dei manoscritti
  • Fp = Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Panc. 26.

  • Man = Lucca, Archivio di Stato, ms. 184 «Codice Mancini»; Perugia, Biblioteca Comunale Augusta, ms. 3065.

  • MoA = Modena, Biblioteca Estense Universitaria, α.M.5.24.

  • R = Paris, Bibliothèque nationale de France, n.a.fr. 6771.

  • Reg = Reggio Emilia, Archivio di Stato, Comune di Reggio Emilia, Appendice s.n. «Frammento Mischiati» [olim frammenti di codici musicali (n. 16)].

  • Rs = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ross. 215; Ostiglia (Mantova), Fondazione Opera Pia don Giuseppe Greggiati, mus. rari B 35.

  • SL = Firenze, Archivio del Capitolo di San Lorenzo, 2211.

  • Sq = Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Med. Pal. 87.

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Informazioni
Cita come: Maria Sofia Lannutti, Madrigali pluristrofici nel repertorio dell'Ars Nova italiana in DILEF. Rivista digitale del Dipartimento di Lettere e Filosofia - 3 (2023), pp. 134-171. 10.35948/DILEF/2024.4329