Abstract
Questo articolo si propone di analizzare l'uso dei pronomi allocutivi, nella loro veste di riferimenti deittici, da parte di parlanti di lingue minoritarie. Attingendo agli approcci teorici e metodologici della pragmatica e della sociolinguistica, questo studio mostra come la dimensione demografica di una comunità linguistica possa influenzare la codifica del contesto sociale e interazionale e come questo sia in grado di agire sulle scelte linguistiche dei parlanti.
The aim of this paper is to explore the use of address pronouns, as deictic references, by speakers of minority languages. Drawing on pragmatics and sociolinguistics theoretical and methodological approaches, this study shows how the size of a linguistic community can affect the encoding of social and interactional context and how this is able to act on speakers’ language choices.
Parole chiave
Keywords
Questo contributo trae spunto da due approcci: da una parte gli studi di pragmatica dedicati all’analisi dei fenomeni linguistici che implicano il ricorso al contesto e codificano il rapporto tra i partecipanti all’interno di uno scambio comunicativo1, dall’altra gli ambiti di indagine che, usando parametri quantitativi, hanno cercato di riscontrare la presenza di correlati sociali in grado di avere particolari effetti sulle strutture e sulle categorie linguistiche2.
Partendo dalla definizione di deissi personale come l’insieme degli «elementi linguistici che grammaticalizzano il riferimento ai ruoli dei partecipanti all’atto comunicativo» (Renzi 1995, p. 266), la scelta dei pronomi allocutivi da parte dei parlanti si rivela come il riflesso più evidente della codifica linguistica dello spazio sociale. Al tempo stesso, la deissi risulta essere una categoria grammaticale fortemente influenzata dall’uso interazionale e sociale della lingua (Vanelli 1992; Vanelli-Renzi 1995; Scaglia 2003; Siewierska 2004). Attraverso l’osservazione delle forme allocutive è possibile cogliere aspetti relativi al contesto nella sua accezione più ampia: il contesto comunicativo come lo spazio in cui si svolge l’interazione (Bertuccelli Papi 1987; Orletti 1994; Ducrot 1995) e il contesto sociale all’interno del quale è collocata la comunità linguistica (Giglioli-Fele 2000).
Come accennato, gli studi hanno evidenziato come vari fattori di natura extralinguistica abbiano la peculiarità di avere particolari effetti sulle categorie linguistiche. Tra questi, la dimensione demografica delle comunità è considerata, secondo approcci teorici e metodologici differenti, uno dei parametri in grado di incidere sul sistema della lingua3. Partendo da questo assunto, le lingue delle comunità alloglotte rappresentano un campo di osservazione privilegiato per indagare il rapporto tra fattori sociali e strutture linguistiche per via delle particolari dinamiche di contatto, e al tempo stesso permettono un’analisi nella quale la variabile legata al numero dei parlanti può dimostrarsi fortemente correlata all’interpretazione dei fenomeni linguistici. Il questo senso il contributo intende rispondere alla seguente domanda: all’interno di atti comunicativi che presuppongono la codifica dei ruoli e delle relazioni tra gli interlocutori, in che misura la consistenza demografica di una comunità è in grado di influire sulle scelte linguistiche dei parlanti e sull’elaborazione dello spazio sociale?
Lingue piccole, lingue minori, lingue di minoranza
Si ritiene che la media dei parlanti delle lingue nel mondo sia di circa 5.000 (Nettle 1999). Secondo i dati Ethnologue sono più di 1.500 le lingue parlate da meno di 1.000 persone4. Se passiamo poi ai dati UNESCO sono circa 3.000 le lingue a rischio di estinzione5. Si tratta, generalmente di lingue “piccole” per le quali il numero dei parlanti è un fattore ovviamente molto rilevante. Se la variabile legata alla dimensione demografica di una comunità è il parametro su cui si basa l’analisi di questo contributo, le minoranze linguistiche sono la manifestazione più evidente delle lingue per le quali il dato quantitativo, relativo al numero dei parlanti, si rivela fondamentale anche per la loro sopravvivenza (Nettle 1999; Nettle-Romaine 2001).
Quando si parla di minoranze linguistiche, la varietà terminologica di sinonimi nei quali è possibile imbattersi rende il terreno di studio molto complesso ma, forse proprio per questo, ancora più degno di approfondimento. Fusco (2006, p. 107), in un articolo che ripercorre la questione delle minoranze linguistiche attraverso i termini, sostiene che le numerose denominazioni che nel corso del tempo si sono adoperate per alludere alle realtà linguistiche di minoranza confermano «l’effettivo ostacolo che si riscontra nel maneggiare talune categorie linguistiche e il relativo apparato nomenclatorio».
Isole e penisole linguistiche, oasi alloglotte, colonie linguistiche, lingue minoritarie, lingue e culture regionali, lingue di minoranza, lingue meno diffuse: sono tante le definizioni che sono state attribuite alle identità linguistiche in questione6 così come le discipline e le metodologie direttamente o indirettamente coinvolte, dalla dialettologia alla geografia, dalla sociolinguistica alla linguistica di contatto e all’etnolinguistica. Come afferma Toso (2006) il concetto di minoranza linguistica risulta ancora oggi di non facile definizione. Non è questa la sede per approfondire l’argomento, pertanto basterà ricordare che gli studi sono concordi nel sostenere come, fin dalla sua nascita, tale concetto fosse strettamente legato all’esistenza di un senso di appartenenza nazionale, ma è solo in seguito al delinearsi di nuovi assetti geopolitici, che comincia a svilupparsi una prima forma di coscienza e di consapevolezza della diversità linguistica che presuppone la valorizzazione e la salvaguardia delle identità linguistiche più deboli in termini di politica e pianificazione linguistica7 (Dell’Aquila-Iannaccaro 2004; Toso 2004).
The notion of ‘minor language’ is essentially a negative one - it is a language which lacks the features qualifying a language as ‘major’. […] The easiest criterion is probably the number of speakers, although on should keep in mind that the available statistics are often incomplete or unreliable. […] It appears safe to say that however we define ‘major’ and ‘minor’, the overwhelming majority of the world’s languages will end up on the minor side. (Dahl 2015, p. 15)
La definizione di minor language sulla base del criterio numerico può anche non presupporre che si tratti necessariamente di una lingua minoritaria (minority language) o di una lingua a rischio di estinzione (Sherzer-Stolz 2003). Tuttavia «le lingue sono in continua competizione tra loro per conquistare nuove funzioni e nuovi parlanti» (Nettle-Romaine 2001, p. 47) ed è innegabile la relazione di ruolo che intercorre tra una lingua minoritaria rispetto a una lingua maggioritaria. Ne consegue che una lingua minoritaria è anche una lingua di contatto con la realtà linguistica circostante nonostante sappiamo quanto forte e radicato sia il rapporto tra comunità alloglotte e isolamento geografico. È noto infatti lo stanziamento di piccole comunità in ambiti naturali isolati, luoghi angusti e protetti, ideali per conservare lingua e identità. D’altra parte è altrettanto evidente che le minoranze alloglotte si sottraggono a questa condizione di isolamento venendo inevitabilmente segnate dalle dinamiche della mescolanza e del contatto in un quadro di multiculturalità e multilinguismo (Berruto 2007; Dal Negro-Guerini 2007; Bombi-Orioles 2016).
La comunità occitana di Guardia Piemontese
All’interno di questa prospettiva si inserisce la comunità occitana di Guardia Piemontese. Si tratta di un piccolo centro fondato da esuli valdesi discendenti di quei “Poveri di Lione” che, in fuga dalla Francia, trovarono nuova dimora nelle vicine valli piemontesi (probabilmente alto Chisone, Germanasca, Pellice). Successivamente, per motivi demografici ed economici dovuti alla mancanza di occupazione, i valdesi giunsero presso un’area montana poco accessibile nella valle del Crati, in Calabria. Tale isolamento fu loro indispensabile per conservarsi demograficamente e per conservare la propria lingua e la propria identità (Micali, 2013). La colonizzazione valdese in Calabria è iniziata a partire dalla seconda metà del XIII secolo e per secoli la natura geografica del territorio su cui sorge il piccolo centro ha contribuito a mantenere isolata la comunità occitana dalle altre comunità linguistiche circostanti. In tempi più recenti la comunità ha poi sperimentato processi di spopolamento che hanno visto la nascita di nuove realtà sul litorale. Per rimanere ancora entro i confini terminologici, Guardia Piemontese viene classificata con la denominazione di “isola” o “colonia” linguistica (Toso 2018, Micali 2019). Il concetto di “isola” non intende fare riferimento alla sola dimensione territoriale, la quale non è sufficiente a descrivere e a capire le complesse dinamiche multiculturali e multilingui, ma esso, lontano dall’idea di totale omogeneità e di assoluto monolinguismo (Orioles 2008), consente di sviluppare un punto di osservazione attraverso il quale possono essere esaminati particolari fenomeni linguistici. Ricorrere alla metafora “geografica” dell’isola riflette la necessità di porre in evidenza lo status di Guardia Piemontese quale enclave caratterizzata fin dalle origini da una forte separatezza territoriale e linguistica dalla “madrepatria” che si riscontra nella mancata presenza di una cosiddetta “lingua-tetto” sia dentro che fuori dai confini nazionali (Micali 2015). Per chiarire questo punto sarà sufficiente ricordare che quello che oggi viene definito “occitano” non è una lingua che dispone di una standardizzazione orale (e scritta) unificata. Non si tratta di un codice unitario capace di assurgere allo status di lingua standard - non è dunque Ausbausprache (Kloss 1987) - ma piuttosto identifica l’insieme di più parlate nell’ambito di una minoranza caratterizzata da una forte frammentarietà sia linguistica che geografica (Toso 2008b).
Mentre la condizione linguistica delle comunità occitane del Piemonte è stata definita nei termini di “penisole” che si estendono e si allungano sul suolo italiano, la minoranza di Guardia Piemontese, alla pari delle minoranze croate del Molise e di quelle francoprovenzali di Faeto e Celle San Vito in Puglia, è stata altresì considerata una minoranza isolata proprio in riferimento al forte ed evidente isolamento geografico e linguistico dalle comunità “sorelle” (Toso 2006).
La varietà di Guardia Piemontese si caratterizza come la somma «di una mescolanza di più varietà di provenzale alpino» (Genre 1988, p. 37) che «nell’essenziale […] ha molto in comune con le parlate della Val Pellice». (Kunert 1999, p. 95). In termini di repertorio linguistico va osservato che Guardia Piemontese è passata nei secoli lungo un continuum che possiamo presumere essere caratterizzato da una situazione di monolinguismo (uso esclusivo della varietà occitana durante il primo insediamento di coloni valdesi)8, passando attraverso una sorta di “bilinguismo imposto” (varietà occitana a contatto con la varietà italoromanza dopo la strage dei valdesi del 1561)9, per giungere a una graduale condizione di diglossia, al momento dell’Unità d’Italia e fino alla seconda guerra mondiale, analogamente a quanto accadeva nel resto della penisola dove, a causa di una lenta diffusione della lingua nazionale, nei contesti di comunicazione informale continuava il «prosperare secolare d’una selva di dialetti» (De Mauro 1963, p. 25). Nel corso del tempo l’evolversi delle condizioni sociali dell’Italia e il progressivo diffondersi dell’italiano a fasce sempre più estese della popolazione per via del processo di scolarizzazione hanno contribuito all’evoluzione di un repertorio linguistico più complesso, caratterizzato dalla presenza di tre diverse varietà (italiano, dialetto calabrese, guardiolo) che si dividono le funzioni all’interno dello spazio linguistico al variare di più elementi. Seguendo lo schema elaborato da Mioni (1989) e alla luce delle indagini sociolinguistiche sul campo svolte da chi scrive (Micali 2015), oggi la situazione di Guardia Piemontese può essere rappresentata da un tipo di repertorio tripartito in cui la lingua standard è posta sul livello più alto (A) in quanto lingua ufficiale e nazionale, mentre il codice alloglotto e il dialetto italoromanzo si trovano sul livello più basso (B), con una subordinazione di entrambi i codici all’italiano in termini di dilalìa.
La dimensione demografica
Come detto, quando si tratta di minoranze alloglotte il dato quantitativo relativo al numero di parlanti risulta uno degli elementi determinanti per la conservazione e la salvaguardia della lingua.
Consultando i censimenti della popolazione di Guardia Piemontese dall’anno dell’Unità d’Italia è possibile riscontrare un andamento demografico pressappoco costante con variazioni non particolarmente significative fino al 1971. A partire dal decennio successivo, la parabola registra un aumento del 27,1% che, ad eccezione di un decremento di un centinaio di unità nel 2001, continua a crescere fino a raggiungere i 1.899 abitanti censiti nel corso del 2011 e i 1.726 abitanti nel 202110. Può essere utile precisare che dai rilevamenti demografici del 2021 si registra un saldo migratorio totale del +13% (sono 45 i residenti provenienti da altri comuni e 11 quelli provenienti dall’estero)11.
Grafico 1. Evoluzione demografica di Guardia Piemontese
È necessario precisare che dal 1927 il paese era conosciuto sotto il nome di “Guardia Piemontese Terme”, includendo al suo interno i centri di Guardia e di Acquappesa. Esso venne soppresso nel 1945 dando vita al nuovo comune denominato “Guardia Piemontese” e alla località chiamata “Terme” (ora Terme Luigiane) che divenne presto oggetto di contesa con il neonato comune di Acquappesa. Data la complessità della formazione dei vari nuclei abitativi ai quali si aggiunse in epoca recente anche la frazione “Guardia Piemontese Marina”, è opportuno circoscrivere il territorio e prendere in considerazione i dati relativi alla popolazione residente distinti per “Centro storico” e “Marina”.
Grafico 2. Evoluzione demografica di Guardia Piemontese per "Centro storico" e "Marina"
Un rapido sguardo ai dati in questione permette di verificare che fino al 1961 il grosso della popolazione era residente nel centro storico, mentre dalla metà degli anni Sessanta si comincia ad assistere ad un lento ma graduale spopolamento verso la frazione “Marina”, analogamente a quanto avveniva nello stesso periodo nel resto della Calabria con l’abbandono dei centri situati all’interno e la formazione dei cosiddetti «paesi doppi» lungo tutto il litorale ionico e tirrenico (Teti 2004).
I dati degli ultimi censimenti mostrano che oggi il nucleo più consistente degli abitanti di Guardia Piemontese è composto dalla frazione “Marina”, mentre il piccolo “centro storico” registra una popolazione residente costituita da sole 410 unità (210 donne e 200 uomini).
I dati
I dati conversazionali discussi nel presente contributo provengono da un corpus di parlato raccolto da chi scrive durante un’indagine sul campo a Guardia Piemontese nel triennio 2011-2013. Tale corpus comprende le registrazioni di diverse ore di parlato e di interazioni tra parlanti, oltre a vari appunti tratti dall’osservazione partecipante. In particolare, la tecnica utilizzata ha privilegiato la somministrazione di un questionario per analizzare il grado di vitalità sociolinguistica della lingua insieme a un racconto popolare con richiesta di traduzione (italiano-guardiolo) per verificare la presenza di particolari strutture morfologiche e sintattiche (Micali, 2016).
Come suggerisce Turchetta (2000, pp. 39, 44), quando si svolge un’inchiesta linguistica sul campo «[…] l’istaurarsi di un rapporto di fiducia con un collaboratore locale, il cui compito sarà di presentare l’estraneo nella sua veste di ricercatore, […] e di fungere da filtro tra l’osservatore esterno e la propria comunità», ha consentito di superare non poche difficoltà, rendendo più brevi i tempi di inserimento all’interno del gruppo oggetto di studio. Proprio dalle interazioni dialogiche tra il collaboratore locale, i parlanti selezionati e la sottoscritta sono tratti i dati oggetto del presente contributo. In particolare, si è trattato di 120 parlanti ai quali è stato somministrato un questionario sociolinguistico e 39 interviste con richiesta di traduzione del testo12.
I pronomi allocutivi e l’elaborazione dello spazio sociale
Il ricorso ai pronomi allocutivi che definiscono il rapporto di ruolo tra gli interlocutori si esprime attraverso la deissi sociale, intesa come una particolare forma di deissi personale (Conte 1988). Se alcuni elementi della struttura linguistica sono in grado di stabilire somiglianze e differenze tra gli interlocutori, la deissi diventa una chiara espressione dello spazio sociale. In questo senso, i pronomi allocutivi si caratterizzano, insieme ai titoli professionali e agli ipocoristici13, come i mezzi attraverso i quali una lingua codifica e grammaticalizza i tratti del contesto (situazionale e interazionale), i ruoli sociali dei partecipanti all’atto comunicativo e i loro rapporti reciproci (Levinson 1983).
Nella varietà occitana di Guardia Piemontese, il sistema degli allocutivi si basa sul modello tu-voi.
singolare | plurale | |
2° persona | tu | vos |
Tale sistema appartiene anche all’area dialettale in contatto (varietà italoromanza), e si differenzia dal sistema degli allocutivi dell’italiano, lingua standard di riferimento, la cui configurazione fa generalmente ricorso anche alla terza persona singolare e plurale per la forma di cortesia (Renzi 1995; Serianni 2006; Dardano-Trifone 1997).
Pronomi allocutivi naturali | Pronomi allocutivi reverenziali di ‘cortesia’ | |
Singolare | Tu | Lei (Ella) |
Plurale | Voi | Voi (Loro) |
Sul concetto di “cortesia linguistica”, pur continuando a usare tale terminologia, sappiamo ormai che «[…] il sistema dell’allocuzione ha poco a che fare con l’essere gentili e cortesi, in quanto espressione di una complessità relazionale, per cui […] riteniamo si debba abbandonare il termine stesso di ‘cortesia’» (Molinelli 2002, p. 284). Inoltre sembrerebbe più appropriato sostituire lo schema binario che prevede l’interpretazione degli allocutivi secondo la dicotomia dei parametri di potere-solidarietà (Brown-Gilman 1960) - che non ammetterebbe un’unica spiegazione per tutte le situazioni comunicative - con un nuovo modello che aggiunge altri parametri all’interpretazione della codifica dei ruoli interazionali: «potere, solidarietà, distanza, rispetto». (ivi, p. 294)
Oltre al fatto che la varietà occitana condivide con la varietà dialettale calabrese il sistema degli allocutivi di tipo tu/voi in opposizione allo schema dell’italiano14, quello che è di interesse per l’analisi di questo contributo è verificare il piano dei valori sul quale si collocano le scelte degli allocutivi da parte di parlanti che appartengono a una comunità linguistica dalla dimensione demografica fortemente ridotta e se questo ne determini in qualche modo una possibile specificità linguistica.
In esempi di parlato dialogico come quelli che seguono15, l’uso del pronome allocutivo voi (1), accompagnato dalla formula di saluto di “apertura” (Goffman 1971)16 per rivolgersi a una parlante anziana, non riguarda il tratto della distanza intesa come la mancanza di conoscenza reciproca, ma piuttosto coinvolge il piano del rispetto e del potere che trovano riscontro in un’asimmetria dell’interazione dovuta anche a fattori anagrafici17.
(1) | Bonjorn, coma stèm encuei? | ||
‘Buongiorno, come state oggi?’ | [C] | ||
(2) | Ta maire? L’ai vist aíer. Eh ton paire al es a la ca’? | ||
Tua mamma? L’ho vista ieri. Eh tuo padre 3SG.M è a DET.F.SG casa? | |||
‘Tua madre? L’ho vista ieri. Tuo padre è a casa?’ | [P] |
A ben vedere, la presenza di contesti comunicativi all’interno dei quali è necessario marcare la distanza tra gli interlocutori si verifica difficilmente in comunità linguistiche dalla dimensione demografica ridotta (o fortemente ridotta come in questo caso), fatto salvo per interazioni con parlanti esterni alla comunità che prevedono il ricorso obbligatorio a una lingua diversa (Dal Negro 2018).
Nel caso dell’italiano standard sappiamo essere in uso l’allocutivo Lei per esprimere, oltre alla forma di cortesia18, anche il piano della Superiorità/Inferiorità e della Confidenza/Distanza (Renzi 1995, p. 365). Tuttavia, tenendo in considerazione tutto il continuum di varietà tra italiano standard, italiano regionale e dialetti italiani è possibile riscontrare la presenza della forma Voi il cui uso risulta fortemente marcato tanto sul piano diacronico quanto su quello diatopico19.
Come si può osservare in (3) e in (5) i due parlanti, appartenenti a fasce d’età differenti, si rivolgono a chi scrive, come interlocutore presentato nella sua veste di ricercatore estraneo alla comunità20, utilizzando la commutazione di codice (varietà occitana/italiano) e la forma voi in (3), tu in (5). Se, come abbiamo visto per l’italiano popolare e il dialetto, la scelta di voi riflette una differenziazione geolinguistica e un’oscillazione della variazione diastratica, tale uso sembra essere regolato in (3) dal parametro della distanza in quanto viene meno la conoscenza reciproca tra chi scrive e l’interlocutore, sottolineata ulteriormente dall’uso della forma allocutiva signorina21. In (5) e (6) invece, nonostante la mancanza di conoscenza reciproca, la variabile legata all’età può aver agito come codifica di un contesto sociale e quindi interazionale meno formale [-distanza +solidarietà] tra tutti i partecipanti all’interazione22.
(3) | Signorina… dovete sapere que me ai fatigat a catòrze ans | ||
‘Signorina…dovete sapere che io ho lavorato a quattordici anni’ | [P] | ||
(4) | Qué l’ es qu’ avètz fait? | ||
Cosa 3SG.N è che avete fatto? | |||
‘Cosa avete fatto?’ | [C] | ||
(5) | Eh ma tu tu la conois la storia de la Gàrdia? | ||
Eh ma tu 2SG la conosci la storia di DET.F.SG Guardia? | |||
‘Eh ma tu conosci la storia di Guardia?’ | [P] | ||
(6) | Cointa-lhi lo fait de la pòrta granda | ||
Racconta-3SG.F.DAT il fatto della porta grande | |||
‘Raccontale la storia della porta grande’23 | [C] |
Il ricorso all’allocutivo voi si pone quindi come tratto che marca sì la distanza, ma anche e soprattutto il rispetto, che non esclude però la vicinanza. Il parametro del rispetto, che a differenza della distanza può presupporre anche la conoscenza reciproca, prevede per esempio le interazioni tipiche dei contesti comunicativi familiari (si pensi all’uso del voi tra marito e moglie nel passato). A Guardia Piemontese (come in altre aree dialettali e di minoranza)24 la forma di seconda persona plurale risulta ancora ben attestata anche per rivolgersi a nonni, zii, ecc., come dimostrano i dati conversazionali tra nipote e nonno in (7)-(8) in cui la scelta della forma allocutiva si colloca lungo una sorta di piano intermedio che va dal potere al rispetto attraverso un’interazione asimmetrica data dall’uso del voi in (7) e del tu in (8).
(7) | A cant ans sètz recòut a la Gàrdia? | ||
‘A quanti anni siete tornato a DET.F.SG Guardia?’ | [C] | ||
(8) | Quora ta maiere ilh avia shèis ans | ||
Quando tua madre 3SG.F aveva sei anni | [P] | ||
‘Quando tua madre aveva sei anni’ |
Muovendoci lungo l’asse anagrafico, come abbiamo già visto, l’uso del pronome allocutivo si sposta sulla forma di seconda persona singolare laddove il contesto interazionale coinvolga parlanti sempre più giovani come in (9) e (10), in cui la dimensione comunicativa è codificata dalla reciprocità d’uso del tu che esprime la semantica della solidarietà e lo stesso accade, all’interno delle più prevedibili interazioni tra giovanissimi coetanei (12) e (13) 25.
I dati di parlato dialogico si rivelano importanti anche perché possono essere in grado di veicolare informazioni sull’uso della varietà di minoranza e sulla percezione che di essa hanno i suoi parlanti. In (10)-(13) emerge infatti la presenza dei cosiddetti semi-speakers o parlanti imperfetti (Dorian 1977), soggetti che hanno una competenza linguistica limitata e frammentata (anche definiti Heritage Speakers negli studi più recenti di Montrul 2011) che, insieme alla dimensione relativa alla trasmissione linguistica intergenerazionale, sono aspetti tutt’altro che secondari nella prospettiva della sopravvivenza di una lingua minoritaria.
(9) | Tu tu parll gardiol? | ||
Tu 2SG parli guardiolo? | |||
‘Tu parli guardiolo?’ | [C] | ||
(10) | Ti dico... ma filha pechit ilh vòl pas parlla gardiol. Ilh lu ntond ma ilh lu parlla pas | ||
Ti dico… mia figlia piccola 3SG.F vuole NEG. parlare guardiolo. 3SG.F lo capisce ma 3SG.F lo parla NEG | |||
‘Ti dico…mia figlia piccola non vuole parlare guardiolo. Lo capisce ma non lo parla’ | [P] | ||
(11) | Ilh amic tevi parllan gardiol? | ||
DET.M.PL amici tuoi parlano guardiolo? | |||
‘I tuoi amici parlano guardiolo?’ | [C] | ||
(12) | Me parllo gardiol sol ab ma nhònha | ||
‘Io parlo guardiolo solo con mia nonna’ | [P] | ||
(13) | Sì, ma tu te parll pa bon | ||
Sì, ma tu 2SG parli NEG bene | |||
‘Sì, ma tu non parli bene’ | [P] |
Conclusioni
Come abbiamo visto, nella varietà occitana di Guardia Piemontese la deissi sociale si esprime attraverso il ricorso a un sistema pronominale basato sulle forme allocutive tu/voi, fedele a quello delle varietà provenzali e franco-provenzali. Riguardo al contatto con la varietà italoromanza, pur condividendone lo stesso modello bipartito, non abbiamo ragione di pensare che l’uso degli allocutivi da parte dei parlanti sia dovuto a questioni di contatto in termini di cedimento del sistema, piuttosto lo schema del dialetto calabrese può aver agito come una sorta di “rinforzo” rispetto all’uso delle originali forme guardiole. In (5), (9) e (13) è evidente il mantenimento della reduplicazione del clitico di seconda persona singolare obbligatorio nella varietà occitana ma estraneo alla varietà calabro-cosentina26. Quanto al contatto con l’italiano sembra possibile verificare una sorta di stabilità degli elementi della struttura linguistica occitana. Anche durante il ricorso alla varietà mista il cedimento al sistema della lingua standard dominante che prevede l’uso del Lei all’interno di contesti formali che presuppongono la mancanza di conoscenza tra gli interlocutori infatti è ben lontano (qui piuttosto l’uso di voi previsto dalla varietà alloglotta si pone sullo stesso livello dell’italiano popolare). Una prova ulteriore del mantenimento delle forme occitane nel sistema può essere data dal fatto che all’interno della comunità di Guardia Piemontese l’uso dichiarato della competenza del dialetto calabrese è rappresentato da percentuali di parlanti molto basse (Micali 2018).
Abbiamo visto come la deissi rappresenti una categoria grammaticale tipicamente legata al contesto inteso sia nella sua dimensione sociale sia sul piano interazionale. Se nel rapporto con i loro interlocutori, i parlanti sono orientati a costruire l’interazione - e a scegliere la forma allocutiva - «sia sulla base della propria identità (personale e sociale) sia sulla base dell’identità locale, cioè di quella che viene co-costruita in quel specifico contesto» (Molinelli 2002, p. 294), in una comunità dalla dimensione demografica fortemente ridotta e caratterizzata principalmente da rapporti di consanguineità, la codifica e la decodifica delle identità tra gli interlocutori non può che essere parziale. In altre parole, se il contesto sociale (e le sue variabili sociolinguistiche) influenza la co-costruzione del contesto interazionale tra i parlanti, nel nostro caso specifico la variabile diastratica legata all’età finisce per essere quella più rilevante nella codifica delle relazioni sociali che legano parlante e interlocutore. Ma abbiamo visto che c’è di più. In una comunità linguistica composta da un esiguo numero di parlanti, la scelta delle forme pronominali avviene sì sulla base del rapporto generazionale, ma gli allocutivi, oltre ad assolvere alla loro funzione di riferimenti deittici, contribuiscono all’elaborazione di uno spazio sociale inteso come una sorta di microsistema di relazioni fortemente accettato e condiviso dai membri di quella comunità. In questo senso la deissi si configura come una categoria grammaticale in grado di marcare un vero e proprio universo di rapporti sociali che, attraverso una specificità di usi linguistici, influenza la struttura della lingua.
Note
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Per una bibliografia essenziale cfr., tra gli altri, Bertuccelli Papi 1993; Bazzanella 1994; Bianchi 2003; Caffi 2009. Classici sul tema sono naturalmente Morris 1938; Austin 1962; Searle 1969; Grice 1975; Levinson 1983; Sperber-Wilson 1986.
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Per i lavori più recenti sull’argomento cfr. Trudgill 2011; Nettle 2012.
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Qui si fa riferimento agli ambiti di ricerca relativi alla cosiddetta tipologia sociolinguistica di Trudgill (2011). Ma cfr. anche Nettle 2012; De Mulder-Lamiroy 2012; Miola 2018; Gnerre 2011, Cerruti 2021; Grandi 2020, 2021.
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Cfr. Simons-Fennig 2017 (versione online: http://www.ethnologue.com).
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Cfr. UNESCO 2010, Atlas of the world’s languages in danger (versione online https://unesdoc.unesco.org).
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La bibliografia in merito è molto vasta. Cfr., tra gli altri, Telmon 1992; Marcato 2000; Savoia 2001; Orioles 2003; Consani-Desideri 2007; Toso 2008a, Berruto 2009.
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Si pensi, ad esempio, alla Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, trattato aperto alla firma degli Stati membri e all’adesione degli Stati non membri il 5 novembre 1992 nell’ambito del Consiglio d’Europa.
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Il contatto con le valli del Piemonte continuò ad essere mantenuto attraverso i barba, predicatori itineranti che ad anni alterni si recavano in coppia a visitare le comunità, presentandosi, per maggiore prudenza, travestiti da artigiani e mercanti (Vegezzi Ruscalla 1990 [1862]).
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Ai superstiti che avevano abiurato furono imposte rigide prescrizioni: l’obbligo di apprendere la dottrina cattolica, il divieto di recarsi in Piemonte e in Svizzera, di scrivere a eretici o sospettati di eresia. Furono vietati i matrimoni tra famiglie «ultramontane», le riunioni con più di sei valdesi e venne proibito l’utilizzo del «dialetto ultramontano». (Stancati 1986, pp. 94, 95). La testimonianza di una situazione di bilinguismo è confermata da Barrio «[…] hi bilingues sunt; nam suam et latina lingua utuntur» (Barrio 1979 [1571], p.80).
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Nei grafici riportati di seguito sono stati inseriti anche i dati risalenti al 2021 dal momento che dal 2018 l’Istat ha attivato il censimento permanente della popolazione, una nuova rilevazione censuaria che ha cadenza annuale e non più decennale ma che si basa sulla combinazione di rilevazioni campionarie e dati provenienti da fonte amministrativa trattati statisticamente. Tutti i dati cui si fa riferimento all’interno di questo paragrafo sono ripresi da I.Stat (www.dati.istat.it).
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Gli stranieri residenti a Guardia Piemontese al 1° gennaio 2022 sono 74 e rappresentano il 4,3% della popolazione residente. La comunità straniera più numerosa è quella proveniente dalla Romania con il 35,1% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita dal Marocco (21,6%).
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I soggetti intervistati sono stati suddivisi in quattro fasce generazionali (6-25 anni, 26-35 anni, 36-45, 46-70 anni) per ottenere un campione congruo e rappresentativo.
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Tra i mezzi tipici della deissi sociale si ricordano anche i termini di parentela, le formule di saluto, gli eufemismi e i disfemismi, i comportamenti non verbali. (Siewierska 2004, p. 215; Scaglia 2003, pp. 117-130).
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Seguendo Molinelli (2010) «dall’Ottocento ai giorni nostri lo schema tripartito tende a evolvere. Nel Novecento la situazione varia, secondo che si abbia a che fare con l’italiano standard (totale abbandono del voi), con varietà regionali (specie centromeridionali, dove sopravvive) o con i dialetti dove il voi rimane forma di rispetto, (Lei segnale di formalità e distacco)».
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In questi estratti dialogici è stata utilizzata la grafia classica (Genre 1992). I parlanti e il collaboratore sono indicati rispettivamente con [P] e [C].
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Goffman (1971) definisce behavioral brackets la cornice che disciplina l’apertura e la chiusura delle conversazioni.
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La giovane parlante ha 27 anni mentre la parlante ha 75 anni. Entrambi hanno sempre vissuto a Guardia Piemontese e dalla conversazione è chiara una conoscenza reciproca.
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Sul concetto di “cortesia linguistica” anche Scaglia (2003, pp. 111-112) ne evidenzia l’ambiguità e la complessità in quanto «la cortesia è difficile da definire proprio perché rappresenta la norma».
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In linea di massima possiamo dire che in una vasta area dell’Italia centrale e meridionale l’italiano popolare o medio prevede l’alternanza tu/voi, mentre nell’Italia settentrionale la scomparsa della forma di 2a persona plurale è generalizzata. Non mancano poi parti della Penisola dove sono in uso sia voi che lei e «quest’ultimo assume una connotazione di superiorità rispetto al voi». (Renzi 1995, p. 370).
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Prima dell’intervista i parlanti sono stati messi al corrente della mia competenza passiva della varietà occitana.
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Il parlante ha 66 anni. Si noti che il collaboratore usa anche in questo caso la forma Voi, nonostante la conoscenza reciproca.
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Qui il parlante ha 48 anni.
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Si tratta della Porta del Sangue, simbolo della strage valdese che si trova all’ingresso di Guardia Piemontese.
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Cfr. Rohlfs 1968, Vol. II, pp. 181-182; Dal Negro 2018.
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Il parlante in (10) ha 38 anni. I parlanti della conversazione in (12) e (13) hanno 10 e 12 anni.
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Può essere interessante osservare in (2) e (10) la persistenza dei clitici soggetto obbligatori anche alla terza persona singolare e plurale (si usano anche dopo un soggetto nominale e dopo un pronome tonico).
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Informazioni
Cita come: Irene Micali, L’uso dei pronomi allocutivi tra pragmatica e sociolinguistica. Tu e Voi nella varietà occitana di Guardia Piemontese. in DILEF. Rivista digitale del Dipartimento di Lettere e Filosofia - 2 (2023), pp. 258-276. 10.35948/DILEF/2023.4305
- Data ricezione: 21/11/2022
- Data accettazione: 16/12/2022
- Data pubblicazione: 19/01/2023
- DOI: 10.35948/DILEF/2023.4305
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