| Articolo sottoposto a Peer Review

La tradizione haiku nella poesia contemporanea di lingua portoghese

 ARTICOLO SCIENTIFICO

  • Data ricezione: 14/04/2023
  • Data accettazione: 12/09/2023
  • Data pubblicazione: 07/11/2023

Abstract

Il fascino e l’attenzione dei portoghesi verso le culture estremo-orientali (cinese e giapponese) risale al periodo dei viaggi marittimi (XV-XVI secolo). Da lì in avanti, fino all’epoca a noi contemporanea, vari poeti portoghesi si sono ispirati a elementi estetici o filosofico-religiosi della cultura cinese o giapponese, oppure hanno tradotto in lingua portoghese poesie cinesi o giapponesi. Nel presente lavoro intendiamo illustrare le fasi più salienti della ricezione del genere poetico giapponese haiku in Portogallo e Brasile, cercando di capirne i motivi e di mettere in risalto alcuni poeti portoghesi e brasiliani che hanno rivisitato, più o meno fedelmente, lo haiku giapponese.

 

The attraction and attention of the Portuguese to the eastern cultures (Chinese and Japanese) dates back to the maritime travels period (15th-16th centuries). From then on our contemporary age, many Portuguese poets were inspired by Chinese or Japanese aesthetic or philosophical-religious elements, or else they translated Chinese or Japanese poems into Portuguese language. The following work aims to present the most important moments regarding the reception of Japanese haiku genre in Portugal and Brazil, trying to understand the reasons and highlighting some Portuguese and Brazilian poets who more or less accurately revisited Japanese haikus.


Parole chiave
Keywords

Premessa

I primi contatti commerciali e culturali tra Portogallo e Giappone1 risalgono al 1543, anno in cui «três comerciantes portugueses desembarcaram na Ilha de Tanegashima, no extremo sul do arquipélago japonês, depois do barco onde navegavam ser desviado do seu rumo»2. Dal 1543 al 1639, anno della politica di espulsione intrapresa dalla dinastia Tokugawa, e della fine del Padroado3 portoghese in Giappone, i portoghesi riuscirono a tessere dei veri e propri scambi interculturali, facendo conoscere in Portogallo parte della cultura giapponese, e parallelamente, lasciando nella cultura nipponica numerose tracce di quella lusitana. Gli esempi più significativi ci vengono forniti in ambito artistico con i bellissimi paraventi in arte Namban4 visibili al Museo Nazionale d’Arte Antica di Lisbona5 e al Museo della città di Kobe6; in ambito letterario con le prime traduzioni, da parte dei padri gesuiti7, di testi sacri latini in lingua giapponese, di testi giapponesi in lingua portoghese e la creazione di grammatiche e dizionari bilingui8. Tra i missionari è doveroso menzionare João Rodrigues (1558-1633) poiché, d’accordo con Franchetti9, sembra essere stato il primo gesuita portoghese ad avere riportato una delle prime definizioni di haiku nel XVII secolo, nel suo trattato Arte da lingoa de Japam (1604):

Ha huma sorte de versos a modo de Renga que se chama: Faicai, de estillo mais baixo & o verso he de palavras ordinarias, & facetas a modo de verso macarronico, & este modo de Renga, posto que nam tantos preceitos como a verdadeira, o numero de versos pode ser o mesmo. E pode começar pello segundo verso de sete sete, que se chama Tçuquecu, & continuar com cinco sete cinco10.

Inoltre, alla fine del XVI secolo, il Portogallo era il primo paese europeo a ricevere periodicamente emissari ufficiali giapponesi. Ad eccezione di un breve arco di tempo risalente al periodo post-bellico, i due paesi mantennero sempre buoni rapporti, tanto che nel 2013, in occasione dei 470 anni dai primi contatti commerciali tra Portogallo e Giappone, entrambi i paesi realizzarono eventi commemorativi per rafforzare il loro legame11.

In ambito più propriamente letterario, nel corso del Novecento, autori portoghesi o di lingua portoghese, tra cui Albano Martins, Haroldo de Campos, che analizzeremo più avanti, ebbero modo di avvicinarsi alla cultura giapponese, arrivando a rivisitare nella propria produzione poetica un genere particolarmente caro alla tradizione letteraria nipponica, l’haiku. Ma a partire da quando e per quali motivi è penetrato sia in Portogallo che in Brasile? In questo lavoro cercheremo di illustrare le fasi più salienti della ricezione del genere poetico giapponese nella cultura lusofona.

 

La prima ricezione portoghese

«No século XIX, o Japão reabriu as suas portas ao mundo e Portugal foi o sexto país com quem o Japão estabeleceu relação diplomática oficial (depois dos Estados Unidos da América, Holanda, Rússia, Inglaterra e França»12. Questa affermazione, che fa parte del discorso proferito dall’ambasciatore del Giappone in Portogallo nel 2020 ‒ anno in cui sono stati celebrati i 160 anni delle relazioni diplomatiche tra Giappone e Portogallo, dal Trattato di Pace, Amicizia e Commercio firmato il 3 agosto 1860 ‒ si rivela particolarmente utile per comprendere, da un punto di vista storico, il motivo per cui il genere poetico haiku è penetrato in Portogallo nel XX secolo. Grazie alla graduale riapertura del Giappone verso il mondo occidentale, avvenuta nel periodo Meiji (1868-1912), dopo la chiusura del periodo Edo (dal 1603 al 1868), ha avuto inizio la divulgazione dei testi letterari giapponesi in Europa, tra cui in Italia, come illustrato da Marcello Muccioli:

La letteratura giapponese nel mondo della cultura italiana (prima del 1957) era stata abbastanza modesta al di fuori degli ambienti specialistici. Se si escludono le opere tradotte a fine Ottocento da autentici pionieri come Antelmo Severini e Lodovico Nocentini, pubblicate dalla casa editrice Le Monnier, e il contributo di Shimoi Harukichi che insegnava all’università di Napoli, il merito di aver iniziato la pubblicazione di testi della letteratura giapponese tradotti dall’originale da specialisti spetta alle case editrici Laterza e Carabba negli anni che precedettero la Seconda guerra mondiale. Tuttavia è solo nel secondo dopoguerra che la letteratura giapponese inizia a segnalare in modo evidente la sua presenza in Italia (tra gli anni ’50-70, per poi accentuarsi ulteriormente negli anni ’90)13.

Per l’ambito portoghese, il merito della ricezione della cultura giapponese si deve sia a Wenceslau de Moraes14 (Lisbona 1854 – Tokushima 1929), primo portoghese ad essersi posto come intermediario culturale per la diffusione della poesia giapponese in Portogallo15, nonché primo portoghese ad aver tradotto e commentato haiku giapponesi, sia al suo biografo Armando Martins Janeira (1914-1988), diplomatico e ambasciatore portoghese in Europa e Asia (1952-1979), nello specifico, in Giappone dal 1952-1955 e dal 1964-1971. All’epoca di Moraes, come evidenziato da Janeira, la letteratura giapponese era ermetica, non esistevano le traduzioni in lingua portoghese che sono subentrate successivamente, per questo la conoscenza portoghese della letteratura giapponese si basava essenzialmente su traduzioni inglesi, francesi e tedesche16. Nel 1955, nel volume Caminhos da terra florida, Janeira spiega come, nella seconda metà del Novecento, gli studi occidentali sul Giappone fossero diventati più seri e “scientifici”, a differenza di quelli sviluppatisi tra il XIX e l’inizio del XX secolo che risentivano maggiormente della visione occidentale di stampo romantico ed esotico verso le culture orientali.

Depois da última guerra os estudos sobre o Japão tomaram uma orientação mais séria e científica. Os estudiosos ocidentais não só cooperaram com os investigadores japoneses na interpretação e reconstituição de textos clássicos, mas devassaram e analizaram os seus problemas políticos e sociais, a sua economia, finanças, arte, religião, etc. […] A literatura romântica e folclorista que tanta glória e sedução deu aos escritos dos autores chamados japonizantes, e que mais próprio seria chamar japonizados, está hoje [1956] ultrapassada. É curioso notar que hoje são sobretudo os escritores japoneses que compõem explicativamente, em inglês, as suas tradições e lendas. A maioria dos escritores ocidentais prefere lançar-se, com propósitos sérios e investigação e estudo, sobre a substância da cultura nipónica17.

Ma nel medesimo volume, Janeira illustra i motivi estetico-culturali che hanno portato al fascino occidentale verso la Terra del Sol Levante, tra cui ad esempio, la dolcezza e serenità del modo di vivere giapponese che “calma lo spirito”:

Se fizermos um inquérito mental ao que atrai o estrangeiro ao Japão, creio que encontraremos, desde logo, esta doçura de viver, delicada e frágil, que seduz sem enlear, duma alegria serena, mas colorida e excitante, este encanto dum gozo simples e puro, que o japonês pôs na construção e arranjo da sua casa, nos seus prazeres, no gosto de embelezar os objectos do seu viver habitual. […] O ambiente japonês acalma o espírito. Não se encontra na literatura nem na arte japonesa aquela ansiedade que no dizer dum poeta ocidental é o demónio interior que habita cada artista e que é a força propulsora da cultura e da ciência do Ocidente18.

E tale armonia tra l’uomo e l’ambiente interiore (intimo) e quello esteriore (la natura) è l’aspetto estetico che sintetizza, insieme a quello tecnico della concisione, l’essenza dello haiku, genere per eccellenza della poesia moderna giapponese con Matsuo Bashō (1648-1694), il cui merito è stato quello di aver elevato «lo hokku – oggi definito haiku – a elemento poetico autonomo, trasfondendo in esso la propria sensibilità letteraria nutrita di cultura cinese classica e filosofia zen»19.

Se al 1895 risale il primo libro di Wenceslau de Moraes sul Giappone, dal titolo Traços do Extremo Oriente, è nel penultimo libro, Relance da alma japonesa20 (uscito in prima edizione a Lisbona nel 1926 con la società editrice Portugal-Brasil), in cui l’autore, superando quelle note esotiche presenti nei primi scritti di fine secolo21, penetra l’anima giapponese ed esterna la sua predilezione per lo haiku. Se nel suo discorso introduttivo Moraes considera tutta la letteratura giapponese come “un’arte” misteriosa, impenetrabile ai non giapponesi, tanto che gli occidentali si devono accontentare delle traduzioni nelle varie lingue occidentali22, soffermandosi sulla poesia giapponese, nello specifico sullo haiku ‒ per il quale Moraes utilizza sempre il termine hokku23, ossia la strofa d’esordio della poesia a catena (renga) in auge nell’epoca Muromachi (1392-1573) da cui proviene lo haiku ‒ elogia sia la concisione di questo genere poetico di 17 sillabe (strutturate rigorosamente in tre versi di 5-7-5 sillabe), quanto la figura di Bashō e la predisposizione generale dei poeti giapponesi verso la sintesi.

A poesia nipónica apresenta uma só forma métrica, consistindo em versos alternadamente de cinco e sete sílabas. A rima é desconhecida. Nunca os japoneses se deram a longas composições poéticas. O poema é, para eles, como que um gorjeio de pássaro, harmonioso e rápido. […] Mas eis que surge um génio em poesia, na pessoa do bonzo Bashō, que havia de elevar o hokku à altura do tipo por excelência da poesia nacional, popularizando-o pelo Japão inteiro. […] Que poetas são pois estes, os nipónicos? Como pretendem eles condensar, em dezassete sílabas apenas, os múltiplos sentimentos que a poesia nos sugere, a nós, brancos, que de tão longas páginas de versos, não raras vezes, dedicamos a um assunto apenas?24

E attraverso la domanda conclusiva riportata nella citazione: “come riescono i giapponesi a condensare in sole 17 sillabe la molteplicità di sentimenti che la poesia suscita in noi?”, Moraes mette in risalto la distinzione estetica tra Oriente e Occidente, tra poesia giapponese e poesia occidentale, evidenziata anche dal fisico giapponese, nonché poeta, Torahiko Terada (1878-1935) contemporaneo di Moraes, secondo il quale, in un discorso che mette a confronto Oriente e Occidente riunito nel volume del 1935, Lo spirito dello haiku, sono gli elementi costitutivi dello haiku a rappresentare il modo peculiare con cui i giapponesi si approcciano alla natura, fin dall’epoca antica.

Contrariamente agli occidentali, che adottano un approccio per così dire scientifico e materialista che separa radicalmente l’uomo e la natura e li contrappone, i giapponesi sembrano avere una forte tendenza a considerare l’uomo e la natura come una cosa sola, come un organismo nel quale ogni parte lavora con e per le altre. […] Questa differenza nella concezione della natura ha comportato lo sviluppo di una forma poetica davvero unica qual è lo haiku [in cui] si manifesta l’unicità della concezione della natura propria del popolo giapponese. […] La poesia breve e il numero ridotto di parole hanno l’effetto di accentuare l’intensità delle sensazioni suscitate dalle parole in essa contenute. […] Quel lessico ha dunque il potere di stimolare associazioni di immagini che fanno parte dell’eredità del nostro popolo25.

Anche Moraes sottolinea la diversa mentalità tra giapponesi e occidentali che spesso impedisce una corretta comprensione dello haiku quale esempio poetico, come ricorda Terada, che non raffigura immagini ma riassume e condensa fenomeni infiniti attraverso precise parole26. Il poeta portoghese, al riguardo, aveva intuito la suggestione, e non la descrizione, prodotta dallo haiku, che esprime con le seguenti parole:

O leitor fazendo a si próprio estas perguntas, esquece uma consideração primordial, isto é, que diferenças enormes de mentalidade nos separam. […] A alma japonesa sentiu, criou uma poesia sua, em perfeita concordância com as suas preferências afectivas. Em todo o caso, [o haiku] não é nem pode ser uma descrição, é uma sugestão; não aspira ao completo acabamento de uma ideia, antes prefere limitar-se a enunciar-lhe o início, deixando o resto para ser adivinhado27.

Dopo di che, Moraes si cimenta nella traduzione portoghese di alcuni haiku di Bashō e di altri autori giapponesi, che vengono però criticati dal suo biografo.

Poeti giapponesiWenceslau de Moraes28
Furu-iké ya
Kawazu tobi-komu
Mizu no oto.
(Bashō)


Moshi nakabá
Chôchô kago no
Ku wo uken.
 
Aka tombó
Hane wo tottara
tô-garashi.
(Kikaku, discepolo di Bashō)
 
Asagao ni
Tsurubé torarete
Morai mizu.
(Chiyo, poetessa)
 
Furu tera ya
Kané mono iwasu.
Sakura chiru.
 
Chôchô ni
Kyonen shishitaru
Tsuma koishi.

Ah, o velho tanque!
E o rumo das rãs,
atirando-se para a água!
 
 
Se a borboleta cantasse.
Teria de sofrer
o martírio de uma gaiola.
 
Arranquem as asas
a um tira-olhos escarlate;
ficará um pimento.
 
 
A trepadeira
enrolou-se à corda do poço;
vai-se pedir água ao vizinho.
 
 
Oh, o velho templo!
O sino não toca;
flores de cerejeira caem sobre o solo.
 
Aldeia coberta de neve;
galos cantando;
rompe a madrugada.


Janeira infatti ricorda alcuni dettagli: Moraes non leggeva la lingua giapponese, ma questo non gli ha impedito di essere uno dei conoscitori più profondi dell’anima nipponica, e per il lavoro di traduzione degli haiku si basava sulla quartina popolare portoghese, tradendo così lo spirito del testo originale giapponese, visto che Moraes ricorreva anche alla traduzione in prosa per sopperire alla debolezza della sua interpretazione in versi (secondo Janeira), mentre le sue migliori e fedeli traduzioni di haiku (secondo il parere del biografo) sono riunite nelle Cartas do Japão, come nella lettera del 4 febbraio 1911, anche se la traduzione non rispetta più la rigida struttura dell’originale e lo stesso Moraes vede nello haiku il ricordo di un “bel disegno giapponese”29 (adoperando quindi uno sguardo occidentale e non orientale):


Bashō
Moraes30
Aka-tombo
Hane wo tottara
tô-garashi.
Tira-olhos encarnado,
se te arranco as quatro azas,
ficas assim transformado:‒ um pimentinho.


Il parere di Janeira31 sulla traduzione “non corretta” degli haiku che abbiamo riportato poc’anzi, è condensato nelle seguenti parole:

não compreendo a sua teima em traduzi-lo pela quadra popular. Será por não ter penetrado o espírito hermético do haikai, ou por mero patriotismo? As traduções que nos dá, em rima, embora modestamente previna que são de «pé quebrado», são bem menos compreensivas desta sofisticadíssima forma poética do que aquelas que nos faz em prosa – breves e mais conformes à síntese lírica própria do haikai32.

Si tratta di un parere negativo che viene ulteriormente accentuato da Casimiro de Brito: «Wenceslau de Moraes viveu no Japão grande parte da sua vida mas, quando se lembrou de traduzir alguns haiku, fê-lo terrivelmente numa das mais usuais formas poéticas portuguesas: a quadra popular!»33.

Barreiros, invece, ci fornisce una spiegazione meno severa di quella del biografo e di Brito:

Para traduzir os poemas japoneses de 17 sílabas, Wenceslau de Moraes pensa na quadra a mais pequena forma de poema utilizada pelos nossos poetas [portugueses] e que ele acha deliciosa, cheia de seduções e podendo uma só constituir um poema emocionante. Na sua comparação dos haikai com as quadras, encontra ainda circunstâncias comuns às duas formas de poema como o jogo de palavras, o calembur, ou a reunião de dois períodos, independentes um do outro no sentido. Forma assim a opinião de que a quadra popular portuguesa, uma vez habilmente manejada, pode dar excelentes traduções dos poemas japoneses34.

Di sicuro, l’abilità di confrontare due generi culturali diversi (quartina popolare portoghese e haiku giapponese), e di giocare con le parole, sono alcuni dei metodi adoperati da Moraes per le sue traduzioni di haiku35, che verranno recuperati nella seconda metà del Novecento da altri autori lusofoni di cui ci occuperemo più avanti.

 

Rivisitazioni haiku nella poesia portoghese del secondo Novecento

Se negli anni ’20 del Novecento, la ricezione portoghese del genere haiku si deve a Wenceslau de Moraes, a partire dagli anni ’50, il merito spetta a Casimiro de Brito (1938), ritenuto il principale divulgatore della poesia giapponese in Portogallo nella seconda metà del Novecento. La “scoperta” dello haiku da parte di Brito risale al 1958, quando si trovava in Inghilterra in una sorta di “esilio politico”, come da lui definito in un’intervista del 2013, per liberarsi dall’imminente reclutamento per la guerra coloniale. Presso il Westfield College di Londra frequentò un corso estivo organizzato dalla BBC e “per caso” conobbe un professore di poesia orientale. Da quell’incontro gli si aprì un mondo nuovo anche sul genere poetico haiku che lo affascinò subito, grazie altresì all’amicizia con una studentessa giapponese che lo aiutò a tradurre correttamente alcuni poeti giapponesi in lingua inglese. Una volta rientrato in Portogallo, la poesia e la scrittura di Brito risentirono delle novità orientali apprese a Londra, tanto che nel 1959 uscì Telegramas, una raccolta poetica “ispirata” all’apparente semplicità della poesia giapponese, a cui seguirono: Poemas orientais (1962), un omaggio a Bashō dal titolo Uma rã que salta (1995) e Haiku para Kisako (2005).

Foi um deslumbramento – estar dentro de uma pequena biblioteca de poesia que eu desconhecia. E os livros de haiku deslumbraram-me. Na universidade havia alunos de mais de 50 países e, entre eles, uma japonesa. Aproximei-me dela, contei-lhe quem era e ao que vinha; que ela me ajudasse a traduzir alguns daqueles poetas que já algumas das traduções inglesas não me agradavam. Disse-me que sim, e foram semanas, meses de trabalho delicado e quase abençoado; foi uma relação amorosa iluminada pela poesia. Quando regressei a Portugal a minha poesia transformou-se noutro mundo porque não só se desenvolvia na tradução dos famosos mestres japoneses como eu próprio comecei a escrever de outra maneira36.

Nel 2003, il rapporto di Brito con il Giappone si consolida maggiormente con un viaggio a Tenri in occasione di un convegno sull’haiku, dove conobbe David Lanoue (professore di inglese presso l’Università della Louisiana negli Stati Uniti, nonché traduttore e poeta di haiku) con il quale nacque una stima e amicizia profonda e duratura37. Il secondo viaggio di Brito in Giappone risale al 2008 per la pubblicazione, a Tokyo, della raccolta poetica Através do ar, dove venne ricevuto dall’imperatrice Michiko a una cena a cui parteciparono due poeti stranieri (tra cui Brito) e una cinquantina di poeti giapponesi per l’attribuzione di un premio rilasciato dall’ambasciata svedese a uno dei poeti nipponici presenti. In quell’occasione Brito venne a sapere che anche l’imperatrice era poetessa e che da lì a poco sarebbe uscito un suo volume di tanka (poesia breve risalente al secolo VIII e precorritrice dello haiku)38. Complessivamente la “poesia giapponese” di Brito è distribuita in una decina di libri dove ognuno di essi racchiude un centinaio di poesie di gusto giapponese39. Riportiamo di seguito due haiku di Brito estratti dall’antologia Uma rã que salta:

Respiro sem ruído
para ouvir o diálogo das
águas e do vento.

Perdi o caminho. Ouço apenas
a névoa do vale a doce cal
da minha morada40.

Tornando agli anni ’50, oltre al viaggio londinese di Brito, la partecipazione del poeta, traduttore e saggista Albano Martins (1930-2018) nella rivista lisboeta Árvore41, avvenuta nel 1951 e 1952, costituisce un ulteriore tassello per la divulgazione del genere haiku in Portogallo. In realtà la rivista in questione non era specializzata sulla poesia giapponese; era una rivista indipendente rivolta alla poesia in generale, alla discussione e critica poetica, che recuperava la tradizione neorealista, superandola però con elementi estetizzanti: «muito bem estruturada [a revista], estas ‘folhas’ incluem não só a divulgação da poesia de jovens poetas e recensões críticas de obras poéticas, mas também ensaios42 em defesa da poesia que refletem múltiplas influências»43. Lo stesso Martins, all’epoca, e in seguito, non ha mai avuto conoscenze dirette, in loco, sul Giappone o sulla lingua giapponese, ma nella rivista in questione riuscì ad apportare un nuovo gusto estetico attraverso la poesia breve e l’utilizzo di un linguaggio ora metaforico, ora intimista o pittorico che aveva già iniziato a usare prima del 1951. Dunque, è l’elemento estetico, appreso grazie alla sua formazione classica, ad aver permesso ad Albano Martins di lasciare il proprio contributo estetizzante nella rivista Árvore e di avvicinarsi alla poesia giapponese, tanto da pubblicare a Lisbona, nel 1995, una prima raccolta di 48 haiku in omaggio al Maestro giapponese Matsuo Bashō, dal titolo Com as flores do salgueiro, e nel 2012, a Porto, una seconda raccolta intitolata Estão agora floridas as magnólias. Come afferma giustamente Matteo Rei, «era previsível, talvez inevitável, que, ao longo dum percurso intimamente marcado por uma imperiosa exigência de concisão e essencialidade, Albano Martins cruzasse, a certa altura, a tradição nipónica do haiku»44. Gusto estetico e concisione sono, dunque, i due aspetti centrali che fanno da leitmotiv alle due raccolte haiku di Martins, poc’anzi citate. Se mettiamo a confronto alcuni haiku di Martins e Bashō, notiamo come la somiglianza nello stile e nei contenuti sia davvero sorprendente. Si tratta di sensazioni fisiche, proiezioni della natura nell’io, di un’unità organica tra uomo e natura ‒ per usare delle spiegazioni sullo haiku rilasciate da Terada, ossia da uno sguardo giapponese45 ‒ assimilati da Bashō nel corso di tutta la sua vita; da Martins in un arco di tempo sicuramente più breve e per di più da un occidentale che non si è mai recato in Giappone.


Albano MartinsMatsuo Bashō
p. 15
No inverno, a árvore
pede à neve:
- Agasalha-me!

p. 23
Castanha é a cor
do sorriso
do ouriço.

p. 33
No voo raso
da calhandra mede
a sua altura o sol.

p. 43
Despida, à tona
da água, a rã
vê-se ao espelho.

p. 49
Efémero
é o relâmpago, mas faz
da noite uma aurora.

p. 57
Com as flores
do salgueiro
fez a água uma grinalda.
(Martins 1995)
n. 93
Il vento freddo dell’inverno!
Penetrato tra i bambù
si è calmato.

n. 79
Il vento dell’autunno
soffia ma restano
ancora verdi i ricci!

n. 4
In mezzo al campo
e pienamente libera
canta l’allodola.

n. 6
Ah! l’antico stagno
si tuffa una rana -
rumore d’acqua.

n. 23
Davanti a un lampo
l’uomo non comprende
quanto sia sbalorditivo!

n. 10
Il salice si spoglia
il maestro ed io
sentiamo la campana.
(Bashō 2011)


A partire dal 1962, un contemporaneo di Martins che si è rivolto alla poesia giapponese pubblicando vari articoli sparsi su questo argomento, è stato Herberto Helder (1930-2015), poeta e traduttore portoghese del Maestro giapponese, e di altri poeti nipponici di haiku (Kikaku, Kyorai, Shikô, Issa, Ransetsu, Buson), editi prima in Jornal de Letras46, poi nella raccolta poetica O bebedor nocturno (2015), insieme alla traduzione portoghese di poesie di altre culture orientali e non solo (indocinese, indonesiana, tartara, araba, ispano-araba, dell’antico Egitto, messicana, etc.), di cui riportiamo gli haiku di Bashō tradotti:

Ervas do estio:
lugar onde os gerreiros
sonham.

Um cuco
foge ao longe ‒ e ao longe,
uma ilha.

Primeira neve:
bastante para vergar as folhas
dos junquilhos47.

Il fascino di Helder verso culture e lingue diverse da quelle occidentali48 viene esplicitato da Maria Estela Guedes nel seguente modo: «ao verter para português textos próprios das culturas de outros povos Helder busca uma ancestralidade literária que pertence ao foro da imaginação criadora. [...] As sonoridades das línguas “estranhas”, por vezes apreendidas indipendentemente do significado, contando mais com o ritmo e a surpresa provocados pelos sons, aproximam-se da música»49. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un esempio di poeta portoghese che è riuscito a penetrare il genere haiku senza un vero e proprio studio linguistico, ma ricorrendo alle sonorità, al ritmo, alla musicalità della lingua giapponese, visto che in qualità di poeta e non di iamatologo, come ricorda Guedes, «os poetas ficam mais atentos ao ritmo e à musicalidade, à poética das relações, do que à fidelidade no transporte de um estrato cultural de uma etnia para outra etnia»50.

Solo che nel caso di Helder e di altri autori portoghesi suoi contemporanei che nel Portogallo degli anni '60 hanno vissuto gli sperimentalismi poetici allora in voga, grazie soprattutto al gruppo Poesia 6151, l’avvicinamento al genere haiku e in generale alle culture orientali (induista, cinese e giapponese in primis) si spiega in parte con la penetrazione in Portogallo delle novità culturali d’oltreoceano; nello specifico, con le rivisitazioni orientali intraprese dalla Beat Generation statunitense52 e dalla poesia concreta brasiliana, come analizzeremo più avanti, che già negli anni ’50 era in stretto contatto con la cultura giapponese. Un esempio riguardante il ruolo intrapreso dalla Beat Generation per la diffusione del genere haiku in Portogallo ci viene fornito dal poeta, nonché cardinale, José Tolentino de Mendonça53, il quale nella presentazione del suo libro di haiku A papoila e o monge, edito nel 2013 in seguito a un viaggio in Giappone realizzato nel 2010 (tra novembre e dicembre) su invito del Centro Nazionale di Cultura di Lisbona, spiega come la sua curiosità verso il genere haiku, precedente al viaggio, sia dipesa dall’assidua lettura di Book of haikus (2003) di Kerouac, grazie all’incontro con un amico italiano con il quale, in data non precisata, aveva a lungo conversato sullo scrittore americano54.

La consapevolezza, quindi, del genere poetico giapponese si forgia in Mendonça sulla base di queste due conoscenze: il libro degli haiku di Kerouac, il viaggio in Giappone, così come gli haiku facenti parte del suo libro A papoila e o monge risentono della tecnica adoperata da Kerouac (the real thing), ma anche dello stile di Bashō, come affermato dall’autore stesso:

Para dizer a verdade, este livro deve tanto a Kerouac como a Bashō. […] Como se sabe, o haiku japonês é uma composição de três versos, com métrica fixa (5, 7 e 5 sons), muitas vezes sem rima, propondo-se como um instantâneo que dá a ver com o flagrante e o implícito, o assombro e a tensão inerentes à vida. A operação que Kerouac leva a cabo é a de valorizar sobretudo a capacidade do haiku trazer à página the real thing, a coisa verdadeira, libertando-o, porém do esquema métrico55.

Tuttavia in un’intervista rilasciata nel 2013 nel Jornal de Letras, Mendonça ci fornisce ulteriori dettagli sul suo legame verso la poesia giapponese, in generale, e lo haiku, in particolare:

A poesia japonesa sempre foi uma companhia do caminho que faço e entre os poetas que leio estão muitos japoneses. Só que olhava para o haiku como um género que de alguma maneira só naquela língua é possível. [...] Mas apesar de haver sempre uma barreira, é um género que admiro muito. […] Pela sua radical economia de meios, uma pobreza que é ao mesmo tempo uma concisão total. E uma capacidade de tornar o menos mais de uma forma muito fulgurante. Mas sempre pensei que era um género impraticável para um ocidental. […] O próprio japonês não se mede por sílabas, mas por sons. É um jogo sonoro que nos escapa. Mas um pouco por acaso, cheguei ao Livro dos Haikus de Jack Kerouac, que fala do haiku ocidental, no fundo um poema muito breve. […] O haiku propõe uma tenção ao real que constituiu para mim uma maneira de colher o essencial tal como nos é dado, numa evidência que nos apanha desprevenidos56.

Sulla base di quanto illustrato, riportiamo alcuni haiku di Mendonça per assaporarne la bellezza:

A montanha segue em silêncio
os passos
do peregrino.

O monge dúvida
a ponto de alhear-se
das peónias floridas.

Quando se extinguiu
o vermelho da papoila
o jardim ficou vazio57.

Nel 1972, la prima edizione di Poesia de 26 séculos, di Jorge de Sena (1919-1978), si pone quale ulteriore importante esempio della presenza del genere haiku in Portogallo, per la duplice figura assunta da Sena, di traduttore e poeta, “umanistico”, capace di comprendere e dare valore alle più variegate forme poetiche di epoche passate, lasciandosi trasportare dalla curiosità, dalla “voracità poetica” e dal piacere di arricchire la propria visione del mondo poetico e letterario, attraverso un’ampia gamma di valori che spaziano dalla libertà di spirito, alla franchezza delle emozioni, alla concisione verbale (tipica dello haiku). Non a caso, nell’introduzione scritta nel 1971 da Santa Barbara in California, l’autore afferma di avere intrapreso, con il suo lavoro di traduzione che lo aveva impegnato per quasi trent’anni, un “immenso viaggio” nell’arco di ventisei secoli di poesia, «um processo milenário que nunca conheceu fronteiras apesar das diversidades das línguas», che integra il poeta «nessa coisa estranha que é a humanidade»58. Il volume in questione è così «uma pálida ideia da riqueza imensa de que todo o ser humano é na verdade o herdeiro. Nunca a poesia, é certo, transformou o mundo mas o mundo nunca se transformaria sem ela»59.

Per Sena non esiste l’impossibilità della traduzione poetica, perché nella sua concezione universalista e umanistica, «toda a cultura universal sempre dependeu de traduções [e] tudo na vida é tradução. […] A tradução de poesia é, além disso, como toda a tradução que vise a transpor com exactidão e respeito, uma admirável escola de experiência da expressão»60. Con questo approccio, Sena tradaptador (traduttore e adattatore, neologismo coniato da Patrick Le Nestour)61 è arrivato a tradurre venti haiku di Bashō, di cui indichiamo di seguito due tra i più significativi:

Quebrando o silêncio
do charco antigo a rã salta
n’água ‒ ressoar fundo.

Primavera: até
montes sem nome se enfeitam
de véus matinais62.

In riferimento alla poesia di Bashō è lo stesso Sena a elogiarne la concisione stilistica nel paratesto finale della raccolta: «a poesia de Bashō é capaz de uma concentração extraordinária; capaz de, nos estreitos limites do haikai, incluir toda a gama da sensibilidade humana, num estilo que se não abandona nunca à sentimentaliade, e é de uma capacidade descritiva admirável, com por vezes uma aguda e muito realística ironia»63. Continuando, afferma di aver rispettato rigorosamente, nelle proprie traduzioni in lingua portoghese, il numero delle sillabe usate da Bashō. Dunque, non ci è dato sapere da quale fonte64 Sena abbia tradotto gli haiku del Maestro nipponico, visto che non dominava la lingua giapponese, come ricorda Paulo Pereira. Quel che è certo è la casualità del “dialogo” critico e creativo intrapreso da Sena con la poesia giapponese65, insieme alla sua penetrazione ermeneutica:

Mesmo se lacónico, o julgamento de Sena é revelador da sua habitual penetração hermenêutica e certeiro na determinação da atitude poética e do quid tonal que singularizam o haicai: economia expressiva e contenção epigramática, semântica expansiva, antirretoricismo, ocultação do sujeito, preterição do pathos. As restantes anotações, que se encarregam de dilucidar questões de índole métrico-versificatória, não deixam de amplamente confirmar a suposição de se encontrar Sena perfeitamente familiarizado com o repertório temático e a oficina compositiva do haicai japonês. Longe de ser surpreendente, esse conhecimento é mais do que previsível num poeta que, como é o seu caso, foi também um scholar detentor de uma vastíssima cultura literária, alimentada de enciclopédica voracidade66.

Due, pertanto, sarebbero le vie intraprese da Sena per la vicinanza al genere haiku, secondo Pereira: gli studi poundiani sulle lingue e culture estremo-orientali (cinese e giapponese), il legame con i poeti concretisti brasiliani67.

Il ricordo di Wencelsau de Moraes e Bashō, che vuole concludere questa parte rivolta alla ricezione e divulgazione dello haiku in Portogallo, ritorna esemplarmente con António Graça de Abreu, poeta, traduttore e sinologo portoghese che oltre o forse grazie alle sue approfondite conoscenze culturali sulla poesia cinese, si è potuto avvicinare con maggiore “facilità” alla poesia giapponese. In seguito a un viaggio intrapreso nel 2014, nel mese di aprile, in occasione del sakura (la fioritura dei ciliegi), partecipando così allo hanami (al rituale dell’ammirazione dei fiori)68, nel 2016 scaturirono i suoi Haikus do Japão e do mundo; una raccolta di haiku e di poesie in stile giapponese relative non solo al viaggio in Giappone ma ad altri viaggi intrapresi da Abreu in varie parti del mondo.

È nella prima parte della raccolta, intitolata non a caso Haikus do Japão, che il ricordo di Wenceslau de Moraes è celebrato da Abreu in primis nell’epigrafe ripresa dal volume di Moraes Dai Nippon (1897), scritto a Macao prima del trasferimento in Giappone, in cui riporta le sue prime visite nella Terra del Sol Levante, insieme allo stupore ed entusiasmo iniziali. Le parole dell’epigrafe in questione vogliono essere un suggerimento, rivolto al lettore occidentale, su come approcciarsi correttamente alla cultura giapponese:

Assim como os japoneses entram nos templos, largando à porta as sandálias poeirentas, e purificando em santas abluções as mãos e a boca, assim a gente, ao entrar no Japão, deixa à porta a poeira dos amargores passados, e sente em si a alma leve e o espírito impressionável a todas as seduções69.

Successivamente, nella raccolta di Abreu, sono le città di Tokushima, Kobe ed Osaka a celebrarne il ricordo. A Tokushima Wenceslau de Moraes si trasferì nel 1913 in una sorta di esilio eremitico in seguito alla morte della seconda moglie (giapponese), da lui stesso raffigurata come «uma terra de deuses e de budas, onde vim à procura da paz, da tranquilidade. […] Incrível ousadia, para um loiro, para um homem dos países de raça branca e, ainda por cima Português!»70. Abreu si dilunga sul ricordo di Moraes a Tokushima attraverso otto haiku, di cui riportiamo i primi due:

Entender Wenceslau.
Tokushima, um jardim
à beira-mar plantado.

Wenceslau lavava
os olhos e a saudade
no mar azul de Tokushima71.

Kobe ed Osaka sono abbinate all’incarico di Moraes quale console portoghese in Giappone, ma la città di Kobe va collegata anche alla “conoscenza” indiretta di Moritake (1473-1549), poeta giapponese celebre per i suoi haiku studiati da Moraes.

Com Moritake, que estranho,
flores caídas regressam aos ramos
Ah, mariposas…72

La città di Osaka, invece, rinvia ad un altro poeta giapponese, Onitsura (1661-1738), autore di haiku particolarmente apprezzati da Moraes.

Onitsura escrevendo haikus.
Abrem-se mil cores
no cantar do poeta73.

Osaka è altresì la città in cui morì Bashō nel 1694, anche se venne sepolto nel monastero buddista di Gichu-Ji presso il lago Biwa (vicino a Kyoto), luogo a lui molto caro dove soggiornò spesso. Il ricordo affettivo del Maestro giapponese è celebrato da Abreu nei sedici haiku che compongono la sezione iniziale della prima parte della raccolta, nei quali l’autore mette in risalto sia la passione di Bashō verso la poesia classica cinese sia quello che viene ritenuto il suo haiku più famoso: la rana che salta nello stagno, a cui si rifà la prima parte del titolo dell’antologia poetica di Brito precedentemente menzionata (Uma rã que salta).

Sei, caro Bashō,
do teu amor por poemas de Han Shan.
Palavras na montanha fria.

Da poesia chinesa, dizias:
“questionar o borboletear
das borboletas”.

Meditavas
em absoluto silêncio,
as aves ouviam-te.

Com Bashō,
uma rã no charco.
Salta, salta, chap, chap!...74

La ricezione in Brasile 

Nel 1908 la città di São Paulo assiste al primo flusso migratorio di centinaia di giapponesi (le stime parlano di 781 persone) tra ex-samurai, contadini, monaci, poliziotti, professori e tipografi. All’epoca, in Giappone, regnava la dinastia Meiji (1860-1912) che aveva avviato la riapertura verso l’Occidente (come abbiamo indicato precedentemente), ma il paese era stato colpito da una grave crisi finanziaria in seguito al processo di industrializzazione che affliggeva soprattutto gli abitanti delle aree rurali. In Brasile vigeva un governo di stampo repubblicano, seppure dittatoriale, nato nel 1889 con un colpo di stato militare per destituire la monarchia, e durato fino al 1930. Tuttavia in Brasile vi era una grande richiesta di lavoratori a contratto a seguito dell’abolizione della schiavitù nel 1888. Inoltre, il governo in carica favoriva la politica dello “sbiancamento” (instaurata nel 1889 e durata fino al 1914), ovvero l’immigrazione di persone dalla pelle bianca (giapponesi in primis, seguiti da europei e cinesi) per ridurre o contrastare l’eccessivo numero (ritenuto tale dal governo) di abitanti brasiliani di colore. Dei giapponesi arrivati nel 1908, la maggior parte venne indirizzata a lavorare nelle piantagioni di caffè dello stato di São Paulo; alcune famiglie comprarono dei terreni, importando in questo modo culture fino ad allora sconosciute in Brasile, tra cui la coltivazione della seta, del tè e del riso. I professori immigrati crearono le prime scuole giapponesi per mantenere vivo l’insegnamento della propria lingua, della letteratura e degli usi e costumi giapponesi, mentre grazie ai tipografi immigrati, a partire dal 1916 vennero stampati i primi giornali in lingua giapponese, tra cui lo Shukan Nambei, il quale dal 1929 iniziò a pubblicare pagine anche in lingua portoghese per rivolgersi ai sempre più numerosi abitanti nippo-brasiliani (nikkei)75.

 

Rivisitazioni haiku nella poesia brasiliana del secondo Novecento

All’interno del periodo dei primi flussi migratori, poc’anzi ricordati, si inserisce la penetrazione del genere haiku dal Giappone in Brasile, ma il merito della diffusione del genere poetico giapponese in terra brasiliana precede l’arrivo di tali migrazioni e si deve al brasiliano Monteiro Lobato (1882-1948) il quale, a conoscenza della diffusione della letteratura giapponese oltreoceano tra XIX e XX secolo, inizialmente penetrata in Brasile proprio per “via europea”76, soprattutto francese, nel 1906 pubblicò nel giornale O Minarete il saggio A poesia japonesa, accompagnato da alcuni haiku di sua autoria. Al riguardo, il riferimento maggiore di Lobato, come sostenuto dallo stesso autore, è stato il francese Paul-Louis Couchoud77 (1879-1959), autore di Les Haïkaï. Les Épigrammes poétiques du Japon (1906), pubblicato al suo rientro dal viaggio in Giappone durato dal 1903 al 1904, dove entrò in contatto con la cultura giapponese soprattutto attraverso altri europei già radicati nella Terra del Sol Levante, tra cui Chamberlain (1840-1935). Nel saggio di Lobato, l’autore espone alcune caratteristiche dello haiku attraverso il personaggio da lui inventato di Bellet (francese esperto di cultura giapponese), che riportiamo di seguito: «de toda essa natureza imprevista, cheia de imprevistos e fascinações, uma aura da poesia se desprende; infiltra-se na alma do poeta. E a poesia-arte, concretização estética da poesia-emoção, rebenta em floração abundante como um campo de crisântemos ao fluxo da primavera»78,  insieme a un haiku scritto da Lobato:

Ao luar
Como reconhecer a flor da cerejeira?
Deixando-os guiar pelo seu perfume79.

Al 1919 risale il volume di Afrânio Peixoto (1875-1947), Trovas populares brasileiras, in cui l’autore, seppure manifestando un parere affascinante sul genere haiku, lo paragona alla quartina popolare, a un epigramma lirico80:

Os Japoneses possuem uma forma elementar de arte, mais simples ainda que a nossa trova popular: é o haíkaï, palavra que nós ocidentais não sabemos como traduzir senão com ênfase, é o epigrama lírico. São tercetos breves, versos de cinco, sete, cinco pés, ao todo dezassete sílabas. Nesses moldes vasam entretanto emoções, imagens, comparações, sugestões, suspiros, desejos, sonhos... de encanto intraduzível. E não são alguns japões que as fazem, senão todos, com mais ou menos felicidade. O haikai é uma sensação lírica que todos sentem e podem exprimir81.

Tuttavia, il merito di Peixoto per la diffusione del genere haiku in Brasile non deve essere messo in discussione, anzi viene confermato, seppure in modo telegrafico, da Masuda Goga in un’intervista rilasciata nel 1998 nel giornale Nikkey, con la precisazione però che gli haiku di Peixoto non erano autentici haiku giapponesi, ma di provenienza occidentale: «acho que o primeiro que introduziu haicai no Brasil foi Afrânio Peixoto. Importou da França, com denominação haicai»82.

Con il modernismo brasiliano83 del 1922, la nascente poesia modernista accettava di buon grado semplicità, sintesi e immediatezza e questo portò alcuni autori brasiliani a scrivere brevi poesie, piccole annotazioni che, anche in questo caso, non sono veri e propri haiku ma rinviano al genere nipponico per la concisione, come nel caso di Carlos Drummond de Andrade e Guilherme de Almeida, il cui merito, nel caso di Almeida, è stato quello di aver ridefinito la forma brasilianizzata dello haiku. Successivamente, altri autori brasiliani si sono cimentati nel genere haiku, come Manuel Bandeira, Érico Veríssimo, João Guimarães Rosa, Mario Quintana84, ma forse Jorge Fonseca Júnior85 è stato il primo poeta brasiliano ad aver scritto haiku seguendo la tradizione nipponica grazie al poeta giapponese Masuda Goga86 (1911-2008), emigrato in Brasile nel 1929, nonché pioniere della storiografia dello haiku in Brasile, autore del volume O haicai no Brasil (1988). Al 1938, per l’intermediazione di José Yamashiro, risale il primo incontro tra Masuda Goga e Jorge Fonseca Júnior, grazie al quale il poeta giapponese avviò i suoi studi sullo haiku in lingua portoghese, arrivando a pubblicare i propri haiku in portoghese nel 1943 nel giornale Anuário do Oeste Brasileiro, di cui Fonseca Júnior era il redattore capo, mentre nel 1939 Fonseca Júnior pubblicò il proprio libro di haiku, intitolato Roteiro lírico.

Al 1952 si deve sia l’incontro e l’amicizia successiva tra Masuda Goga e Guilherme de Almeida, sia la nascita della poesia concreta con il gruppo Noigandres che segna un ulteriore momento significativo per la ricezione della cultura giapponese, e dello haiku, in Brasile. Centrati su di una concezione “aperta” di fare poesia, ossia rivolta a influssi culturali innovativi e anticonvenzionali europei ed extra-europei, e intesa come un’evoluzione continua di forme87, i membri del gruppo tessono dei primi significativi rapporti con la cultura giapponese a partire dal 1957. Il merito si deve a Haroldo de Campos che nell’anno in questione entrò in contatto con il leader della poesia giapponese d’avanguardia, Kitasono Katsue, all’epoca direttore della rivista VOU di Tokyo. I contatti seguiranno anche negli anni ’60, precisamente dal 1960 al 1965, con esposizioni e pubblicazioni di poesia e arte concreta a Tokyo88, mentre dovremo aspettare il 1991 per il primo viaggio “turistico” in Giappone di Campos intrapreso nel mese di ottobre, da cui scaturì il “quaderno giapponese” yugen – parola chiave dell’estetica giapponese traducibile con “charme sottile” ‒ che racchiude componimenti poetici raffiguranti templi, musei, luoghi realmente osservati da Campos nella Terra del Sol Levante, e pubblicati nella raccolta Crisantempo (2004) in un’apposita sezione.

Il grande merito però della vicinanza di Campos alla poesia giapponese e al genere haiku si devono: agli studi di Fenollosa (1853-1908) sulla scrittura ideogrammatica, a Pound (1885-1972) conosciuto di persona a Rapallo nell’agosto del 1959, la cui corrispondenza però era già stata avviata nel 1953, e al volume di Pedro Xisto, Haikais and concretos, uscito nel 196089. Scritto tra il 1899 e il 1908, il saggio di Fenollosa The Chinese written character è rimasto in copia manoscritta fino alla prima edizione a stampa intrapresa da Pound (suo biografo) nel 191990. Il poeta e orientalista americano, morto a Londra, aveva vissuto molti anni in Giappone (dal 1878 al 1890 e dal 1897 al 1900), diffondendo in America le basi per quell’avvicinamento alle culture orientali intrapreso da Pound, a Londra, che lo portarono a pubblicare: nel 1915 Cathay (poesia cinese) e nel 1916 Certain noble plays of Japan (teatro nô giapponese). Ma già nel 1913 l'eredità dell'archivio di Fenollosa permise a Pound di lavorare al rinnovamento del canone della poesia occidentale, arrivando all’idea che «existiria na poesia chinesa e japonesa um princípio compositivo extremamente eficaz e diferente da ordenação lógica ocidental»91. Si tratta del principio del “montaggio” che «para Fenollosa/Pound, presidiria tanto à criação dos próprios ideogramas, quanto à das obras de arte geradas numa civilização ideogramática». Ed è a partire da questo principio che Pound valorizza nello haiku «a forma de organização do discurso por justaposição, em que a relação entre as partes justapostas é de natureza metafórica»92.

Haroldo de Campos, grazie alla conoscenza diretta con Pound e allo studio intensivo del saggio di Fenollosa, rivisita i loro insegnamenti trasferendoli nella propria concezione di poesia concreta, quale forma d’arte immediata, diretta, ideogrammatica, elogiando dello haiku soprattutto la sintesi e la presentazione: «síntese absoluta e apresentação direta»93, dissociandosi così dalla tradizione occidentale di scrivere haiku che era penetrata in Brasile all’inizio del Novecento: «não me parece justificada a aura de melifluidade e exotismo gratuito que a visão ocidental procura, frequentemente, emprestar o haicai, desavitalizando-o em sua principal riqueza ‒ a linguagem altamente concentrada e vigorosa ‒ para apresentá-lo como um produto arrebicado»94. Campos, da “semplice” amatore dell’idioma giapponese qual era, come da lui stesso affermato, era riuscito ugualmente a comprendere dello haiku la capacità di offrire, nella sua struttura grafico-semantica, «a existência de processos de compor técnicas de expressão»95, che in Pound aveva portato all’imagism, al movimento di rinnovamento della poetica di lingua inglese. Ma a Campos, oltre all’aspetto strutturale dello haiku, interessa anche quello lessicale, poiché la malleabilità dell’idioma agglutinante giapponese, bene si presta alla creazione di vere e proprie parole-montaggio. Dunque è attraverso questi due aspetti centrali dello haiku che il poeta brasiliano ha voluto introdurre, in lingua portoghese, un nuovo tipo di approccio al genere haiku: «onde a preocupação não será com o decorativo e o artificioso, mas com a medula mesma desse artefato linguístico sucinto e altamente tensionado que é a breve forma poemática japonesa»96. Arriva così a proporre due rivisitazioni di haiku: uno di Buson:

canta o rouxinol
garganta miúda
‒ sol lua – raiando97.

L’altro di Bashō:

o velho tanque
rã salta
rumor de água98.

All’interno della raccolta Crisantempo menzionata precedentemente, non troviamo veri e propri haiku, quanto componimenti poetici che lo rievocano per la concisione. Ad esempio il titolo haikai e glosa, di una delle poesie che compongono la sezione zen, è evocativo del genere in questione, perché la prima parte della poesia (definita mote da Campos) rinvia a un haiku di Issa, pseudonimo di Kobayashi Yotaro (1763-1827) quando diventò monaco buddista e considerato, insieme a Bashō, tra i grandi poeti giapponesi di haiku.

Esqueletos
de gala
contemplando flores.

La seconda parte (glosa), invece, è di Haroldo de Campos.

O dia fechado
numa câmara azul-cinza
furtiluz
por lentes de contacto99.

Nella medesima sezione, Campos arriva a rivisitare la stanza 27 del II canto dei Lusiadi (1572) di Camões e il celebre haiku di Bashō relativo alla rana che salta (composto nel 1686), dove l’elemento rana è il denominatore comune a entrambi i poeti. Solo che se in Bashō, «nel codice poetico la rana era considerata un animale primaverile [quindi l’intero] hokku si riferisce alla stagione primaverile»100, come esplicitato da Terada, nel caso di Camões il riferimento va alla metamorfosi di ovidiana memoria, quando alcuni contadini del popolo dei Lici vengono trasformati in rane dalla dea Latona e condannati a restare per sempre in acqua101. Alla fine, la resa haroldiana è la seguente:

as rãs
daqui e dali s l a d
                      a t n o
o charco soa102.

Nella sezione yugen, il ricordo di Fenollosa e Bashō viene celebrato in due poesie, attraverso la raffigurazione dei loro luoghi di sepoltura: il tempio Gichu-Ji103 presso il lago Biwa, già rammentato in riferimento alla tomba di Bashō, e il tempio di Homyo-in104, sempre in prossimità del medesimo lago, dove sono sepolte le ceneri di Fenollosa, che in Giappone adottò il nome nipponico di Teishin e si convertì al buddismo.


Per concludere

Paulo Franchetti ricorda come il periodo d’oro del genere haiku in Brasile vada dalla nascita della poesia concreta (1952) al secondo volume di haiku di Pedro Xisto, Partículas (1984). In questo arco di tempo altri poeti brasiliani si sono cimentati nel genere nipponico, tra cui Paulo Leminski, Millôr Fernandes105.

Nel 1964 debutta, in Brasile, il poeta, pittore e performer Gozo Yoshimasu106 (1939), nato a Tokyo, ma residente tra il Giappone e il Brasile. Nonostante sia considerato uno dei maggiori poeti sperimentali giapponesi soprattutto di poesia visiva, varie sono le sue poesie ispirate al gusto estetico degli haiku del Maestro giapponese, come affermato da Yoshimasu stesso in un’intervista del 2006: «tenho comigo o espírito de Bashō»107.

In un’apposita sezione di Crisantempo, Haroldo de Campos omaggia l’amico Yoshimasu con un “dittico” poetico, dove in una delle due poesie il poeta brasiliano mette in risalto, giocosamente, l’apprendistato linguistico brasiliano di Yoshimasu, attraverso la difficoltà di pronunciare la parola jacarandá di origine indios tupi-guarani, che rinvia a un albero autoctono del Brasile:

Gozo então
experimenta pronunciar
a palavra ja-ca-ran-dá
e começa a descobrir o brasil
por essas vogais em tupi-guarani
que soam em japonês108.

Per controparte, Yoshimasu evidenzia la passione di Campos nei confronti della poesia giapponese e dello haiku in un’intervista del 2006: «o Haroldo sempre me procurava para conversar sobre os poetas haicaístas, como Bashô. Ele tinha uma curiosidade muito grande pelos ideogramas do texto original de "Osíris, o Deus de Pedra" (Estação Liberdade, 1992). Uma curiosidade dedicada, o que o qualificava como grande experto em cultura japonesa»109. Inoltre, afferma di aver scoperto lo “spirito” di Haroldo de Campos e della poesia concreta brasiliana in quella giapponese: «A poesia concreta tinha uma visão fragmentada da realidade. E isso também é muito presente na cultura japonesa. Hoje descubro que a poesia japonesa é também concreta. E esse poema que dedico a ele é uma explosão da poesia de Haroldo»110.

L’albero del jacarandá, poc’anzi menzionato con Haroldo de Camposritorna in un haiku di Masuda Goga che recita così:

Jacarandá em flor
Saudade de minha mãe
que gostava de roxo

per la cui spiegazione l’autore sottolinea l’importanza del kigo111 in ogni haiku che si rispetti, visto che jacarandá in questo caso è l’equivalente di anima, perché quando Masuda Goga osservò l’albero, in Brasile, avvertì il ricordo della madre, in Giappone, alla quale piaceva molto il colore violaceo (colore dei fiori del jacarandá che sbocciano a primavera)112.

Sulla distinzione tra haiku giapponesi e brasiliani Masuda Goga si esprimeva così nell’intervista del 1998, arrivando a mettere in risalto l’universalità dello haiku:

O haicai é genuinamente poesia japonesa. Canta a natureza do Japão. Chama-se haiku. No Brasil, chama-se haicai, que também canta a natureza. [Há] só diferença na língua. Japonês canta na língua japonesa, brasileiro em português. Quero dizer que na própria natureza da poesia não tem diferença. O haicai é uma poesia que canta a natureza. Agora, os imigrantes japoneses vieram aqui no Brasil e cantaram a natureza do Brasil em japonês. O conteúdo não é diferente, porque todos os dois tipos são poesia com dezessete sílabas, distribuídos em 5-7-5 sílabas. Igualmente canta a sensação do autor que observa a natureza. Quero dizer, a natureza é universal, por isso penso que o haicai é universal113.

Proseguendo nell’intervista, l’autore illustra altresì l’esistenza di tre tipologie diverse di haiku, riconosciuti come tali, e il motivo per cui per un poeta giapponese sia difficile fare a meno dello haiku, fornendo però, nuovamente, una spiegazione “universale”, legata all’impossibilità umana di fuggire dalla transitorietà della natura e alla capacità di “sentire”, per questo, adattabile a varie realtà poetiche; nel nostro caso, alla poesia portoghese europea e a quella brasiliana:

Existem mais ou menos três tipos de haicas:

__ o haicai com título, com rima e dezassete sílabas rigorosas.

__ outro tipo, com dezassete sílabas, não obedece rima, sem título, sem kigo, termo utilizado para identificar as estações do ano.

__ de dez anos para cá, membros do Grêmio Haicai Ipê seguiram a minha ideia de necessidade do kigo no verso do haicai. Qualquer haicai precisa ter.

Por quê? Na nossa vida não podemos fugir da transitoriedade da natureza. Quer dizer que, como hoje, desde manhã está chovendo, de tarde, clareia, aí aparecem pássaros, flores, assim, a nossa vida sem a natureza não existe. Por isso, japoneses, Bashô, renovaram a poesia daquele tempo para a altura da literatura. Nós seguimos o ensino do Matsuo Bashô. [Mas] primeiro, é sensibilidade. Se não sente, não faz poesia. Você olha primeiro a lua, acha bonita ou feia, isso depende do poeta. Mas tudo que tem poesia precisa ter uma sensibilidade, um sentimento. Aí que começa114.

Note
  • 1

    La bibliografia al riguardo sarebbe troppo ampia, per questo ci limitiamo a indicare Barreto 2000; Boxer 1969; Janeira 1970.

  • 2

    Cfr. Embaixada do Japão em Portugal site oficial.

  • 3

    Per approfondimenti si vedano almeno Russo 2014; Pelliccia 2021; Rego 1940.

  • 4

    Namban significa “Barbari del sud”, termine giapponese inizialmente usato per gli spagnoli e i portoghesi, poi esteso a tutti gli europei, perché provenienti dai “mari del sud”. Per approfondimenti si rimanda agli studi di Carvalho 2000; Tamburello 1979 e alla tesi dottorale di Campos 2008. Si veda anche il catalogo curato da Maria Helena Mendes Pinto (Pinto 1988).

  • 5

    Cfr. MNAA site oficial.

  • 6

    Il museo in questione, inaugurato nel 1982, conserva una delle collezioni più grandi al mondo di arte namban (cfr. Kobe City Museum 1968).

  • 7

    Si ricorda che il primo missionario europeo in Giappone è stato Francesco Saverio, arrivato in Giappone nel 1549 (cfr. Franco 2006, p. 199), a cui seguirono, sempre nel XVI secolo, Alessandro Valignano e Melchior Nunes Barreto.

  • 8

    Cfr. Tashiro-Perez 2012. Si veda anche Boxer 1929.

  • 9

    Cfr. Franchetti, Doi 1990.

  • 10

    Rodrigues 1604, f. 184v.

  • 11

    Cfr. Embaixada do Japão em Portugal site oficial.

  • 12

    Cfr. Embaixada do Japão em Portugal site oficial.

  • 13

    Muccioli/Orsi 2015, p. VI.

  • 14

    Come ufficiale di Marina, Wenceslau de Moraes intraprese molti viaggi che lo portarono in Africa, America e Asia. Ha vissuto per cinque anni in Cina (a Macao), da cui ha avuto modo di visitare per la prima volta il Giappone, per tornarci dal 1893 al 1896, quando tornò a Macao. Nel 1899, nominato console del Portogallo a Kobe e Osaka, si trasferì nuovamente in Giappone per rimanervi fino alla morte. Per approfondimenti sulla vita si vedano almeno il volume miscellaneo Barreiros 2007; il primo volume biografico Janeira 1954 e Laborinho 2004.

  • 15

    Cfr. Barreiros 2007, p. 192.

  • 16

    Janeira/Moraes 1999, p. 20.

  • 17

    Janeira 1956, p. 80.

  • 18

    Janeira 1956, p. 76.

  • 19

    Terada 2017, p. 15.

  • 20

    Armando Martins Janeira ricorda, nella seconda edizione del volume in questione (1928), che di tutti i libri di Moraes, proprio Relance da alma japonesa è quello ad aver attirato maggiormente l’attenzione dei lettori giapponesi e ad essere stato ristampato in lingua giapponese per ben quattro volte (a differenza delle sole due edizioni portoghesi), e questo probabilmente per la profonda comprensione dell’anima giapponese da parte di Moraes, secondo la spiegazione fornita dal suo biografo (Janeira 1999, p. 17).

  • 21

    Barreiros 2007, p. 191.

  • 22

    Moraes 1999, p. 137.

  • 23

    Cfr. Cenisi/Starace 2018, p. VI.

  • 24

    Moraes 1999, pp. 144, 146.

  • 25

    Terada 2017, pp. 14, 18-19.

  • 26

    Terada 2017, p. 17.

  • 27

    Moraes 1999, p. 146.

  • 28

    La traduzione portoghese e il corrispettivo haiku giapponese in traslitterazione, qui riportati, provengono da Moraes 1999, pp. 147-149.

  • 29

    Moraes 1928 vol. II, p. 10.

  • 30

    Moraes 1928 vol. III, p. 19.

  • 31

    Ricordiamo che anche Janeira ha tradotto haiku consultabili in due volumi: Caminhos da terra florida; Japanese and Western literature.

  • 32

    Janeira/Moraes 1999, p. 21.

  • 33

    Brito/Zunái 2013.

  • 34

    Barreiros 2007, p. 197.

  • 35

    Per ulteriori approfondimenti si veda Franchetti 1989.

  • 36

    Brito/Zunái 2013.

  • 37

    Cfr. Lanoue 2009.

  • 38

    Brito/Zunái 2013.

  • 39

    Brito/Zunái 2013.

  • 40

    Brito 1995, p. 20.

  • 41

    Nella rivista Árvore durata quattro numeri, dal 1951 al 1953, Albano Martins ha pubblicato rispettivamente le poesie: Acontecimento (vol. I, fasc. 2 1951-1952, numero 2 della rivista), p. 98; Poema para habitar (vol. II, fasc. 1 1952-1953, numero 4 della rivista), p. 21. Inoltre, nel 2005 ha curato un volume miscellaneo in occasione dei 50 anni della nascita della rivista (cfr. Martins 2005).

  • 42

    Tra i saggi presenti nella rivista risaltano quello di António Ramos Rosa, nel vol. II (1952-1953), dal titolo per noi fortemente evocativo: A poesia é um diálogo com o universo; il saggio anonimo A necessidade da poesia (vol. II, fasc. 1) e quello di Paul Éluard, A poesia será feita por todos (vol. II, fasc. 3).

  • 43

    Cfr. Hemeroteca digital de Lisboa 2014.

  • 44

    Rei 2014, p. 211.

  • 45

    Terada 2017, p. 29.

  • 46

    Cfr. Guedes 1979.

  • 47

    Helder 2015, p. 135.

  • 48

    Anche per i suoi lavori di traduzione da varie lingue “altre”, Helder non arrivava mai a tradurre direttamente dalla lingua di partenza alla lingua d’arrivo, ma lavorava accompagnato dalle traduzioni in lingue europee (Guedes 2010, p. 54).

  • 49

    Guedes 2010, pp. 58, 48.

  • 50

    Guedes 2010, p. 52.

  • 51

    Mi riferisco ad Ana Hatherly e Casimiro de Brito. Tuttavia, altri poeti portoghesi come Eugénio de Andrade, Pedro Tamen, che non hanno fatto parte del Grupo ’61, si sono ugualmente cimentati nel genere giapponese, pubblicando dei propri haiku nell’antologia poetica Uma rã que salta, insieme ai poeti brasiliani Paulo Franchetti (profondo conoscitore del genere haiku) e  Murilo Mendes.

  • 52

    Si ricorda al riguardo che tra il 1956 e il 1966 Jack Kerouac (1922-1969) ha composto degli haiku che sono stati pubblicati in prima edizione solo nel 2003 (cfr. Kerouac 2003).

  • 53

    Nato nell’isola di Madeira nel 1965, José Tolentino de Mendonça ha studiato Scienze Bibliche a Roma e vive in Vaticano dal 2018. Nel 2019 è stato nominato cardinale dal papa Francesco e nel 2022 è stato scelto come prefetto del nuovo Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede.

  • 54

    Mendonça 2013, pp. 9-10.

  • 55

    Mendonça 2013, pp. 9, 10.

  • 56

    Mendonça apud Nunes 2013, p. 10.

  • 57

    Mendonça 2013, pp. 45, 69, 105.

  • 58

    Sena 1993, p. 9.

  • 59

    Ibidem.

  • 60

    Sena 1993, pp. 21.

  • 61

    Cfr. Pereira 2022, p. 300.

  • 62

    Sena 1993, pp. 178, 179.

  • 63

    Sena 1993, p. 363.

  • 64

    Possiamo ipotizzare, però, dalle traduzioni inglesi, visto che Sena era un anglofilo ed ha vissuto negli Stati Uniti dal 1965 al 1978, anno della morte. Per approfondimenti si veda Semprevivo 2007; RTP Arquivos 1977.

  • 65

    Pereira 2022, p. 297.

  • 66

    Pereira 2022, p. 298.

  • 67

    Cfr. Pereira 2022, pp. 298-300.

  • 68

    L’autore ci mette a conoscenza di questo dettaglio nella poesia Takamatsu (Abreu 2016, pp. 15-16).

  • 69

    Moraes apud Abreu 2016, p. 9.

  • 70

    Moraes apud Abreu 2016, p. 19.

  • 71

    Abreu 2016, p. 19.

  • 72

    Abreu 2016, p. 22.

  • 73

    Abreu 2016, p. 23.

  • 74

    Abreu 2016, pp. 12, 13.

  • 75

    Cfr. Almeida 2014; Lone 2001; Assembleia Legislativa do Estado de São Paulo 2008. Per approfondimenti sui primi giornali nippo-brasiliani si veda Okamoto – Nagamura 2015.

  • 76

    Cfr. Franchetti 2008, p. 260.

  • 77

    Cfr. Peixoto 1919, p. 20.

  • 78

    Cfr. Pinheiro - Testa 2017, p. 71.

  • 79

    Cfr. Pinheiro - Testa 2017, p. 71.

  • 80

    Cfr. Franchetti 2008, p. 258.

  • 81

    Peixoto 1919, pp. 18-19.

  • 82

    Masuda 1998 [s.p.].

  • 83

    Si ricorda che l’interessamento verso il genere haiku riguardò anche la celebre rivista modernista Klaxon con la pubblicazione del saggio di Nico Hourigoutghi A poesia japonesa contemporânea (cfr. Guttilla 2018, p. 8).

  • 84

    Cfr. Guttilla 2018.

  • 85

    Cfr. Calcanhotto 2014.

  • 86

    Il vero nome é Hidekasu Masuda; Goga è il nome letterario adottato dall’autore per firmare i propri haiku.

  • 87

    Per approfondimenti sulla poetica haroldiana si veda Graziani 2017.

  • 88

    Per approfondimenti sul legame di Campos con la cultura cinese e giapponese si veda Graziani 2016.

  • 89

    Cfr. Campos ‒ Pignatari 2006, pp. 264, 265, 266.

  • 90

    Cfr. Fang 1957; Saussy/Fenollosa ‒ Pound 2008.

  • 91

    Franchetti 2008, p. 263.

  • 92

    Ibidem.

  • 93

    Campos  2016, p. 55.

  • 94

    Campos  2016, pp. 55-56.

  • 95

    Campos  2016, p. 56.

  • 96

    Campos  2016, p. 59.

  • 97

    Campos  2016, p. 61.

  • 98

    Campos  2016, p. 62.

  • 99

    Campos  2004, p. 232.

  • 100

    Terada 2017, p. 22.

  • 101

    Il discorso camoniano è più elaborato, perché nella stanza in questione: «così come in selvatica laguna / le rane, al tempo antico Licia gente, / se odono per ventura una persona, /stando esse fuor dell’acqua incautamente, / qua e là saltando ‒ risuona il pantano ‒/ per fuggire il pericol che si sente, / rifugiansi in un tratto che conoscono / e sol le teste loro in acqua mostrano», il riferimento alle rane non riguarda solo Ovidio ma anche Dante (Inf. IX, 76). Inoltre, il rimando ovidiano serviva a Camões per parlare del nemico arabo, che all’epoca della scoperta della via marittima verso le Indie Orientali da parte di Vasco da Gama, nel XV secolo, venne combattuto dai portoghesi. Per questo le rane in realtà sono i mori che devono cercare di scappare alla grandezza portoghese se non vogliono anche loro subire una condanna “eterna”, come quella ovidiana (Camões 2022, p. 117).

  • 102

    Campos  2004, p. 233.

  • 103

    Campos  2004, p. 280.

  • 104

    Campos  2004, p. 279.

  • 105

    Franchetti 2008, p. 264.

  • 106

    Yoshimasu si è recato più volte a São Paulo e per motivi diversi: nel 1991 ha partecipato alla 21a biennale d’Arte di São Paulo; nell’agosto del 2006 ha tenuto conferenze e letture di sue poesie in varie città brasiliane; dal 1991 al 1993 ha insegnato letteratura giapponese all’Università di São Paulo e nel 2002 ha pubblicato il suo Brazil Diaries. Inoltre è sposato con la cantante Marília (italo-brasiliana di São Paulo). Poesia per Yoshimasu è sinonimo di arte performante e le sue poesie partono sempre dal presente, da esperienze intime vissute in prima persona alle quali abbina aspetti geografici e storici di epoche passate per creare un nuovo “mondo visionario” (cfr. Discover Nikkei 2006 [s.p.]).

  • 107

    Yoshimasu/Discover Nikkei 2006 [s.p.].

  • 108

    Campos 2004, p. 246.

  • 109

    Yoshimasu/Simões 2006 [s.p.].

  • 110

    Yoshimasu/Simões 2006 [s.p.].

  • 111

    Si tratta di un elemento caratterizzante dello haiku, ossia la parola che «richiama la stagione in cui è ambientato uno haiku. Può essere una pianta, un animale, una festività, ecc.» (Starace 2018, p. 806). Nel nostro caso la fioritura del jacarandá rinvia alla primavera, quindi la parola jacarandá è il kigo di primavera e in modo più ampio di anima, come indicato dall’autore, perché è in questa stagione che si è sprigionato il ricordo della madre.

  • 112

    Masuda 1998 [s.p.].

  • 113

    Masuda 1998 [s.p.].

  • 114

    Masuda 1998 [s.p.].

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Informazioni
Cita come: Michela Graziani, La tradizione haiku nella poesia contemporanea di lingua portoghese in DILEF. Rivista digitale del Dipartimento di Lettere e Filosofia - 3 (2023), pp. 103-133. 10.35948/DILEF/2024.4330