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Il contatto linguistico tra identità e consapevolezza: uno studio su bilingui italo-arabofoni

 ARTICOLO SCIENTIFICO

  • Data ricezione: 26/10/2022
  • Data accettazione: 16/12/2022
  • Data pubblicazione: 13/01/2023

Abstract

Come spesso accade nella lingua parlata di individui bilingui, anche nel caso degli italo-arabofoni, le forme di contatto linguistico sono frequenti. In primo luogo, questo articolo si pone l’obiettivo di condurre un’analisi linguistica dei fenomeni di contatto che si possono manifestare tra la lingua italiana e la lingua araba in caso di bilinguismo individuale. In secondo luogo, lo studio qui proposto affronta un duplice quesito: da una parte, si interroga sul livello di consapevolezza dei bilingui riguardo alle forme di contatto di cui fanno uso; dall’altra, cerca di comprendere in che modo il contatto linguistico si relaziona con l’aspetto identitario dei parlanti. Per indagare questi aspetti è stata scelta la metodologia delle interviste dirette a bilingui italo-arabofoni e la raccolta di corpora di lingua parlata in contesti che coinvolgono gli stessi intervistati. Tra i risultati emersi vi è il contatto tra le due lingue considerate a livello morfologico, una mancata percezione da parte dei partecipanti di una doppia personalità alternando le due lingue padroneggiate e una scarsa consapevolezza riguardo alle modalità con cui utilizzano i due sistemi linguistici che hanno a disposizione.


As happens in other bilinguals’ spoken language, language contact phenomena are frequent in the conversations of Arabic-Italian speakers who show different degrees of mixing between the two languages. The first aim of this article is to conduct a linguistic analysis of the language contact phenomena - such as code-switching and code mixing - that occur between Italian and Arabic languages in case of individual bilingualism. More precisely the case study proposed here aims to explore the level of language awareness displayed by bilinguals as concerns language contact. Moreover, the study intends to shed light on how language contact is related to the identity of the speakers. The methodology used to investigate these aspects is based on interviews to Arabic-Italian bilinguals and corpora of everyday colloquial language used by these interviewees. Among the results obtained there are forms of code-mixing between Italian and Arabic languages involving the morphological structure of the word. The data document a lack of perception of two different personalities by the participants when they use each language and a low level of awareness concerning how they use the languages that they master.


Parole chiave
Keywords

1. Introduzione

In un mondo sempre più connesso e in movimento, come è il nostro oggi, il bilinguismo e il contatto linguistico assumono un ruolo centrale dal punto di vista linguistico e culturale, ponendo nuove questioni linguistiche e identitarie. Fenomeni come la globalizzazione, le migrazioni e le nuove forme di comunicazione, infatti, permettono un costante contatto tra lingue apparentemente molto diverse tra loro e, in alcuni casi, consentono un nuovo incontro tra codici linguistici che nel corso della storia sono già stati in contatto, influenzandosi a vicenda. È il caso, per esempio, della lingua araba e la lingua italiana, le quali, dopo essersi condizionate a vicenda in passato per motivi politici, culturali ed economici, tornano ancora oggi a presentare nuove ed interessanti forme di contatto linguistico, anche grazie alla presenza dei parlanti arabofoni che si sono stanziati in Italia negli ultimi decenni e grazie ai quali è possibile osservare il fenomeno del contatto linguistico tra l’italiano e l’arabo, non più soltanto a livello comunitario ma anche a livello individuale.

Come suggerisce Berruto (2009), infatti, le lingue coinvolte nel contatto linguistico possono essere compresenti all’interno di una comunità o di un territorio, oppure possono essere compresenti nella mente di uno stesso individuo, comportando, di conseguenza, diverse realizzazioni del contatto linguistico a seconda della situazione. Pertanto, egli ritiene utile distinguere tra “lingue a contatto”, quando il contatto fra lingue si verifica senza presupporre il bilinguismo di individui, gruppi o comunità, e “lingue in contatto”, caso in cui, invece, il contatto poggia su una condizione di bilinguismo, individuale o di gruppo. In particolare, nel fenomeno delle lingue a contatto si può passare da situazioni in cui non si riscontra alcun contatto tra le lingue, a situazioni caratterizzate da prestiti lessicali ed interferenze; mentre le realizzazioni prototipiche delle lingue in contatto sono fondamentalmente le commutazioni di codice, che sono il frutto del contatto tra due lingue all’interno della mente di parlanti bilingui. Un’ipotesi diffusa in letteratura, nonché molto discussa, sostiene che le lingue compresenti in questi parlanti non abbiano sistemi distinti, ma uno stesso sistema di rappresentazione, e che tale bilinguismo implichi meccanismi generali dell’uso dei sistemi linguistici, con la conseguenza che i due sistemi si possano alternare continuamente, anche all’interno della stessa frase (vedi Baldi e Savoia, 2018 per un primo inquadramento). Secondo la prospettiva mentalista chomskyana (Chomsky 1995), tutte le lingue riflettono uno stesso insieme di principi e una stessa base cognitiva, ed ogni lingua naturale corrisponde ad un sistema mentale di conoscenza dello stesso tipo, che immagazzina informazioni riguardo al suono, al significato e all’organizzazione strutturale (Chomsky, 2000). All’interno di questo quadro, la variazione linguistica può essere concepita come il risultato dell’interazione di un sistema grammaticale universale e innato con le proprietà linguistiche apprese dal parlante per ciascuna lingua. Il bilingue, infatti, sulla base della grammatica universale, comune a tutte le lingue, apprende il sistema grammaticale di ciascuna lingua, motivo per cui i fenomeni di variazione possono riguardare diversi elementi della frase, a partire dagli elementi funzionali e lessicali di un enunciato, fino agli aspetti sintattici e morfologici (Baldi e Savoia, 2018). La commutazione di codice tra due o più lingue diverse da parte di uno stesso parlante, code-switching, è una delle manifestazioni più note della variazione linguistica legata al bilinguismo, insieme agli enunciati mistilingui o code-mixing (Baldi e Savoia, 2009). Dietro questi due meccanismi si celano dinamiche specifiche a livello mentale, sociale e pragmatico/comunicativo (come sostenuto in Berruto 2009; Alfonzetti 1992), ma anche psicologico ed identitario, dal momento che un parlante bilingue può avvalersi delle sue competenze nelle due lingue per esprimersi, per enfatizzare determinate parti di un enunciato o per evitare ambiguità durante uno scambio verbale. I fenomeni quali la variazione interna di una lingua, il code-switching e il code-mixing nelle situazioni delle lingue in contatto, infatti, oltre che naturale conseguenza del fenomeno del bilinguismo, inteso come conoscenza ed utilizzo di due codici linguistici nella realtà quotidiana, divengono anche, consapevolmente o inconsapevolmente, mezzo di espressione identitaria e culturale dei parlanti bilingui. In effetti, l’acquisizione e l’utilizzo di due o più lingue, e l’alternanza linguistica che ne consegue, fanno appello ad una stretta relazione tra le lingue conosciute e l’identità linguistica e culturale di un individuo; così come fanno appello ad una teoria dell’identità linguistica più elaborata, specie quando nel bilinguismo coinvolto è difficile distinguere tra la lingua “primaria” e la lingua “secondaria”. Secondo alcuni studi presenti in letteratura, e spesso dibattuti, la capacità di parlare due lingue e l’alternanza linguistica che ne deriva, oltre a costituire un importante fattore identitario che fornisce informazioni sul parlante (Baker, 2001), potrebbero persino far sentire un parlante diverso - a livello di personalità - a seconda del codice linguistico utilizzato (Wilson, 2013).

Inoltre, poiché le lingue parlate da ogni individuo bilingue sono in stretta correlazione con la sua esperienza soggettiva e la sua dimensione individuale, vi è un coinvolgimento di una altrettanto individuale consapevolezza di ciascun utente linguistico, sia in termini identitari e di appartenenza ad una realtà socio-culturale e socio-linguistica, sia in termini di consapevolezza linguistica riguardante le forme e le espressioni di cui un parlante fa uso adoperando i due codici. Secondo Jessner (2014), tale consapevolezza linguistica si può definire come la capacità di essere consapevoli delle forme linguistiche di cui si fa uso e del passaggio da esse ai loro significati. Questa abilità si può considerare alla base dei fenomeni di alternanza e di contatto linguistico, poiché il loro meccanismo consiste nel ricostruire costantemente nuove forme e significati sottostando alle regole e alle influenze dei sistemi linguistici compresenti nella mente di un bilingue (Cenoz, Gorter e May 2017).

Per tale motivo, lo studio qui proposto affronta la questione del contatto linguistico non solo osservandolo linguisticamente, come punto di incontro tra due lingue, ma anche come strumento di manifestazione dell’incontro tra le molteplici identità linguistiche di un individuo bilingue, e come elemento di espressione della consapevolezza linguistica di parlanti bilingui – in questo caso italo-arabofoni. L’obiettivo, infatti, oltre a quello di condurre un’analisi linguistica dei fenomeni di contatto che si possono manifestare tra la lingua italiana e la lingua araba in caso di bilinguismo individuale, è quello di affrontare un duplice quesito: da una parte, lo studio si interroga sul livello di consapevolezza dei bilingui riguardo alle lingue e alle varie forme linguistiche di cui fanno uso; dall’altra, cerca di comprendere e spiegare in che modo il contatto linguistico si relaziona con l’aspetto identitario di questi individui.


2. Lo studio

Il seguente studio, dunque, si propone il compito di osservare le caratteristiche del contatto linguistico tra la lingua italiana e la lingua araba, partendo dall’analisi linguistica dei fenomeni di contatto che si possono verificare nella lingua parlata di individui bilingui, fino ad arrivare ad osservare alcune caratteristiche di questi fenomeni in relazione all’identità e alla consapevolezza linguistica dei parlanti coinvolti.


2.1 Metodologia

Lo studio di caso ha previsto due fasi di ricerca: una prima fase è stata condotta nel 2019 e una seconda fase nel 2021. In entrambi i casi le ricerche hanno avuto come protagonisti parlanti bilingui precoci italo-arabofoni, di età compresa tra i 17 e 27 anni e di seconda generazione, che hanno appreso la lingua araba in ambiente familiare e quella italiana, fin da bambini, con l’inserimento nei contesti educativi e nei diversi contesti sociali. I parlanti considerati hanno tutti modo di alternare quotidianamente le due lingue conosciute, con la possibilità di utilizzare la lingua araba in ambiente familiare, e durante le interazioni con conoscenti arabofoni, e quella italiana nei contesti sociali italofoni. Per condurre le due indagini è stato scelto un approccio qualitativo e multi-metodologico, in quanto la metodologia utilizzata nella prima fase si differenzia da quella utilizzata nella seconda fase della ricerca.

In particolare, il metodo scelto per condurre la prima indagine è stato quello delle interviste semi-strutturate, che in parte hanno previsto domande mirate, per ottenere le informazioni linguistiche ricercate, e in parte sono state discorsive. L’intento, infatti, è stato, in primo luogo, quello di raccogliere le informazioni linguistiche ricercate per condurre questo studio, e, in secondo luogo, quello di permettere ai bilingui di rispondere liberamente, in modo da considerare ulteriori eventuali dati linguistici interessanti su cui riflettere. Le interviste hanno coinvolto, singolarmente, undici parlanti italo-arabofoni; sono state somministrate in lingua italiana; e la loro durata, essendo costituite da domande aperte, è risultata varia: la più breve ha avuto una durata di diciannove minuti, mentre l’intervista più lunga è durata circa un’ora. La prima parte di ogni intervista è stata dedicata alle domande relative all’identità - compresa la descrizione della biografia linguistica - e alle domande sul contatto tra le due lingue e tra le rispettive culture. Successivamente, sono state poste le domande attinenti alla consapevolezza linguistica riguardo all’utilizzo che gli intervistati fanno delle due lingue che hanno a disposizione, anche in termini di contatto linguistico tra le due lingue parlate. Le interviste sono state registrate e successivamente trascritte e grazie ai dati raccolti è stato possibile ricavare le informazioni linguistiche ricercate.

I bilingui che hanno preso parte alla seconda indagine di questa ricerca, invece, sono stati cinque, individuati tra gli undici italo-arabofoni che hanno partecipato alla prima indagine. In questo caso, l’indagine non si è limitata all’analisi delle informazioni fornite dai parlanti bilingui riguardo ai loro usi linguistici, come è accaduto nella prima indagine, ma ha voluto studiare direttamente alcuni aspetti linguistici della loro lingua parlata. Per questa ragione, la metodologia scelta per realizzare questa seconda parte dello studio è stata diversa. Ai partecipanti è stato chiesto di effettuare delle registrazioni audio di discorsi bilingui per poterne ricavare dei corpora linguisticamente analizzabili. In particolare, i bilingui sono stati sollecitati a raccontare qualsiasi episodio, aneddoto o aspetto inerente a determinati contesti proposti - ovvero quello familiare, amicale, universitario o lavorativo, dei social media, del tempo libero, delle operazioni mentali e quello religioso - immaginando di riferirsi ad un interlocutore in grado di comprendere sia la lingua araba che la lingua italiana, in modo da poter alternare, il più possibile naturalmente, le due lingue. A livello di contenuto è stata lasciata piena libertà ai partecipanti. Per questo motivo, infatti, non solo la durata delle registrazioni inviate da ogni parlante è risultata varia, ma anche la richiesta è stata talvolta interpretata diversamente dai parlanti. Alcuni bilingui hanno realizzato gli audio immaginando di interagire, attraverso il messaggio realizzato, con un interlocutore, altri hanno raccontato un episodio vissuto, ed altri ancora hanno condotto delle riflessioni sul significato che assumono, per loro, i contesti proposti. In ogni caso, le registrazioni sono risultate utili per questa indagine, in quanto hanno permesso, nonostante la diversità del contenuto, di raccogliere circa un’ora e dieci minuti di discorsi bilingui che sono stati trascritti manualmente, realizzando dei corpora di lingua parlata, la cui analisi ha permesso di approfondire - come dallo scopo della ricerca - le scelte linguistiche dei parlanti, le alternanze di codice e fenomeni di contatto linguistico.


2.2 Obiettivi

Dal punto di vista linguistico, attraverso l’analisi dei corpora raccolti, questo studio si è posto l’obiettivo di indagare le scelte linguistiche, l’alternanza linguistica e i vari fenomeni di contatto che si possono manifestare nel parlato dei bilingui italo-arabofoni considerati. Più specificatamente, sono stati individuati i momenti delle conversazioni in cui sono avvenute delle alternanze di codice e sono state sottolineate le tipologie dei fenomeni di contatto che si sono manifestati, specificando quali elementi della frase sono stati coinvolti.

Per quanto riguarda il contatto linguistico in relazione all’aspetto identitario dei bilingui, il fine dell’indagine è stato quello di osservare, attraverso l’analisi del contenuto delle risposte ottenute tramite le interviste, la percezione che i bilingui hanno della propria identità linguistica, valutando, nello specifico, se percepiscono un cambiamento a livello di personalità e nel modo di pensare in relazione alle lingue conosciute e come essi intendono e definiscono il legame ed il contatto tra le lingue padroneggiate e le culture ad esse correlate.

Infine, un ulteriore scopo di questo lavoro è stato quello di valutare la consapevolezza linguistica dei partecipanti alle indagini. Questo aspetto è stato valutato, da una parte, attraverso l’analisi del contenuto delle interviste raccolte e l’osservazione diretta dei comportamenti e degli atteggiamenti dei bilingui durante quest’ultime; dall’altra, attraverso la comparazione delle lingue utilizzate dagli italo-arabofoni per parlare dei contesti proposti - durante le registrazioni - con quelle che hanno riferito di utilizzare in quegli stessi contesti nel corso della prima indagine - ovvero durante le interviste. L’intento, quindi, è stato quello di stabilire se la lingua utilizzata per pensare e parlare di un contesto ha coinciso con la lingua solitamente usata, secondo gli utenti, in quel determinato contesto della loro vita quotidiana, e, di conseguenza, di riflettere sul loro livello di consapevolezza linguistica.


3. Analisi dei dati e discussione


3.1 Forme di contatto linguistico

Analizzando i corpora ricavati dalle registrazioni audio raccolte, il contatto linguistico tra le due lingue protagoniste delle due indagini è emerso specialmente in termini di code-switching, da intendersi, in questo caso, come il come passaggio da un codice linguistico ad un altro. Queste alternanze linguistiche si sono manifestate sia come singole parole di una lingua inserite all’interno di enunciati espressi interamente nell’altra lingua, sia come sequenze conversazionali più ampie. L’analisi delle varie forme di code-switching, riportata in questo paragrafo, segue la definizione proposta da Poplack inserita in Romaine (1995), la quale distingue tra tag switching, intersentential switching ed intrasentential switching.

In particolare, con il termine tag switching, Poplack intende l’inserimento di singoli termini all’interno di enunciati che sono interamente comunicati in un’altra lingua (Romaine, 1995). Tali termini si possono trovare inseriti sia all’inizio dell’enunciato, sia al suo interno, e spesso sono utilizzati per sottolineare o riportare l’attenzione su quanto espresso. Una seconda tipologia di code-switching, evidenziata da Poplack, è l’intersentential switching, che si verifica quando un parlante inizia ad esprimersi utilizzando un determinato codice linguistico per poi fare il passaggio ad un'altra lingua al confine tra una frase e quella successiva (Romaine, 1995). Infine, Poplack impiega il termine intrasentential switching per definire quegli episodi in cui un’espressione, o un segmento di enunciato, provenienti da una lingua diversa, sono inseriti nella lingua principale utilizzata dal parlante durante una determinata conversazione (Romaine, 1995).

Partendo da queste distinzioni è possibile affermare che nei corpora qui considerati, sebbene i dati a disposizione mostrino una prevalenza della lingua italiana rispetto a quella araba, si sono riscontrate tipologie di code-switching sia in termini di tag switching, sia a livello interfrasale, ossia tra due proposizioni, e intrafrasale, dunque all’interno di una stessa proposizione.

Si riportano, in primo luogo, alcuni esempi della tipologia di code-switching in cui l’alternanza ha riguardato singoli termini, ovvero forme di tag switching, di cui tutti i partecipanti hanno fatto uso almeno una volta nel corso delle registrazioni raccolte.

1.

    a) [...] Ultimamente li uso pochissimo perché non ho mai tempo per starci e sar ā ḥa sono contenta così.

    b) È ʿr proprio a livello musicale e poi anche bābāh mi è sempre piaciuto troppo.


    Come è possibile notare, in entrambi gli enunciati, espressi in lingua italiana, sono inseriti uno o più termini singoli in lingua araba. Nel primo esempio, sarāḥa è un avverbio che significa “sinceramente”. Nel secondo esempio, sempre all’interno di una frase espressa in italiano, sono presenti due termini arabi: il primo è ʿr, il quale, letteralmente, ha il significato di “potente”, ma in questo contesto indica ammirazione; il secondo è bābāh, che significa “suo padre”. Nel caso di entrambi gli esempi i tag switching sono posizionati all’interno delle frasi seguendo le regole sintattiche della lingua italiana, che in questi esempi rappresenta la lingua base degli enunciati.

    Nei seguenti esempi, invece, la commutazione non ha riguardato singoli vocaboli, ma interi segmenti di elementi lessicali, di vario tipo e di varia lunghezza, pertanto, è possibile identificarla come intrasentential switching:

      2.

      a) Teoricamente ti alzi a fare pausa pranzo, ma praticamente ti ritrovi a tšqāy fi lkuzina.

      b) Ana maʿraftš fin glsti nti, comunque la prima, quella dove c’è la lampada e dove ci sono stilūāt [...].

      c) L’ho ascoltata poche volte, infatti, bāqa madaḫltš lya lrāsi [...].


      È interessante notare come, nel primo esempio, il segmento pronunciato in lingua araba sia solo una parte della proposizione, mentre nel secondo e nel terzo esempio, la parte degli enunciati espressa in lingua araba corrisponde ad intere proposizioni, costituite da avverbi, verbi e sostantivi. In tutti i casi, tuttavia, è possibile parlare di intrasentential switching, dal momento che il passaggio da una lingua all’altra avviene all’interno della stessa frase e/o enunciato.

      Ulteriori fenomeni di code-switching, che sono stati riscontrati nei corpora, sono quelli che consistono nella ripetizione dello stesso contenuto semantico in ambedue i codici linguistici con lo scopo di risultare più chiari o enfatizzare il contenuto. Anche per raggiungere questi scopi sono state utilizzate sia forme di tag switching, come accade nell’esempio 3(a) e nell’esempio 3(c), sia forme di intrasentential switching come quella che è possibile notare in 3(b).

        3.

        a) S’è provato un po’ a ricreare la stessa atmosfera, lo stesso ǧaw.

        b) Oh, raga vi giuro è immangiabile, wll ā hi matkāl.

        c) Quindi, sedici meno tlāta, meno cinque, che fa otto. Quindi tmnya.


        In 3(a), infatti, il singolo termine arabo, ǧaw, inserito all’interno di un’intera frase in lingua italiana, ha lo stesso significato di “atmosfera”, già precedentemente utilizzato nello stesso enunciato. Anche nel caso riportato in 3(b) l’espressione italiana “giuro è immangiabile” è successivamente tradotta, tramite una forma di intrasentential switching, in dialetto arabo, con la proposizione wllāhi matkāl, che assume esattamente lo stesso significato dell’espressione italiana. Infine, l’ultima commutazione di questa tipologia è quella riportata in 3(c), esempio in cui emerge l’intento del parlante di enfatizzare il contenuto, o meglio, sottolineare il risultato dell’operazione matematica descritta, attraverso l’utilizzo di entrambe le lingue per indicare un unico significato. Infatti, tmnya è la traduzione di “otto” e si presenta sottoforma di tag switching. Da notare, inoltre, che in tutti gli esempi riportati in 1, 2 e 3 i tag switching coinvolgono sostantivi, aggettivi o avverbi, mentre i verbi arabi all’interno di enunciati italiani in nessun caso si presentano singolarmente; questi ultimi, infatti, sono sempre accompagnati da altri termini arabi, dando luogo, attraverso proposizioni più o meno brevi inserite all’interno di enunciati in lingua italiana, a forme di intrasentential switching. Ciò potrebbe lasciare intuire un maggiore livello di integrazione degli elementi nominali – rispetto a quelli verbali – nelle forme di code-switching tra la lingua italiana e la lingua araba. Tuttavia, proprio come ha evidenziato Alexiadou (2009: 29-31) analizzando i fenomeni di code-switching tra la lingua tedesca e la lingua greca, anche nel caso delle lingue qui considerate, questo non è sempre vero. Infatti, nonostante la maggioranza di casi di code-switching che coinvolgono la parte nominale della frase, anche i verbi hanno manifestato un evidente livello di integrazione nella lingua ospite, dimostrato, per esempio, dalle forme di indirect insertion successivamente riportate in 5.

        Come è possibile dedurre dai dati sopra analizzati, dunque, quando la lingua di base corrisponde a quella italiana, le commutazioni verso la lingua araba possono coinvolgere termini singoli o intere preposizioni. Nei pochi casi, invece, in cui la lingua di base dell’enunciato è stata quella araba, la commutazione ha riguardato brevi segmenti all’interno dell’enunciato, come accade negli esempi che seguono, dove, nei primi due casi, all’interno di frasi espresse in lingua araba, si possono notare due riferimenti temporali in lingua italiana, mentre nell’ultimo esempio la parte espressa in lingua italiana è quella dell’avverbio “quindi”.

          4.

          a) Ah, ḥaga, magtlikš, l’altro giorno, ǧarrbt ndir kīka bla bayd.

          b) Tkhāyli, il primo anno ta ana waqʿt lya nfs lḥāǧa [...].

          c) Quindi gūli lya mʿāš ġatfīqi.


          Gli estratti riportati in 2, 3 e 4 mostrano, inoltre, che la forma di commutazione di codice che prevale nei corpora dei parlanti bilingui italo-arabofoni considerati è quella dell’alternanza delle due lingue all’interno di una stessa frase (intrasentential switching). Le forme di intersentential switching, invece, ovvero il passaggio da una lingua all’altra tra un enunciato ed un altro, non sono risultate essere presenti nei dati a disposizione, se non nel seguente caso, in cui uno dei partecipanti afferma quanto segue:


          [...] io dico questo: asbaḥna wa asbaḥa almulku lilllahi wa alḥamdu lillahi lā ilāha illa Allāh waḥdaho lā šarika lah [...] Rabbi aʿudu bika min ʿadabin fi nār wa ʿadabin fi alqabr. Te, invece?


          All’inizio dell’enunciato troviamo una forma di intrasententialswitching, dal momento che inizia a parlare utilizzando la lingua italiana e continua con la lingua araba, ma sempre all’interno dello stesso enunciato. Diversamente, alla fine dell’enunciato si nota una forma di intersentential switching, poiché, terminata la parte della conversazione riferita in lingua araba, segue una domanda in lingua italiana.

          In ultimo luogo, un’ulteriore tipologia di contatto linguistico di cui i partecipanti hanno riferito di fare uso, e che hanno utilizzato anche durante i discorsi raccolti, è quella relativa all’alternanza tra le due lingue all’interno di un unico termine, attraverso la combinazione, in una stessa parola, di elementi morfologici delle due lingue, come accade nei seguenti esempi.

            5.

            a) Zbaleiti à verbo “sbagliare” coniugato secondo le regole della lingua araba alla seconda persona singolare del passato.

            b) Stāmpeiti à verbo “stampare” coniugato alla seconda persona singolare del passato.

            c) Tfarǧendo à verbo arabo coniugato al gerundio presente italiano at\traverso l’aggiunta del suffisso.


            Quelle sopra riportate sono forme di contatto interno di parola emerse tra le due lingue di cui si è interessato questo studio, ovvero la lingua italiana e quella araba. Ciononostante, questa tipologia di contatto è stata utilizzata dagli utenti anche mettendo in contatto la lingua araba con altre lingue occidentali, come l’inglese e il francese. Nell’esempio 5(b) sopra riportato, infatti, il termine stilūāt1 è un francesismo coniugato secondo le regole grammaticale arabe; così come il termine katrelāxay2, utilizzato da uno dei bilingui nelle registrazioni, vede il verbo inglese to relax adattarsi alla lingua araba, tramite l’aggiunta del prefisso temporale del presente kat- e del suffisso -ay per indicare la seconda persona singolare.

            Questi usi rivelano che nel parlato di bilingui italo-arabofoni il passaggio da una lingua all’altra non avviene necessariamente tra due termini, ma può avere luogo anche all’interno di una singola parola e perciò tali esempi rappresentano, allo stesso tempo, dei controesempi per quelle teorie che ritengono che i fenomeni di contatto siano soggetti a specifiche restrizioni che escludono forme di code-switching così profonde tra morfemi interni di parola - dette anche intra-lexical switching - tra lingue appartenenti a famiglie linguistiche diverse, come possono essere la lingua araba e quella italiana (Poplack, 1980; Baldi e Savoia, 2018).


            3.2 Contatto linguistico e identità

            Le biografie linguistiche richieste durante le interviste hanno permesso ai partecipanti di riflettere sul rapporto che hanno con le due lingue padroneggiate e di mettere al centro dei loro racconti il modo in cui le utilizzano, le alternano e le mettono in relazione e contatto. Ripercorrendo e analizzando quanto hanno riferito, è stato possibile ricostruire un quadro generale riguardante gli individui bilingui intervistati e riportare alcune caratteristiche che essi hanno in comune. In particolare, sono tutti nati da genitori originari del Marocco o dell’Egitto e in tutti i casi i loro genitori hanno ritenuto vantaggioso scegliere di comunicare con loro in lingua araba all’interno dell’ambiente familiare, seppure nella variante dialettale. Ciò ha permesso loro di crescere in Italia, apprendendo e utilizzando la lingua araba in ambiente familiare - e in tutte le situazioni di contatto con il paese di origine dei genitori - e apprendendo la lingua italiana attraverso l’inserimento nel mondo dell’istruzione e tramite i vari contatti sociali con parlanti italofoni. Al momento dell’intervista i partecipanti erano tutti studenti, liceali o universitari, motivo per cui, oltre a conoscere la lingua italiana e la lingua araba, che è la ragione per la quale sono stati chiamati a partecipare a questa intervista, conoscono, grazie agli insegnamenti scolastici, almeno un’altra lingua, come l’inglese, il francese, lo spagnolo o il russo.

            Oltre ad aver ricavato informazioni di questo tipo sull’identità linguistica dei parlanti, sono stati presi come spunto studi già esistenti in letteratura, che si sono occupati del rapporto tra bilinguismo e personalità (Pavlenko, 2006), per chiedere agli intervistati se durante l’uso quotidiano delle due lingue percepiscono dei cambiamenti in termini di personalità a seconda della lingua utilizzata. In altre parole, ai bilingui italo-arabofoni coinvolti è stato chiesto se, secondo loro, in base alla propria esperienza soggettiva di parlanti bilingui, a ciascuna delle due lingue parlate corrisponde una diversa personalità. A differenza di quanto messo in evidenza da alcuni di questi recenti studi, come Milazzo (2015), però, la maggior parte degli intervistati, per essere precisi sette sugli undici considerati, hanno affermato di non percepire diversamente la propria personalità alternando le due lingue. Piuttosto, i cambiamenti che essi hanno riferito di avvertire alternando i due codici non sono legati alla personalità, ma a determinati atteggiamenti e comportamenti che accompagnano l’utilizzo di ciascuna lingua. A prova di ciò, anche le risposte, date successivamente alla domanda: “Noti dei cambiamenti nel tuo modo di atteggiarti e comportarti quando parli in italiano rispetto a quando utilizzi l’arabo e/o viceversa?”, sono state affermative nel caso di tutti i partecipanti, i quali hanno sottolineato la percezione di un cambiamento legato al modo di comunicare tipico di ognuna delle lingue. In particolare, nel caso della lingua araba, quattro partecipanti hanno evidenziato l’utilizzo di un tono di voce più alto rispetto a quello utilizzato parlando la lingua italiana. Per esempio, due di loro hanno affermato quanto segue:

            1.

            a) Io non parlo con un tono di voce particolarmente alto, però mi rendo conto che il tono di voce in arabo è più alto, mentre in italiano raggiunge una soglia più bassa. Come dire… in arabo quella soglia è più alta.

            b) Generalmente ho un tono di voce basso, ma se parlo con questo tono in arabo, nessuno mi capisce, devo sempre alzare la voce!


            Allo stesso modo, un ulteriore mutamento riguardante l’atteggiamento, che è stato sottolineato dai parlanti durante le inchieste, è quello relativo alla gestualità durante la comunicazione. L’accompagnamento di gesti alla comunicazione verbale è più frequente durante l’utilizzo della lingua italiana rispetto alla lingua araba. A differenza, però, del tono della voce, che si adegua alla lingua utilizzata, tutti i soggetti hanno riferito di fare uso di gesti anche parlando la lingua araba, pur non essendo il gesticolare una caratteristica rilevante di tale lingua.

            Infine, per ottenere un quadro identitario il più possibile completo, in relazione alle lingue parlate, ai bilingui italo-arabofoni considerati sono state somministrate anche domande relative al biculturalismo, inteso, in questo caso, come una conseguenza del bilinguismo (Grosjean, 2008). Nel chiedere ai partecipanti, infatti, a quale cultura sentono di appartenere maggiormente, sette di loro, e dunque una maggioranza, hanno risposto di sentirsi maggiormente appartenenti alla cultura italiana, mentre quattro hanno risposto di sentire maggiormente propria quella araba. Si può dire che ciò è in parte legato alla lingua, poiché chiedendo successivamente quale lingua utilizzassero maggiormente, tutti loro hanno affermato di utilizzare quotidianamente la lingua italiana più di quella araba, ad eccezione di quando si trovano in un paese arabofono, dove, invece, le loro abitudini linguistiche sembrano sovvertirsi e l’ambiente familiare, che in Italia è quello che legano alla lingua araba, diviene l’unico dove è possibile fare uso della lingua italiana. L’aspetto del biculturalismo e il rapporto tra le lingue e le culture sono stati, poi, ulteriormente approfonditi ponendo la domanda: “Parlare due lingue è come vivere due vite, per te è così?”, con l’intento di comprendere se questi soggetti, attraverso la loro condizione di bilinguismo, avessero la percezione di vivere contemporaneamente due vite diverse a livello culturale. A questo riguardo, otto degli undici intervistati hanno precisato che, nel loro caso, conoscere e parlare due lingue permette l’accesso a due culture e a due mondi diversi, dai quali, poi, ognuno trae e fa propri determinati aspetti, ma non altri. In particolare, una tra le persone intervistate ha affermato che: “[...] più che vivere due vite, parlare due lingue permette di integrare alcuni aspetti di più culture in una sola”, confermando, in qualche modo, la teoria del terzo spazio e dell’eclettismo biculturale di Paulston (2005).


            3.3 Contatto linguistico e consapevolezza

            Indagando la consapevolezza linguistica, le domande poste hanno riguardato, da una parte, il passaggio da una lingua all’altra, il contatto linguistico e le lingue utilizzate in vari contesti; dall’altra, sono state proposte alcune domande che hanno impegnato vari studiosi in lavori già presenti in letteratura, dal momento che agli intervistati è stato chiesto in quale lingua pensassero e in quale lingua sognassero (Pinker, 1997).

            Nel corso delle interviste, una volta dichiarata la loro abitudine ad alternare le due lingue, ai partecipanti è stato chiesto se questo avvenisse solo all’interno della stessa frase oppure anche all’interno della stessa parola. A questa domanda sei partecipanti hanno confermato di alternare le due lingue anche all’interno di uno stesso termine e sono scaturiti gli esempi riportati nell’esempio 5 del paragrafo 3.1, mentre i restanti bilingui hanno inizialmente riferito di non utilizzare parole che combinano le due lingue. Tuttavia, dopo una riflessione condivisa con l’intervistatrice su cosa quest’ultima intendesse con l’espressione “alternare le due lingue internamente ad una parola”, e dopo aver fornito loro alcuni esempi, anche quattro dei cinque restanti partecipanti hanno poi dichiarato di utilizzare questa forma di contatto linguistico. Questi esempi, dunque, hanno portato quattro bilingui, che inizialmente avevano riferito di non utilizzare termini di questo tipo, a rispondere, poi, positivamente alla domanda posta. Di conseguenza, solo uno degli intervistati risulta aver dichiarato di non mescolare le due lingue all’interno di singole parole. Inoltre, alla domanda: “Quando passi da una lingua all’altra, te ne accorgi?”, dieci su undici intervistati hanno risposto di non accorgersi di quando avviene il passaggio da una lingua all’altra - in un contesto che lo permette - né di essere in grado di ricordare con precisione in quale lingua hanno riferito un determinato messaggio a distanza di tempo.

            L’inconsapevolezza affiorata intorno a queste domande si è manifestata anche nel tentativo di rispondere ad altri quesiti, per esempio quello in cui si chiedeva ai bilingui se utilizzassero maggiormente la lingua italiana o la lingua araba. Tale inconsapevolezza è stata dedotta dall’atteggiamento mostrato dai parlanti, i quali, mentre rispondevano a domande simili alla precedente, hanno manifestato esitazioni, silenzi ed in alcuni casi hanno riferito affermazioni che indicavano incertezza ed inconsapevolezza. Tuttavia, nel caso della domanda relativa all’uso delle due lingue nei vari contesti quotidiani, nonostante le esitazioni iniziali, tutti gli intervistati hanno, poi, dato una risposta, e ciò ha permesso di delineare un quadro approssimativo delle loro abitudini linguistiche grazie ai dati raccolti tramite le risposte ricevute.


            Figura 1. Grafico riportante in che misura i partecipanti italo-arabofoni coinvolti utilizzano le lingue padroneggiate nei contesti proposti (asse delle ascisse), stando a quanto hanno riferito.


            Si può dedurre, dunque, che rispondendo alla domanda relativa a quale lingua utilizzano nei contesti rappresentati nel grafico, nonostante le esitazioni, gli intervistati abbiano mostrato un livello di consapevolezza più elevato, sia rispetto alle domande precedenti, ovvero quelle relative al contatto linguistico e alla frequenza di utilizzo delle due lingue, sia rispetto alle domande successive, relative alla lingua del pensiero, dei sogni e del discorso interiore. In particolare, tra le domande: “In quale lingua pensi?”, “In quale lingua sogni?” e “Con quale lingua comunichi con te stesso?”, la prima è quella che ha creato più difficoltà, sia ai bilingui durante le interviste nel tentativo di dare una risposta, sia successivamente per giungere ad una conclusione omogenea all’interno di questo studio. Infatti, due degli intervistati hanno riferito di non saper dare una risposta in quanto non si sono mai soffermati su questa questione e pertanto non sanno con quale lingua pensano; due persone erano certe di pensare in italiano; due hanno affermato che la lingua del proprio pensiero dipende dal contesto pensato; quattro hanno riferito di pensare con la lingua italiana solo dopo aver mostrato indecisione iniziale; ed infine una persona ha comunicato di essere convinta che non sia necessaria una lingua per pensare. Le altre due domande, invece, sembrano aver messo meno in difficoltà gli intervistati, i quali, pur mostrando un generale basso livello di consapevolezza su questi aspetti, hanno fornito risposte più dirette ed omogenee rispetto a quelle date alla domanda: “In quale lingua pensi?”. Nel caso delle risposte relative alla domanda: “In quale lingua sogni?”, per esempio, solo una persona non ha saputo rispondere; un’altra riteneva di non sognare; tre persone hanno riferito di sognare solo in italiano; e i bilingui restanti hanno affermato che la lingua parlata nei propri sogni dipende dal contesto in cui si trovano nel sogno stesso. Similmente, sono risultate essere più omogenee anche le risposte ottenute chiedendo agli intervistati se parlassero con loro stessi, sia silenziosamente sia ad alta voce, e in quale lingua lo facessero. A questo proposito, tra gli undici soggetti considerati, uno ritiene che non vi sia una distinzione, nel suo caso, tra il pensiero e il linguaggio interiore, affermando poi di comunicare con se stesso attraverso entrambe le lingue, e dando, pertanto, la stessa risposta data nel caso della domanda: “In quale lingua pensi?”, mentre, tra i restanti, tre sostenevano che in questa attività del discorso interiore sono coinvolte entrambe le lingue e sette hanno riferito di servirsi esclusivamente della lingua italiana durante queste forme di comunicazione.

            Come già anticipato nel paragrafo 2.2, questo studio ha approfondito l’aspetto della consapevolezza linguistica non soltanto osservando le risposte fino ad ora analizzate, ma anche utilizzando i corpora realizzati per indagare gli aspetti linguistici dei fenomeni di contatto. A partire dal senso di inconsapevolezza affiorato durante le interviste con i partecipanti, infatti, sono state comparate le risposte date dai bilingui relativamente alle lingue che ritengono di utilizzare nei contesti riportati nel grafico precedente con quelle utilizzate nelle registrazioni per raccontare aneddoti legati a quegli stessi contesti, con l'intento di comprendere se queste ultime coincidessero con le prime. Partendo dal presupposto che la lingua utilizzata per parlare di un contesto, o per pensarlo, sia quella realmente utilizzata in quel determinato contesto - come hanno suggerito i bilingui stessi - da una parte, questa eventuale coincidenza avrebbe portato all’ipotesi che la lingua impiegata per pensare e per parlare di un contesto corrisponda a quella effettivamente adoperata dai bilingui in quel contesto nella vita reale; dall’altra, avrebbe portato ad ipotizzare che l’inconsapevolezza affiorata nella prima indagine delle interviste, riguardo all’uso che i bilingui fanno delle lingue a loro disposizione, sia percepita e non reale, poiché, nonostante l’inconsapevolezza mostrata, le risposte date rispecchierebbero comunque le lingue utilizzate per parlare dei contesti proposti. Tuttavia, attraverso l’analisi e il confronto dei dati ricavati dalle interviste e dai corpora linguistici, è emerso un quadro più complesso, caratterizzato da un’evidente varietà nella modalità di utilizzo delle due lingue che si differenzia da parlante a parlante. Tale varietà non permette di parlare di una coincidenza, o di una non coincidenza, delle lingue che i bilingui hanno riferito di utilizzare con quelle che hanno utilizzato nelle registrazioni per parlare dei contesti suggeriti.

            Ciononostante, lo studio effettuato, e in particolare la comparazione dei dati, permette di fare delle osservazioni. In primo luogo, è possibile mettere in evidenza che, nel caso degli italo-arabofoni di seconda generazione considerati, vi è una tendenza ad utilizzare la lingua italiana in maggiore misura, indipendentemente dal contesto trattato. In secondo luogo, le registrazioni relative ai vari contesti, nella maggior parte dei casi, comprendono entrambe le lingue, mentre è più raro che l’intera registrazione sia stata effettuata completamente in una sola lingua, senza la presenza dell’altra; le poche volte in cui ciò è accaduto la lingua in questione era la lingua italiana. In terzo luogo, nel caso di tutti i partecipanti, la lingua che hanno dichiarato di utilizzare nei contesti proposti corrisponde a quella utilizzata per raccontare aspetti relativi a quei contesti nel caso di almeno tre contesti sui sette proposti. In altri termini, nel caso di ogni parlante, almeno tre contesti su sette sono stati trattati con la lingua che ciascuno, durante le interviste, aveva riferito di utilizzare in quello specifico contesto nella propria vita quotidiana. Tale coincidenza è stata più evidente per quanto riguarda le situazioni in cui i bilingui, durante la prima indagine, hanno affermato di utilizzare entrambe le lingue, dal momento che poi, effettivamente, nelle registrazioni, le hanno utilizzate prevalentemente entrambe, anche se la lingua base degli enunciati spesso è stata quella italiana.


            4. Riflessioni conclusive

            Linguisticamente parlando, il contatto tra la lingua araba e la lingua italiana, indagato nello studio riportato in questo articolo, si è manifestato nella lingua parlata dei partecipanti coinvolti specialmente sottoforma di commutazioni di codice, che sono risultate essere presenti in maniera frequente nel materiale linguistico raccolto. In particolare, i fenomeni di code-switching emersi hanno riguardato sia segmenti di enunciati ed intere proposizioni, sia singoli termini a livello morfologico. In alcuni casi, le commutazioni sono state utilizzate volutamente dai parlanti, spesso per enfatizzare il contenuto di quanto esposto3. In altri casi, invece, il ricorso all’alternanza linguistica e al code-switching è stato dettato dall’esigenza di dare luogo ad enunciati il più possibile chiari e diretti. Tuttavia, tra queste forme di contatto linguistico, le più interessanti sono quelle che riguardano il code-switching interno alle parole. Secondo alcuni studiosi, come Poplack (1980), forme di contatto così profonde tra due lingue, specie quando le lingue in questione sono apparentemente molto diverse tra loro, non sono possibili. Contrariamente a ciò, lo studio sopra descritto dimostra che, almeno a livello di lingua parlata, spontanea e quotidiana, i parlanti considerati ricorrono anche a forme di contatto linguistico di tale “profondità”.

            Per quanto riguarda il rapporto tra il contatto linguistico e l’aspetto identitario dei bilingui, un risultato interessante, emerso dalla prima parte dell’intervista, riguarda la percezione di un cambiamento da parte dei bilingui riguardo al modo di atteggiarsi ed ai propri comportamenti a seconda della lingua utilizzata, nonché il cambiamento, spesso inconsapevole, del proprio modo di pensare, che, stando a quanto riferito dai partecipanti, sembra adeguarsi alla cultura e alla mentalità sociale della comunità della lingua parlata. Tuttavia, nessuno di loro percepisce un cambiamento della propria personalità in relazione alla lingua utilizzata per comunicare. Pertanto, poiché la maggior parte dei partecipanti ha negato di avere la sensazione di possedere una doppia personalità - ognuna associata ad una lingua – si può ipotizzare che la “profondità” del contatto tra le due lingue – intesa anche come conseguenza di un elevato livello di competenza in entrambe le lingue – abbia un ruolo anche nel rapporto tra le lingue conosciute e l’aspetto identitario dei bilingui. Infatti, essendo i bilingui coinvolti in questa ricerca, precoci, e facendo quindi uso di entrambe le lingue sin dalla più tenera età, sembra meno probabile che abbiano la percezione di quel cambiamento di personalità, anche se lieve, dimostrato da studi già esistenti (Milazzo, 2015) che hanno preso in esame soggetti bilingui tardivi, i quali hanno rivelato di percepire in maniera più chiara un cambiamento in questo senso, probabilmente perché la seconda lingua è stata appresa dopo la formazione della propria identità personale. Non è sempre vero, quindi, che i bilingui, alternando le lingue padroneggiate, percepiscono un cambiamento a livello di personalità. In altre parole, quanto emerso sembra suggerire l’ipotesi che tanto più è profonda la conoscenza delle due lingue - e quindi il contatto tra le due lingue - tanto meno un bilingue percepisce il cambiamento di personalità in relazione alla lingua utilizzata discusso nella letteratura esistente. Ciò può essere spiegato dal fatto che gli individui che vivono in contesti bilingui o multilingui, avendo quotidianamente la continua possibilità di alternare due o più lingue, possono avere una percezione meno accentuata dei confini linguistici e, di conseguenza, difficilmente avvertire un cambiamento a livello di personalità in relazione al codice linguistico adoperato. La simbiosi che si viene a creare tra le due lingue, e che comporta anche forme di contatto “profondo” come quelle emerse da questo studio4, sembra essere la manifestazione di un affievolirsi dei confini tra le due lingue, che, almeno nel caso dei bilingui precoci presi in considerazione in questa indagine, è lo specchio di un’identità mista, e dai confini poco definiti, anche in termini culturali ed identitari.

            Allo stesso modo, è possibile supporre che questi confini poco definiti, dovuti al fatto che le due lingue sono state utilizzate da sempre e quotidianamente in un ambiente che ne ha favorito il contatto, comportino una scarsa consapevolezza linguistica riguardo agli usi dei due codici linguistici. Anche riguardo alla consapevolezza, infatti, i risultati sono stati poco definiti e le risposte dei partecipanti, come già anticipato, sono state caratterizzate da esitazioni, silenzi, ma anche affermazioni esplicite, da parte degli intervistati, che hanno dimostrato un basso livello di consapevolezza. Le risposte, inoltre, spesso non sono state immediate ma hanno richiesto un tempo di riflessione. Grazie alle informazioni raccolte dal contesto delle interviste e a quelle ricavate dall’analisi delle interviste stesse è possibile concludere ribadendo come ognuna delle domande abbia richiesto un determinato livello di consapevolezza per poter essere soddisfatta. Tuttavia, nel complesso, i partecipanti hanno mostrato uno scarso livello di consapevolezza riguardo al proprio bilinguismo, dal momento che anche la risposta a domande come “utilizzi maggiormente la lingua araba o la lingua italiana?” spesso non è stata immediata ma ha richiesto una riflessione oppure è stata incerta. Inoltre, successivamente all’intervista, alcuni dei partecipanti hanno riferito che, pur ragionando per giorni su alcune delle domande poste, risulta loro difficile stabilire in modo definitivo quando e quanto utilizzano una lingua anziché l’altra, determinare il momento del passaggio da un codice linguistico all’altro, accorgersi delle forme di contatto e di alternanza di cui fanno uso, oppure riuscire a capire con quale lingua pensano. L’incertezza mostrata dai bilingui, insieme alla varietà delle risposte ricevute, quindi, hanno portato a mettere in evidenza una prima ipotesi di scarsa consapevolezza metalinguistica in questi parlanti.

            Questa limitata consapevolezza nei confronti dei propri usi linguistici e dei confini tra le due lingue, nonché il non percepirsi diversi a livello identitario e di personalità utilizzando i due codici linguistici, ribadiscono, quindi, quanto sia frequente e “profondo” il contatto tra le due lingue nei parlanti italo-arabofoni precoci presi in considerazione: profondo dal punto di vista linguistico, tanto da manifestarsi morfologicamente all’interno della struttura della parola, e profondo in relazione all’aspetto identitario, tanto da non implicare la percezione di un cambiamento a livello di personalità – come può accadere, invece, in alcuni casi di bilinguismo. È possibile concludere, quindi, sottolineando che questi soggetti vivono nella consapevolezza di essere bilingui e biculturali, ma anche nell’inconsapevolezza riguardo alle modalità con cui mettono in relazione ed in contatto le due lingue che hanno a disposizione e le loro relative culture.

            Note
            • 1

              “Penne”.

            • 2

              “Ti rilassi”.

            • 3

              Vedi § 3.1 es. 3.

            • 4

              Vedi § 3.1 es. 5.

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            Informazioni
            Cita come: Yasmina Moussaid, Il contatto linguistico tra identità e consapevolezza: uno studio su bilingui italo-arabofoni in DILEF. Rivista digitale del Dipartimento di Lettere e Filosofia - 2 (2023), pp. 277-295. 10.35948/DILEF/2023.4304