Abstract
Abstract
I dibattutissimi vv. 650-4 degli Acarnesi, ove l’affermazione secondo cui i consigli di Aristofane aiuteranno Atene a vincere la Guerra del Peloponneso mal si accorda con l’atteggiamento pacifista dell’autore, con ogni probabilità alludono alla leggenda sull’origine ateniese di Tirteo, che ben potrebbe essere più antica del IV secolo.
The much disputed vv. 650-4 of Acharnians, where the statement that Aristophanes’ advice will help Athens to win the Peloponnesian War seems hardly consistent with the playwright’s pacifist attitude, in all likelihood allude to the ancient tale of Tyrtaeus’ Athenian origin, which may well be older than the fourth century.
Parole chiave
Keywords
Nella parabasi degli Acarnesi il Coro afferma che il re di Persia (nientemeno!) si sarebbe interessato ad Aristofane, al punto di domandare a un’ambasceria spartana se il poeta rivolgesse maggiori rimproveri ai Lacedemoni oppure agli Ateniesi:
τούτους γὰρ ἔφη τοὺς ἀνθρώπους πολὺ βελτίους γεγενῆσθαι | 650 |
καὶ τῷ πολέμῳ πολὺ νικήσειν τοῦτον ξύμβουλον ἔχοντας. | |
διὰ ταῦθ᾿ ὑμᾶς Λακεδαιμόνιοι τὴν εἰρήνην προκαλοῦνται | |
καὶ τὴν Αἴγιναν ἀπαιτοῦσιν· καὶ τῆς νήσου μὲν ἐκείνης | |
οὐ φροντίζουσ᾿, ἀλλ᾿ ἵνα τοῦτον τὸν ποιητὴν ἀφέλωνται. |
«Costoro, affermava, sono di gran lunga i migliori, e, con un tale consigliere, vinceranno senz’altro la guerra. Ecco perché i Lacedemoni vi offrono proposte di pace e vi chiedono la restituzione di Egina: non è dell'isola che si preoccupano, ma mirano a sottrarvi il poeta»1.
L’idea è ovviamente «a patent fantasy»2, e già così produce un effetto comico, pur nella sostanziale serietà del concetto di fondo (ossia la rivendicazione, da parte di Aristofane, del valore paideutico e politico delle proprie commedie)3. Ciò che tuttavia suscita in me qualche perplessità è il τῷ πολέμῳ πολὺ νικήσειν del v. 651: prospettiva che suona piuttosto allotria in una commedia tutta incentrata sui vantaggi della pace e sulla necessità di porre fine alle ostilità con gli Spartani. I commenti, incluso quello ampio ed eccellente di Douglas Olson4, non si soffermano sull’apparente ridondanza del v. 651, né lo fanno numerosi studi importanti sugli Acarnesi5. Tra i pochi che hanno cercato di offrirne una spiegazione, Helene Foley ha voluto leggervi la prospettiva di «an advantageous peace treaty»6, il che però non sembra emergere dal testo (si noti πολὺ νικήσειν)7; Thomas Hubbard vi individua una dichiarazione di lealismo patriottico da parte di Aristofane8, mentre al contrario Christopher Carey, conformemente alla sua interpretazione di questa commedia, vi vede un’ulteriore prova della sua natura fantasiosa e piuttosto disimpegnata9. Più di recente Christian Brockmann ha sostenuto che la funzione del v. 651 sia sottolineare la fondamentale importanza della libertà di parola, qui incarnata proprio dal poeta comico, nel determinare il successo politico di Atene (e cita al riguardo Hdt. 5.78, οἱ Ἀθηναῖοι τυραννευόμενοι μὲν οὐδαμῶν τῶν σφέας περιοικεόντων ἦσαν τὰ πολέμια ἀμείνους, ἀπαλλαχθέντες δὲ τυράννων μακρῷ πρῶτοι ἐγένοντο): in altri termini, un «potremmo addirittura vincere la guerra» che non risulterebbe in vero e proprio contrasto con le idee espresse altrove negli Acarnesi10. Tra le varie spiegazioni sinora proposte, questa mi sembra la migliore, e credo che almeno in parte colga nel segno11.
Sono convinto, tuttavia, che le tematiche di questo passo nel suo insieme − il poeta come artefice di ipotetici successi bellici, il tentativo degli Spartani di trarlo dalla loro parte − non siano una totale invenzione di Aristofane, bensì una rielaborazione di qualcosa che il pubblico ateniese poteva, almeno in certa misura, conoscere. Mi riferisco alla leggenda antica su Tirteo, il (presunto, o preteso) oriundo ateniese che con la sua poesia avrebbe infiammato a tal punto gli animi degli Spartani da condurli alla vittoria nella difficile Seconda Guerra Messenica12.
La questione è complessa, e tanto più per questo interessante. Quando nacque tale leggenda? L’opinione oggi più diffusa − liberi ormai dalle vecchie teorie su Tirteo e pseudo-Tirteo e sulla pretesa impossibilità di ricondurre parte dei suoi carmi a un ambiente spartano13 − è che si sia formata in seguito «a un vasto piano organizzato, dopo il 370, da quella cerchia di laconisti che mirava a una politica di distensione fra le due antiche rivali»14. Ciò è ben possibile: tuttavia il fatto che le prime testimonianze esplicite risalgono appunto al IV secolo (Platone, Eforo, Callistene, Licurgo, forse Isocrate)15 documenta la funzionalità della storiella in quel periodo, ma non ne esclude un’origine più antica. Come suggerì alla metà del XIX secolo il geniale Alphons Hecker, un’occasione ideale poteva essere stata la richiesta di aiuto da parte di Sparta nel 462 a.C. e il sostegno che ad essa venne da parte di Cimone16: «scilicet Cimon eiusque socii, quo causam coram populo vincerent, finxisse videntur Spartanos etiam secundo bello Messeniaco dei Delphici iussu imperatorem ab Atheniensibus petivisse, qui sibi rem restitueret, et Tyrtaeum ab Atheniensibus datum esse, cuius opera Messenios vicissent Spartani»17. Anche Jacoby, pur preferendo il IV secolo, considerava la possibilità di una retrodatazione all’età cimoniana18, mentre all’impresa di Cimone come fonte di ispirazione pensavano Busolt, che attribuiva l’aneddoto al periodo di Pericle19, e Wilamowitz, parlando in termini più generici di una creazione «nell’età dei Sofisti»20. Il passo aristofaneo è, a mio avviso, un ulteriore indizio in favore di una circolazione della storiella nell’Atene del V secolo, un’epoca in cui, si è giustamente scritto, «Tirteo ad Atene era ormai di casa»21. Aristofane si presenta, tra il serio e il faceto, come un nuovo Tirteo, un consigliere prezioso − che gli Ateniesi, questa volta, faranno bene a tenersi stretto invece di cederlo agli Spartani.
Esprimendosi a favore di una fabbricazione della leggenda nel IV secolo, Nick Fisher non a torto osservava che «if it had been first produced to suit earlier Laconizing arguments, say in Cimonian circles in the 460s, or Critian oligarchic clubs in the latter years of the fifth century, its absence from our material − and especially perhaps from Aristophanes − would be a problem»22. Se dunque l’esegesi qui presentata cogliesse nel segno, tale obiezione non avrebbe più ragion d’essere. Del resto manifestazioni di filolaconismo nel V secolo, a metà strada tra la rivendicazione ideologica e una certa vena dandy, non sono passate sotto silenzio da Aristofane: basti rileggere Av. 1280-3 (con Dunbar 1995 ad l., pp. 636-8)23.
È chiaro che non ho inteso presentare nulla di più di un’ipotesi. Credo tuttavia che essa, oltre a non avere in sé niente di implausibile, sia la sola a dare finalmente un senso − anzi, una precisa funzione comica − ai discussi e apparentemente singolari versi 650-4 degli Acarnesi.
Note
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Trad. di Mastromarco 1983, p. 163. Cosa avesse a che fare Aristofane con Egina resta poco chiaro (vedi Olson 2002, p. 241; Brockmann 2003, pp. 184-94; Imperio 2004, pp. 135-7).
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Olson 2002, p. 240 (cfr. p. xlvii). Lo sottolineava già Ribbeck 1864, p. 233: «der Scherz macht [...] keinen Anspruch auf Wahrscheinlichkeit».
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Il fenomeno è troppo noto per richiedere bibliografia; per gli Acarnesi è tuttavia il caso di ricordare almeno l’ampio e persuasivo studio di Lauriola 2010.
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Mi riferisco a quelli di Elmsley 1830, p. 75; Blaydes 1845, pp. 73-74 e 159, e 18872, pp. 90-91 e 339-40; Müller 1863, p. 121; Ribbeck 1864, p. 233; Paley 1876, pp. 68-69; van Leeuwen 1901, pp. 113-4; Graves 1905, pp. 98-99; Starkie 1909, pp. 138-9; Rennie 1909, pp. 188-9; Rogers 1910, pp. 100-1; Elliott 1914, pp. 162-3; Russo 1953, p. 183; Sommerstein 1980, p. 189; Olson 2002, pp. 240-2; Imperio 2004, pp. 135-7; Lanza 2012, p. 208; cfr. inoltre le edizioni e/o traduzioni annotate di Willems 1919, p. 41; Coulon 1923, p. 39; Cantarella 1953, pp. 164-5; Mastromarco 1983, pp. 162-3; Henderson 1998, p. 137; Lauriola 2008, pp. 132-3.
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Penso in particolare a Newiger 1957, passim (e anche Newiger 1980, tuttora uno dei contributi più equilibrati su questo argomento); Dover 1972, pp. 78-88 e passim; Russo 19842, pp. 57-125; Reckford 1987, pp. 162-96; A. M. Bowie 1993, pp. 18-44; MacDowell 1995, pp. 33-34 e 46-79; Silk 2000, passim; Slater 2002, pp. 42-67; Lauriola 2010, pp. 143-226; Nelson 2016, pp, 106-40 (brevi osservazioni a p. 139).
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Foley 1988, p. 37. Su posizioni simili Biles 2011, p. 78 e n. 89.
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«Victory rather than peace is what the poet claims to be bringing to Athens» (E. L. Bowie 1988, p. 184); «verheissen wird ein klarer Siege, kein bloßer Verhandlungserfolg» (Brockmann 2003, p. 195).
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Hubbard 1991, p. 52: «The poet thus refuses a private peace like Dicaeopolis' [...]. Critical of the city's policies in the war, the poet nonetheless shows here that he is not a pacifist who advocates peace at any price» (similmente, benché in una prospettiva più semplicistica e spesso erronea, già Forrest 1963, p. 4; più attento alle sfumature Heath 1987, p. 19).
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Carey 1993, p. 256. In questa direzione si muoveva già A. M. Bowie 1982, p. 40 (cfr. anche Fisher 1993, pp. 38-39).
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Brockmann 2003, pp. 195-6 (cfr. Imperio 2004, p. 136 n. 22).
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Del tutto scettico mi trova invece la teoria di Sidwell 2009, secondo cui «Acharnians is a fundamentally metacomic satire of Eupolis' use of Cratinus» (p. 153), cosicché si dovrebbero considerare «the anecdote about the Spartan embassy to the Great King a small slice of one of the plays that had attacked the poet of Acharnians on Cleon's behalf» (p. 120), e quella parte della parabasi «a comic discourse which, albeit humorously, supports the continuation of the war» (p. 118).
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Le fonti antiche sulla Tyrtaei fabula in Prato 1968, pp. 12-19 (testt. 42-62) e in Gentili - Prato 19882, pp. 14-19 (testt. 43-64). Tuttora importante Rossi 1967-68.
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Una lucida (e a volte giustamente ironica) sintesi sulla plurisecolare “questione tirtaica” in Prato 1968, pp. 8*-20*.
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Prato 1968, pp. 2*-3*. Così già Schwartz 1937, pp. 22-23 = 1956, pp. 211-2; in seguito, tra gli altri, Mazzarino 1965, pp. 462 e 465, Fisher 1994, p. 363, e di recente Visconti 2005, pp. 42-43.
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Non a torto Jacoby, sulla scia di Wilamowitz, parlava di una «Tyrtaiosmode» nell’Atene dell’epoca: cfr. Meier 2003, p. 170, con bibliografia. Per Isocrate vedi almeno Fisher 1994, p. 363.
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Un episodio su cui Aristofane non manca, altrove, di scherzare: vedi Lys. 1137-46 (con Perusino 2020 ad l., pp. 301-2).
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Hecker 1850, p. 461. La sua idea non dispiacque a Lami 1874 (un libro pittoresco e spesso ingenuo, ma non privo di una certa dottrina), pp. xli-xlii, né a Pistelli 1901, p. 438 e n. 1, che peraltro ipotizzava un’origine comica di queste leggende, che «Atheniensium salem leporemque sapiunt».
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Jacoby 1918, pp. 9-10 n. 1 = 1961, pp. 275-6 n. 13 (cfr. anche FGrHist IIIb Suppl. II p. 479 n. 4).
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Busolt 18932, p. 608: «die infolge des wenig ruhmvollen Ausganges der Hilfsexpedition Kimons im perikleischen Zeitalter erfunden und verbreitet wurde».
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Wilamowitz 1900, p. 117: «Der Athener Tyrtaios, den Sparta zum Bürger macht, wird schon in der Sophistenzeit erdacht sein. Der Hilfszug Kimons 461 konnte damals noch im Gedächtnis sein; aber ich möchte seine Wirkung nicht mehr hoch veranschlagen». Di recente anche Heiden 1994, p. 10 n. 10 non esclude che l’origine della leggenda sia più antica di Platone.
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Prato 1968, p. 67*.
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Fisher 1994, pp. 363-4.
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Cfr. Harvey 1994, pp. 37 e 58 n. 45.
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Informazioni
Cita come: Enrico Magnelli, Aristofane a Sparta (Ach. 650-4) e la leggenda di Tirteo in DILEF. Rivista digitale del Dipartimento di Lettere e Filosofia - 1 (2021), pp. 3-10. 10.35948/DILEF/2022.3274
- Data ricezione: 23/11/2021
- Data accettazione: 09/02/2022
- Data pubblicazione: 10/03/2022
- DOI: 10.35948/DILEF/2022.3274
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