Abstract
La figura retorica della sillessi è un vero e proprio marchio di stile ovidiano. La sua vicinanza con altri moduli tipici dell’espressività di Ovidio può essere utile per individuarne le implicazioni profonde.
Syllepsis is a distinctive feature of Ovid’s style. Its relatedness with other peculiar Ovid’s predilections can be useful in identifying the deeper implications of this figure of speech.
Parole chiave
Keywords
Introduzione
«Una giustapposizione di elementi incongrui». Questa efficace formula con cui Charles Segal1 descriveva un effetto diffuso dell’arte narrativa delle Metamorfosi si adatta perfettamente – mimeticamente, potremmo dire – anche allo stile ovidiano (non solo delle Metamorfosi), che com’è noto combina fattori diversi, e talora contraddittori, producendo straniamento e frustrazione delle attese. Fra le manifestazioni più rappresentative di questa tendenza spicca la figura retorica della sillessi, che nella sua forma più comune consiste nel far dipendere dal medesimo termine, normalmente un verbo o un aggettivo, un complemento di senso concreto e uno di senso astratto, col risultato di uno sfasamento logico di sapore ironico o paradossale. Così, per esempio, il Sole tenta di dissuadere il figlio Fetonte dal proposito di guidare il suo carro: consiliis, non curribus utere nostris, «prenditi pure, invece del mio carro, il mio monito»2 (met. 2.146). La predilezione di Ovidio per questo tropo è un dato ormai largamente acquisito (si vedano soprattutto gli studi di Frécaut 1969 e Tissol 1997)3, ma qualche sforzo ulteriore può essere speso per metterne in luce le valenze profonde: a uno sguardo più ravvicinato la sillessi si rivela non un semplice ‘‘tic’’ stilistico, un superficiale ornamento del discorso, ma piuttosto l’espressione di un preciso orientamento psicologico del poeta, della sua inclinazione a confondere i confini delle cose e sovrapporre i livelli della realtà. In questo breve contributo vorrei provare a tracciare, anche se solo in forma abbozzata e senza pretese di sistematicità, qualche nuova coordinata per uno studio della sillessi in Ovidio, con l’obiettivo di riconoscere in questa figura una parte coerente di un più ampio insieme di gusti e di tendenze.
La sillessi in Ovidio
Partiamo da una considerazione di Tissol4 che sintetizza efficacemente la sua interpretazione della sillessi: «Thus syllepsis as a stylistic figure becomes directly connected with metamorphosis as a figure of plot [...] the easy shift in syllepsis from figurative to literal can be drawn upon to make an easy shift from the conceptual to the physical in metamorphosis [...] To blur the boundaries between literal and figurative meanings is the perfect linguistic representation of metamorphosis». La sillessi, dunque, come analogo stilistico della metamorfosi5. È un punto di vista interessante, ma a ben guardare non del tutto convincente, perché sembra vincolare l’uso e il senso della figura a uno specifico contenuto narrativo; e certamente adeguata, a questo riguardo, risulta l’obiezione di Lisa Piazzi6, che ha rilevato che «tale parallelo appare in realtà più suggestivo che convincente, dato che la figura della sillessi è amata e impiegata frequentemente da Ovidio anche in altre opere, come dimostra il suo uso massiccio ad es. nelle Heroides». Tissol ha comunque avuto un merito non trascurabile, e cioè tentare di individuare (pur in un’analisi, come vedremo sotto, non sempre immune da sovrainterpretazioni) le implicazioni meno immediate della figura, e quindi giustificarne la sua frequenza in Ovidio – una frequenza che non ha pari in nessun altro autore della letteratura latina – con argomenti che andassero al di là della semplice constatazione di un penchant personale. Converrebbe, però, ampliare un po’ la prospettiva: in Ovidio l’uso della sillessi dimostra una coerenza che è generale con l’insieme, che va ben oltre la metamorfosi come fatto narrativo e riguarda insomma la poetica ovidiana nel suo complesso, ovvero un modo preciso di concepire la realtà7. Tentiamo dunque di fare qualche precisazione e qualche aggiunta a margine delle riflessioni di Tissol.
Dicevo che, nella sua forma più tipica, la sillessi consiste nel legare a un medesimo termine reggente un complemento di senso concreto e uno di senso astratto, con un effetto tanto più straniante quanto più ampia è la divaricazione concettuale fra i due piani. Alcune sillessi ovidiane sono dei veri ‘‘marchi di fabbrica’’ del suo stile, e si ripetono spesso: così, Didone innamorata accoglie Enea animoque domoque (met. 14.78 excipit Aenean illic animoque domoque8), proprio come Ipsipile aveva accolto Giasone tectoque animoque (her. 6.55 urbe uirum ut uidi, tectoque animoque recepi9), e Illo aveva accolto Iole thalamoque animoque (met. 9.278-279 Herculis illam / imperiis thalamoque animoque receperat Hyllus10); allo stesso modo, Fillide rinfaccia a Demofonte di aver disperso ai venti et uerba et uela (her. 2.25 Demophoon, uentis et uerba et uela dedisti11), proprio come fa Teseo in am. 1.7.15-16 talis periuri promissaque uelaque Thesei / fleuit praecipites Cressa tulisse Notos12 o Enea in her. 7.8 atque idem uenti uela fidemque ferent?13. Altre variazioni su questo artificio sono più ricercate, e comportano una maggiore forzatura dell’espressività naturale: è difficile non rimanere colpiti dall’arditezza di accostamenti inediti come met. 9.409 exul mentisque domusque14 (Alcmeone perseguitato dalle Furie) o met. 9.134-135 actaque magni / Herculis implerant terras odiumque nouercae15 (dove l’effetto di straniamento dato da implerant … odium è accentuato dall’idiomaticità del nesso implere terras, cfr. e.g. her. 15.33; 17.210). Gli esempi potrebbero abbondantemente moltiplicarsi, ma veniamo subito al punto che più ci interessa16: perché Ovidio è così attratto da questa figura? Si potrebbe rispondere che gli piace e basta, ma così si rischierebbe di sminuirne la portata: nessuna figura retorica è insignificante se diventa un’ossessione17. Se allarghiamo il campo, vediamo che Ovidio ragiona ‘‘silletticamente’’ anche quando non crea sillessi pure, cioè realizzate nelle forme appena osservate; e queste sillessi ‘‘nascoste’’ riescono particolarmente utili al nostro discorso, perché ci consentono di stabilire un legame e una continuità con la figura che non coglieremmo se trattassimo la figura in modo isolato. Prenderò in considerazione alcuni pochi passi (un campione ridotto, puramente rappresentativo, sicuramente da ampliare in un eventuale studio sistematico sull’argomento), quasi tutti molto famosi, e non dirò cose nuove nel merito dei contenuti. L’unico elemento di novità sarà appunto quello di considerare questi passi ‘‘sotto la specie della sillessi’’, e cioè alla luce dei meccanismi sillettici che essi mettono in atto.
Diana trasforma Atteone in cervo (met. 3.193-198):
… nec plura minata | |
dat sparso capiti uiuacis cornua cerui, | |
dat spatium collo summasque cacuminat aures | 195 |
cum pedibusque manus, cum longis bracchia mutat | |
cruribus et uelat maculoso uellere corpus; | |
additus et pauor est.18 |
La progressione della metamorfosi – qui descritta quasi per accumulo, assommando uno ad uno gli attributi bestiali decisi dall’azione punitiva della dea – ha una svolta inattesa nel passaggio dal piano fisico a quello immateriale: oltre alle corna, alle zampe e al vello screziato, Atteone cervo riceve quale suo ulteriore nuovo connotato il pauor, la paura, che è significativamente messo sullo stesso piano dei nuovi connotati fisici. La forma dell’espressione non è quella tipica della sillessi, ma il meccanismo di sovrapposizione fra i piani della realtà (concreto/ astratto) è identico; un meccanismo, appunto, pienamente sillettico, che raddoppia improvvisamente il livello di lettura della scena.
Un altro esempio dello stesso tenore. La Furia Tisifone prepara il veleno mortale da somministrare a Ino e Atamante (met. 4.500-507):
attulerat secum liquidi quoque monstra ueneni, | 500 |
oris Cerberei spumas et uirus Echidnae | |
erroresque uagos caecaeque obliuia mentis | |
et scelus et lacrimas rabiemque et caedis amorem, | |
omnia trita simul; quae sanguine mixta recenti | |
coxerat aere cauo uiridi uersata cicuta; | 505 |
dumque pauent illi, uertit furiale uenenum | |
pectus in amborum praecordiaque intima mouit19. |
L’elenco degli ingredienti della mistura comincia con elementi molto concreti (ad es. la bava di Cerbero) per poi slittare, senza soluzione di continuità, verso altri astratti (colpa, rabbia, smania di uccidere). Bisognerà pensare che Ovidio avesse in mente «la materializzazione di concetti astratti»20, ma quello che conta per noi è l’arditezza dell’accostamento, che duplica i piani di lettura con effetto decisamente paradossale. Come sopra, Ovidio non ha creato una sillessi di tipo tradizionale, e tuttavia ha scelto di organizzare silletticamente la realtà che stava descrivendo.
Un altro campione privilegiato per l’osservazione di procedimenti sillettici è rappresentato dai giochi di parole. Va osservato che la nozione di «sylleptic wordplay» è già in Tissol, e su questo punto la sua analisi è complessivamente molto buona21; gli esempi selezionati dallo studioso, tuttavia, non paiono sempre fra i più funzionali, e il suo discorso tende in più punti alla sovrainterpretazione (ad es. nella presa in esame di certi giochi etimologici o di bilinguismo che spostano il focus, talvolta un po’ capziosamente, dal piano concettuale a quello meramente linguistico22); l’‘‘immaginazione sillettica’’ di Ovidio si manifesta in modi ben più macroscopici e lampanti di quelli scelti da Tissol, ed è da questi che ha più senso partire per rintracciare un filo conduttore che ci riporti alla figura.
Il senso di molti giochi di parole ovidiani risiede proprio nella coesistenza, in uno stesso termine o in una stessa iunctura, di un’accezione concreta e una astratta; un fatto ben noto a tutti i lettori di Ovidio, e su cui non occorre diffondersi23. Ma anche qui, ai fini del nostro discorso, sarà interessante individuare il legame diretto fra questi puns e la sillessi propriamente detta, allo scopo di metterne in luce la comune logica realizzativa. Un paio di casi fra i molti possibili. Consideriamo ad es. her. 12.175-180:
forsitan et, stultae dum te iactare maritae | 175 |
quaeris et iniustis auribus apta loqui, | |
in faciem moresque meos noua crimina fingas: | |
rideat et uitiis laeta sit illa meis. | |
rideat et Tyrio iaceat sublimis in ostro – | |
flebit et ardores uincet adusta meos24. | 180 |
ardores / adusta: l’accostamento è concettoso, e impone al lettore di cogliere lo slittamento di senso: ardores … meos è naturalmente metaforico, è il fuoco d’amore di Medea; adusta invece, a un primo livello di lettura ugualmente metaforico, a un secondo livello è concreto e prefigurativo, e il lettore sa bene che dietro c’è un riferimento al fuoco materiale, letterale, che brucerà Creusa. C’è una rifunzionalizzazione della metafora erotica più trita in assoluto che è operata con la stessa identica logica della sillessi: uno slittamento paradossale da senso letterale a senso figurato (cfr. la nota di Bessone 1997, p. 241 ad loc.: «Si crea un gioco di equivocità verbale sulla metafora del fuoco d’amore, con perfetta sovrapposizione di senso proprio e traslato»)25.
Procedendo in questa direzione, non si farà fatica a cogliere l’intima logica sillettica alla base di tante altre immagini erotiche ovidiane che giocano sulla confusione tra piano proprio e piano metaforico26. Per esempio, nella famosa battuta di Perseo in met. 4.678-679:
… «o» dixit «non istis digna catenis, |
sed quibus inter se cupidi iunguntur amantes»27. |
Con identico meccanismo, alle vere catene che tengono avvinta Andromeda si affiancano le catene metaforiche che legano fra loro gli innamorati28: l’effetto del procedimento è molto umoristico, e condivide con la sillessi le implicazioni stranianti della sovrapposizione inattesa.
Ancora, per venire a un esempio fra i più familiari ai lettori di Ovidio, sarebbe lungo elencare tutti gli incipit epistolari ovidiani in cui si gioca col doppio senso di salus, contemporaneamente intesa come ‘‘saluto’’ e come ‘‘salvezza’’ (cfr. e.g. her. 4.1-2 qua, nisi tu dederis, caritura est ipsa, salutem / mittit Amazonio Cressa puella uiro29; her. 16.1-2 hanc tibi Priamides mitto, Ledaea, salutem, / quae tribui sola te mihi dante potest30; trist. 5.13.1-2; Pont. 1.10.1-2)31. Benché si manchi di rilevarlo, è evidente che anche questa predilezione ovidiana è imparentata molto da vicino con la sillessi propriamente detta.
Si avverte, insomma, una solidarietà compatta tra la sillessi e questo tipo di espedienti espressivi che, com’è noto, costituiscono una parte molto consistente dell’armamentario compositivo di Ovidio. Ma noi siamo partiti dalla sillessi, e alla sillessi dobbiamo tornare. Cerchiamo dunque di trarre qualche conclusione da questi pochi spunti provando a rispondere in modo un po’ più preciso alla domanda iniziale: perché Ovidio è così attratto dalla sillessi? Perché la sillessi – potremmo dire – ‘‘miniaturizza’’ nella forma minima della figura retorica tutto ciò che il nostro poeta ama di più: la confusione dei confini, la sovrapposizione fra i piani della realtà, il concettismo brillante, il gusto per il paradosso e per l’ironia, la frustrazione delle attese; tutte queste cose insieme sono per così dire implicate in questo unico espediente stilistico, e non può quindi stupire che Ovidio lo prediliga come nessun altro. La sillessi è, insomma, un elemento perfettamente coerente con l’insieme che la accoglie, e – questo è il punto che più ci interessa – solo alla luce di questo insieme è possibile valorizzarla pienamente: mettere in relazione la sillessi come figura con le varie sillessi ‘‘nascoste’’, non canoniche, di cui è ricca l’opera di Ovidio, con i vari giochi governati dalla fantasia sillettica del poeta, può servire per cogliere le motivazioni più profonde di questo tropo, i legami strettissimi che lo apparentano a tanti altri prodotti della straordinaria creatività ovidiana. Ovidio, in virtù delle sue predilezioni più ricorrenti e delle sue tendenze più consolidate, non poteva non essere attratto dalla sillessi, al punto di farla diventare un suo ‘‘marchio di stile’’ fra i più riconoscibili e peculiari.
Appendice
Sillessi virgiliane modelli per Ovidio? Un caso di studio
La predilezione di Ovidio per la figura retorica della sillessi è a tal punto pervasiva da imporsi anche quando Ovidio imita manifestamente un certo modello; così è possibile ravvisare in alcune sillessi ovidiane – in genere delle più ardite – tracce più o meno scoperte di memorie intertestuali. Un esempio pressoché sicuro è met. 7.347 cecidere illis animique manusque32 (illis scil. le Peliadi, sconvolte dopo la scoperta dell’inganno di Medea), che, come recentemente dimostrato da Lisa Piazzi33, combina insieme, con preciso intento allusivo, due iuncturae virgiliane, Aen. 6.33 cecidere manus e Aen. 3.260 cecidere animi. Proseguendo su questa linea, vorrei brevemente considerare un altro caso di sillessi ovidiana verosimilmente condizionata da una reminiscenza intertestuale, più sottile ma a mio parere tutt’altro che inavvertibile.
All’inizio della cosiddetta ‘‘piccola Eneide’’, Ovidio condensa in pochi versi le linee narrative essenziali di Verg. Aen. 2 (met. 13.623-625):
non tamen euersam Troiae cum moenibus esse | |
spem quoque fata sinunt; sacra et, sacra altera, patrem | |
fert umeris, uenerabile onus, Cythereius heros34. | 625 |
Palese il richiamo a Verg. Aen. 3.1-3 postquam res Asiae Priamique euertere gentem / immeritamuisum superis, ceciditque superbum / Ilium35, opportunamente segnalato dai principali commentatori36. Si è però mancato di rilevare37 che la presenza di Virgilio in questi versi si attesta forse anche a un livello meno epidermico: nel formulare la sillessi non … euersam … cum moenibus esse / spem Ovidio potrebbe avere avuto nell’orecchio una simile enunciazione contenuta in Aen. 5.670-672, là dove Ascanio rimprovera le donne troiane che, su istigazione di Iride, hanno appiccato il fuoco alle navi: «quis furor iste nouus? quo nunc, quo tenditis» inquit / «heu miserae ciues? non hostem inimicaque castra / Argiuum, uestras spes uritis38». Che in questa parte del poema così aperta alle influenze virgiliane Ovidio riecheggi questo luogo mi pare probabile: stanti le differenze di contesto e il ribaltamento di prospettiva39, le due sillessi con spes, con marcato effetto straniante dato dall’accostamento con gli elementi concreti40 (castra / spes ~ cum moenibus / spem, a cui si può aggiungere la sostanziale contiguità semantica fra uro ed euerto), sono assai simili, e non trovano solidi raffronti al di fuori dei nostri passi. Resta da definire il grado di allusività del riuso ovidiano: l’affinità di superficie, subito evidente, farebbe pensare alla rifunzionalizzazione estemporanea, e per così dire istintiva, di un’immagine sedimentata nella mente del poeta – e questo è il minimo che si possa concedere; ma l’analoga realizzazione del concettismo nella forma della sillessi e l’associazione di spem/ spes al medesimo referente logico – in entrambi i casi la speranza collettiva dei Troiani – suggeriscono la possibilità che Ovidio, nella sezione più ‘‘virgiliana’’ del suo poema, lasci deliberatamente affiorare in filigrana un altro fra i molti debiti contratti con Virgilio.
Note
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Segal 1991, p. 38.
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Trad. Koch in Barchiesi 2005. Tutte le traduzioni dei passi delle Metamorfosi sono tratte dai volumi della Fondazione Valla, cui si deve la più recente edizione integrale tradotta e commentata in lingua italiana: la traduzione dei primi quattro libri è opera di Ludovica Koch, mentre quella dei libri V-XV è di Gioachino Chiarini.
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Di impostazione sostanzialmente compilativa quello di Frécaut 1969, pp. 28-41 (che parla genericamente di «zeugma», secondo un uso perlopiù evitato in seguito alla definitiva puntualizzazione terminologica di Kenney 1972, pp. 39-40; sulla questione cfr. anche Tissol 1997, pp. 219-20), pur senza trascurare, coerentemente con gli interessi dell’autore, gli aspetti umoristici e di wordplay che spesso caratterizzano la sillessi; più innovativo quello di Tissol 1997, in part. pp. 18-26 e 217-22 (lodato da Kenney 2002: 46 nota 120), che pone invece al centro della sua analisi il gusto ovidiano per l’ambiguità e il paradosso, istituendo un’equivalenza – pure un po’ troppo calcata – fra la sillessi come fenomeno stilistico e la metamorfosi come materia narrativa (cfr. infra). Utili spunti per uno studio della sillessi in Ovidio sono contenuti in Knox 1995, pp. 30-31; Kenney 2002, pp. 45-48.
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Tissol 1997, p. 19.
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Una simile impostazione del discorso fa subito venire in mente l’illustre precedente di Pianezzola 1999 (19791), pp. 29-42, che confronta la metamorfosi come fatto narrativo con un altro espediente stilistico, la metafora. È per noi significativo che lo spunto per l’analisi comparativa dello studioso è offerto proprio da un caso di compresenza tra senso proprio e senso figurato (deriguit in met. 6.303), con metodologia e risultati molto utili anche per il discorso che cercheremo di sviluppare qui.
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Piazzi 2020, pp. 166-67.
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Qualche spunto prezioso in questa direzione è già in Kenney 2002, p. 46: «the wit with which he mined this particular vein of rhetorical ore was unique to him, and his way of doing so reflects his way of viewing the physical world».
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«Qui la regina sidonia accoglie Enea in casa e nel cuore», trad. Chiarini in Kenney 2011.
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«Ma come vidi quell’uomo in città, lo accolsi nella mia casa e nel mio cuore», trad. Rosati 1989 (dalla stessa edizione si trarranno le traduzioni di tutti i passi delle Heroides citati in seguito).
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«Per volontà di Ercole, Illo l’aveva accolta nel talamo e nel cuore».
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«Demofonte, tu hai dato al vento le parole e le vele».
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«Tale era la cretese che piangeva perché i venti impetuosi avevano portato via le promesse e le vele dello spergiuro Teseo», trad. Della Casa 1982.
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«E i medesimi venti porteranno via le tue vele e le tue promesse?».
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«Fuori di mente e dalla patria».
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«Le imprese del grande Ercole riempirono la terra e saziarono l’odio della matrigna».
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Per un elenco di sillessi, dossier piuttosto nutriti si possono trovare nello stesso volume di Tissol, pp. 221-22, o, per le sole Metamorfosi, nell’ottimo indice di Lazzarini al sopraccitato commento integrale al poema edito dalla Fondazione Valla (Lazzarini in Hardie 2015, p. 709).
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Basti pensare, per limitarci a qualche caso particolarmente significativo, all’uso dell’enallage in Virgilio, per cui è quasi superfluo rimandare alle pagine imprescindibili di Conte 2002, pp. 5-63; o a certe preferenze senecane (e.g. anafora, antitesi, figura etimologica) magistralmente indagate da Traina 2011 (19741); o ancora a certe costanti stilistiche della lingua della predicazione, e.g. il parallelismo antitetico con omeoteleuto, su cui cfr. Norden 1986, p. 622 (18981), o l’uso assoluto del participio futuro nei Sermones agostiniani, su cui si veda la fine trattazione di Pieri 1995, pp. 207-17.
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«Senza altre minacce / regala le corna di un cervo longevo alla testa bagnata, / gli allunga il collo e gli affila in punta le orecchie, / gli cambia in piedi le mani, in lunghe zampe le braccia / e tutto il corpo gli copre di pelo chiazzato. / In più, gli infonde paura.», trad. Koch in Barchiesi-Rosati 2007.
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«S’era portata anche dietro un succo mirabile e tossico: / la bava delle fauci di Cerbero, il veleno di Echidna, / vaneggiamenti e delirio, oblio della mente accecata, / colpa, lacrime, rabbia e smania di uccidere: / il tutto pestato e mischiato insieme con sangue recente, / poi bollito in paiolo di rame e rimestato con verde cicuta. / Ai due che tremano, istilla il filtro che porta demenza / in petto, e li conturba nel più profondo dell’anima».
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Rosati 2007, p. 309 ad loc.
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Pp. 20-25 e passim.
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Fatico, per esempio, a vedere una logica sillettica nel gioco etimologico putator … putares di met. 14.649-650 (pp. 24-25), o in quello bilinguistico idem, qui praestant nomina, uenti di met. 10.739 (pp. 175-76); il rischio è quello di sottoporre la categoria di ‘‘sillessi’’ a un’estensione un po’ indebita e arbitraria, perdendo invece di vista le sue manifestazioni più cospicue. Qualche spunto sulla contiguità della sillessi con certi giochi di parole ovidiani è contenuto anche in Frécaut 1969, pp. 32-34.
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Ancora fondamentale per i giochi di parole in Ovidio è la monografia di Frécaut 1972; osservazioni preziose in Rosati 2017 (19831), pp. 150-66.
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«Forse anche, mentre fai di tutto per vantarti con la tua sciocca compagna e dire cose compiacenti alle sue orecchie ostili, inventi nuove calunnie contro il mio aspetto e i miei costumi: che rida, e gioisca dei miei difetti! Rida, e giaccia altera su porpora di Tiro – piangerà, e le fiamme che la bruceranno supereranno le mie!».
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Per altri casi in cui ricorre lo scarto tra senso proprio e senso traslato nell’immagine del fuoco cfr. Rosati 2017, p. 163 e nota 135.
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Sul punto restano di riferimento le riflessioni di Rosati 2017, pp. 162-64. È interessante osservare che tali procedimenti ovidiani troveranno uno straordinario emulatore in Apuleio, che sfrutterà al massimo la confusione fra piano reale e piano figurato con una frequenza particolare proprio in contesti erotici (si pensi per esempio allo slittamento fra senso proprio e traslato dell’immagine del fuoco in Apul. met. 2.7.5-7, o alla sovrapposizione fra ferita fisica e male d’amore nell’episodio di Amore e Psiche, quando la ragazza si punge con una freccia del marito o quando brucia con l’olio della lanterna «il dio stesso di ogni fuoco», Apul. met. 23.5 ispum ignis totius dominum aduris). A questo punto, non potrà sembrare casuale che anche Apuleio rivela una forte attrazione verso la figura retorica della sillessi (un discorso che qui mi limito ad accennare ma che meriterebbe senz’altro un approfondimento più ampio anche in chiave intertestuale: importanti considerazioni a questo riguardo in Nicolini 2013, in part. pp. 159-60).
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«‘Tu non sei fatta’», le dice, «‘per queste catene, / ma per quelle che stringono insieme nel desiderio gli amanti’».
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Per l’immagine delle catene d’amore cfr. Bömer 1976, p. 204 ad loc.
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«Quel bene di cui sarà priva, se non sarai tu a darglielo, la fanciulla di Creta invia all’eroe figlio dell’Amazzone».
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«Io, figlio di Priamo, invio a te, figlia di Leda, quel bene che mi può essere accordato solo se tu me lo doni».
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Cfr. anche Bömer 1977, pp. 437-38 ad Ou. met. 9.530.
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«Cascano a quelle animo e mano».
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Piazzi 2020, pp. 165-71.
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«Il destino non vuole però che con le mura di Troia crolli / anche ogni speranza: l’eroe figlio della dea di Citera si carica / sulle spalle le immagini sacre e, altro peso sacro e venerabile, il padre», trad. Chiarini in Hardie 2015.
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«Dopo che ai Súperi piacque estirpare la forza dell’Asia / e l’incolpevole gente di Priamo, e Ilio superba / cadde …», trad. Fo 2012 (dalla stessa edizione si trae la traduzione degli altri passi eneadici).
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E.g. Bömer 1982, p. 366 ad loc.; Hopkinson 2000, p. 193 ad loc.
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Ai fini di questo lavoro ho consultato, oltre ai già citati Bömer e Hopkinson, tutte le altre principali edizioni commentate del poema ovidiano: Burman 1727, Haupt-Korn-Müller-Ehwald 1915 rev. Von Albrecht 1966, Lafaye 1930, Hardie 2015. Per il quinto libro dell’Eneide ho controllato Phillipson 1901, Williams 1960, Paratore 1979, Farell 2014, Fratantuono-Alden Smith 2015.
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« ‘Quale inaudita follia?’ disse ‘a che, a che adesso mirate / ahi, disperate concittadine? Non campo avversario / né l’argivo nemico bruciate, ma il vostro sperare’».
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Allarme e indignazione per il pericolo incombente nelle parole di Ascanio (uestras spes uritis), promessa di salvezza nel passo ovidiano (non euersam … spem); ma qui è la forma che ci interessa.
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Un effetto che nei versi virgiliani non mi pare smorzato dal fatto che le spes sono materialmente rappresentate dalle navi: coglie bene il valore sillettico dell’espressione Anthon 1846, p. 459 ad loc. «With your ships you consume all your hopes, for without them you cannot reach Italy»; dà rilievo al livello metaforico della sillessi la traduzione di Fo 2012 supra: «bruciate … il vostro sperare». Di «ardita brachilogia», riconoscendo nell’identificazione di spes con l’oggetto strumentale un tipo di espressività non convenzionale, parla Colafrancesco in Enciclopedia Virgiliana, s.u. spes, vol. IV, p. 996, col. 1.
Bibliografia
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Anthon 1846 = Charles Anton, The Aeneid of Virgil, with English notes, London.
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Barchiesi-Rosati 2007 = Ovidio. Metamorfosi, vol. II (III-IV), a cura di Alessandro Barchiesi e Gianpiero Rosati, Milano.
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Bessone 1997 = P. Ouidii Nasonis Heroidum Epistula XII. Medea Iasoni, a cura di Federica Bessone, Firenze.
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Bömer 1976 = Franz Bömer, P. Ouidius Naso, Metamorphosen, Buch IV-V, Heidelberg.
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Bömer 1977 = Franz Bömer, P. Ouidius Naso, Metamorphosen, Buch VIII-IX, Heidelberg.
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Bömer 1982 = Franz Bömer, P. Ouidius Naso, Metamorphosen, Buch XII-XIII, Heidelberg.
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Burman 1727 = P. Ouidii Nasonis Opera Omnia cum integris Micylli, Ciofani et Dan. Heinsii notis et Nic. Heinsii curis secundis, cura et studio Petri Burmanni, Amsterdam (con le note dell’ed. di Heinsius 1661).
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Colafrancesco 1988 = Pasqua Colafrancesco, Enciclopedia Virgiliana, vol. IV, s.u. spes, Roma, p. 996.
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Conte 2002 = Gian Biagio Conte Anatomia di uno stile: l’enallage e il nuovo sublime in Virgilio. L’epica del sentimento, pp. 5-63, Torino.
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Della Casa 1982 = Opere di Publio Ovidio Nasone (vol. I), a cura di Adriana Della Casa, Torino.
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Fo 2012 = Publio Virgilio Marone, Eneide, traduzione e cura di Alessandro Fo, note di F. Giannotti, Torino.
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Informazioni
- Data ricezione: 14/04/2025
- Data accettazione: 06/06/2025
- Data pubblicazione: 20/06/2025
- DOI: 10.35948/DILEF/2025.4369
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