| Articolo sottoposto a Peer Review

All'ombra delle madri: Gadda e Pasolini

 ARTICOLO SCIENTIFICO

  • Data ricezione: 28/07/2022
  • Data accettazione: 22/08/2022
  • Data pubblicazione: 08/10/2022

Abstract

Il saggio si concentra sul rapporto di Gadda e di Pasolini con le rispettive madri, analizzando le somiglianze e le differenze di tali legami. Si osserva come le due figure femminili abbiano influenzato sensibilmente la biografia e la bibliografia dei due celebri autori.


The essay focuses on Gadda's and Pasolini's relationship with their respective mothers, analysing the similarities and differences of these ties. It looks at how the two female figures significantly influenced the biography and bibliography of the two famous authors.


Parole chiave
Keywords

L'uomo fornito di ragione non dovrebbe mai istruire fuor di misura i propri figli: perché oltre la taccia, che hanno, di inoperosi, odio e invidia guadagnano dai loro concittadini. Se esponi a gente ignorante novità sapienti, passerai per uomo inutile, non per uomo sapiente; e se d'altra parte sei reputato superiore a coloro dei quali si dice posseggano gran varietà di conoscenze, alla città apparirai persona molesta1. Medea a Creonte.

Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo Pasolini sono due figure chiave della cultura italiana del secolo scorso; a chi si accosta alle loro opere potrebbero sembrare due personalità con scarsi punti di contatto, ma, nonostante le evidenti diversità sia sul piano meramente biografico che su quello artistico, numerose testimonianze rivelano come tra i due scrittori sia esistita un'amicizia sviluppatasi per più di un decennio, tra gli anni '50 e '60. Il luogo del loro incontro sarà Roma, città di “esilio” per il giovane Pasolini, là dove Gadda aveva trovato lavoro presso la RAI per i programmi culturali di Radio 3. Già prima del loro incontro, Pasolini in una lettera indirizzata a Silvana Mauri esprime tutta la sua ammirazione per la scrittura gaddiana2, mentre Gadda in quello stesso anno avrà sicuramente avuto la possibilità di leggere i testi pasoliniani, in quanto facente parte del comitato redazionale di Paragone3, su cui vengono pubblicati degli stralci dai testi di Pasolini.

La conoscenza di persona tra i due scrittori avviene presso gli studi RAI; difatti nel 1953, per il tramite di Angioletti, lì si incontrano, e da questo contatto scaturiranno alcuni progetti di lavoro comune destinati però a restare solo sulla carta4.

Diverse fonti testimoniali comprovano il fatto che la relazione da meramente lavorativa si sia poco dopo evoluta verso una forma di contatto più familiare e che Gadda sia entrato presto nell'entourage degli amici e dei familiari di Pier Paolo5.

Il consolidamento del rapporto umano non frena Pasolini dallo scrivere testi critici su Gadda e alcune lettere relative a un articolo scritto da Pasolini per L'Approdo possono farci intuire il profondo rispetto che lo scrittore più giovane nutre nei confronti dell'Ingegnere6; da questo articolo risulta evidente come la relazione umana tra Pasolini e Gadda non impedisca al primo di esprimere senza remore il suo punto di vista7.

L'amicizia tra i due celebri scrittori fa sì che si riservi a Gadda un ruolo attivo nella rivista Officina, ma fin dai primi momenti sono in molti ad avvertire quanto tale collaborazione si prospetti problematica8 e, dopo che erano stati pubblicati, a fatica e a seguito di innumerevoli ritardi9 e bizzarrie d'ogni sorta10, solo i primi capitoli de Il libro delle furie (successivamente intitolato Eros e Priapo), il contributo principale di Gadda verrà sostituito da materiale inedito di Italo Calvino11.

Sebbene purtroppo quest'ultimo sodalizio letterario sia stato tutt'altro che roseo, l'amicizia tra i due scrittori inizialmente pare non averne risentito negativamente: ne è prova il fatto che Pasolini s'impegni a far da intermediario per la pubblicazione de Il libro delle furie per Longanesi12 e che Gadda, sebbene sempre sotto la pressione di Pasolini stesso, invii una lettera di segnalazione a Giacomo Devoto per l'assunzione di Leonetti a direttore della Biblioteca Classense di Ravenna13.

Sarà però la controversa fama di Pasolini14, assieme ai sempre più ricorrenti e ambigui commenti di quest'ultimo sulla letteratura gaddiana15, a incrinare gradualmente l'amicizia tra i due scrittori. Preda ormai di una paranoia sempre più incalzante, Gadda raffredda il loro rapporto nel 1963, anno in cui l'Ingegnere chiede espressamente ai suoi contatti interni all'Einaudi di non avere Pasolini tra i presentatori de La cognizione del dolore16. A seguito di questa vicenda, il nome di C. E. Gadda non comparirà più in tutto l'epistolario pasoliniano: da tale particolare, e anche solo dal distaccato epitaffio che Pasolini dedicherà alla morte del Gran Lombardo, possiamo evincere come il loro rapporto si fosse ormai raffreddato17.

Facendo un bilancio di quest'amicizia che appare certo problematica, ma al tempo stesso non inquinata dalle meschinità serpeggianti spesso nell'ambiente letterario, ci potremmo chiedere se fattori più profondi e personali non abbiano agito quasi sotterraneamente ad avvicinare l'uno all'altro i due scrittori. Infatti, a ben guardare, le loro esperienze esistenziali possono essere accostate da svariati punti di vista; ci riferiamo ovviamente a esperienze che agiscono nel profondo e lasciano le loro tracce (forse ineliminabili) nella psiche di un individuo. Entrambi nell'ambito familiare hanno dovuto rapportarsi con figure materne dalla determinante influenza sui propri figli, si sono trovati a subire la presenza di personalità paterne apparentemente estranee ai loro ideali e promotori di modelli per loro disprezzabili (quali la borghesia milanese di Francesco Ippolito Gadda e il fascismo piccolo-borghese di Carlo Alberto Pasolini), infine hanno sofferto un identico lutto, la perdita per mano violenta dei fratelli minori, da cui deriverà un senso di colpa che li accompagnerà per tutta l'esistenza.

Constatato come questo vissuto comune possa essere stato, assieme alla letteratura, il principale collante dell'amicizia tra Gadda e Pasolini, possiamo ora concentrarci a esplorare come la personalità delle rispettive madri abbia giocato un ruolo fondamentale nella formazione non solo psicologica, ma anche culturale, dei nostri autori: la preponderante influenza che Adele Lehr e Susanna Colussi hanno avuto sui loro figli è assolutamente innegabile e, sebbene in maniera assai diversa e con risultati opposti sulla psiche dei due scrittori, entrambe hanno fortemente condizionato la loro evoluzione umana ed artistica; non dobbiamo di certo sottovalutare né tanto meno minimizzare il ruolo che le evidenti pecche, le innegabili virtù, e certamente pure le grandi aspirazioni delle due donne hanno avuto nel processo di formazione dei due figli.

Le figure di Adele Lehr e Susanna Colussi, sebbene vengano tratteggiate assai diversamente dai due figli scrittori, combaciano sotto svariati punti di vista e presentano, proprio come i loro figli, delle palesi somiglianze biografiche: un vissuto assai simile, ma al contempo dagli esiti diametralmente opposti. Infatti nonostante Adele fosse di origini magiare e Susanna fosse invece originaria del Friuli contadino e nutrissero idee radicalmente diverse sulla autentica cultura italiana18 e sulla modalità della sua trasmissione alle menti più giovani, esse erano entrambe insegnanti, due donne che vivevano il loro lavoro non tanto come un dovere, quanto come una vocazione. Constatato questo palese, e al contempo fondamentale, punto di comunanza, le somiglianze biografiche non si fermano certo qui: difatti altro elemento importantissimo della loro vita è la modalità (e le ragioni) che stanno alla base dei loro matrimoni. Superata un'età in cui era ritenuto sconveniente rimanere nubili, lasciatasi alle spalle una storia d'amore non completamente dimenticata19, entrambe si sposarono con degli uomini che, solo in apparenza, appartenevano a un ceto sociale più alto del loro, visto che Francesco Ippolito Gadda e Carlo Alberto Pasolini per tutte le loro vite furono sempre travagliati da difficoltà economiche. Francesco Ippolito non si rivelò mai all'altezza dello spirito imprenditoriale dimostrato da tutti i suoi parenti e s'imbarcò in degli affari a dir poco fallimentari, Carlo Alberto d'altro canto era il figlio ribelle d'un conte che, a causa dei debiti di gioco, aveva lasciato la famiglia in una situazione economica complessa; il figlio per di più assieme ai nobili natali, ne aveva pure ereditato la ludopatia20.

Sebbene quindi i matrimoni avessero delle origini simili, certo furono assai diversi i loro esiti: a causa della prematura morte del marito, quello di Adele fu breve, ma felice (ella benché esternasse una certa invidia per i risultati degli altri Gadda, allo stesso tempo tuttavia vedeva in suo marito la colonna portante della famiglia21); l'unione tra Susanna e Carlo Alberto fu invece lunga e travagliata. A causa dei suoi impegni con l'esercito, egli era spesso lontano (sia in tempo di pace che di guerra, visto che finì prigioniero in Kenya durante la Seconda guerra mondiale), ma anche quando egli si ritrovò a convivere con la famiglia, non smise nemmeno allora di essere un peso, in quanto negli anni aveva sviluppato una grave forma di alcolismo22. Del resto, Enzo Siciliano testimonia un'unione malata fin dalle origini, quando Carlo Alberto avrebbe forzato Susanna a sposarlo anche avvalendosi della sua impetuosità sessuale23. Nico Naldini invece afferma che Carlo Alberto avrebbe tentato di accattivarsi l'affetto di Susanna spendendo gli ultimi resti della fortuna familiare in svariati regali, soprattutto in gioielli, che si scopriranno, dopo svariati anni, delle imitazioni di scarso valore24.

Sia Adele che Susanna si trovarono a un certo punto della loro esistenza schiacciate dalle avversità: la prima, ormai vedova, visse come ostracizzata tra i parenti del marito defunto, la seconda invece fu costretta a vivere un matrimonio infelice accanto a un uomo che disprezzava apertamente. Sole ed inascoltate, proprio come delle novelle Medee, esse videro nei loro figli gli unici mezzi tramite cui ottenere una rivalsa contro un “giasoneo destino” che le aveva prima utilizzate e poi messe da parte: le due madri non si limitarono quindi a indirizzare gli interessi dei propri figli, ma fecero anche tutto il possibile per plasmare le personalità dei due futuri scrittori sulla spinta delle loro frustrazioni: pur di raggiungere un'agognata rivincita sulla sorte, furono pronte a sacrificare l'identità e la felicità dei figli.


Carlo Emilio ed Adele

Orfano di padre all'età di quindici anni25, Carlo Emilio Gadda, agli occhi della madre, avrebbe dovuto colmare il vuoto lasciato dal marito e, sempre nei piani di lei, calarsi nei panni di un perfetto capofamiglia borghese. Non paga di avergli imposto di laurearsi al Politecnico di Milano, lo forzò anche a partecipare al suo assurdo culto della memoria del defunto marito. Apertamente disprezzata dai suoi facoltosi parenti acquisiti, Adele desiderava che Carlo Emilio (e in minor misura i due figli minori) fosse il perfetto strumento della sua “vendetta”: la maestra dileggiata per via del suo ceto avrebbe cresciuto un Gadda purosangue, perfettamente integrato nel contesto borghese che non l'aveva mai accettata. L'ammissione dei figli nella società “alta” e il mantenimento della villa in Brianza le avrebbero quindi garantito le soddisfazioni di cui lei, direttamente, non aveva mai potuto godere appieno. Ma Gadda non era di certo un uomo-abbozzo sveviano, tutt'altro: egli era più un uomo-gnommero e, come tale, non riuscì mai ad adattarsi all'ipocrita mondo borghese a cui sua madre voleva costringerlo: gli aspetti che in gioventù sembrava apprezzare del ceto paterno consistevano soltanto in trasognate vanaglorie nobiliari, frutto d'una spiccata ingenuità infantile e adolescenziale. Il giovanissimo Gadda ama riferirsi a se stesso come “il duca di Sant'Aquila”, adora studiare i commentarii di Cesare26 e fantasticare sulle proprie future avventure (tali aspettative infantili lo spingeranno poi a parlare di se stesso anche in terza persona quando stilerà i suoi quaderni di guerra27). I panni del tipico borghese vanno stretti a Gadda e presto egli ne diventerà il più feroce critico, sputando bile sui ridicoli usi e costumi della borghesia.

Fin quando però la madre sarà in vita, egli, più nolente che volente, interpreterà sempre la parte impostagli dall'alto: l'ingegneria venne sempre anteposta a tutto e l'adorata letteratura ritenuta un'attività secondaria, quasi da nascondere agli sguardi esterni: difatti in quegli anni Gadda non si laureerà in Filosofia, sebbene avesse già pronta la tesi su Leibniz e lascerà alcuni scritti nel cassetto, per poi pubblicarli svariati anni dopo (mi riferisco ad opere come La meccanica e la Meditazione milanese28). Un atteggiamento così singolare verso la propria scrittura può essere motivato da svariate concause: prima tra tutte l'aspirazione materna che lo spingeva ad essere un esponente serio e rispettabile del mondo borghese, ma, conoscendo la complessità della psiche gaddiana, possiamo anche pensare che il senso di colpa abbia avuto un importante ruolo in questi suoi comportamenti così anomali: l'inadeguatezza sofferta da Carlo Emilio a causa delle altissime aspettative familiari doveva senz'altro averlo segnato. Tale afflizione non poteva che accentuarsi a seguito della morte del fratello, il quale, anche secondo l'opinione di Gadda stesso, sarebbe stato perfetto a svolgere il ruolo del realizzato capofamiglia borghese; certo non si poteva dire lo stesso del fratello maggiore. Ma proprio a quest'ultimo, per un puro scherzo del destino, era toccato l'onere di riempire il vuoto lasciato dal padre.

Con i suoi svariati viaggi di lavoro (i quali ebbero come destinazione la Sardegna, il Belgio, la Germania e perfino l'Argentina) Gadda tentò in svariate occasioni di allontanarsi dalle pressanti responsabilità lombarde, però è inutile dire come, non appena fosse “libero” da ogni legame familiare, cominciasse subito a provare un'accentuata nostalgia della sua Lombardia e di tutte le persone, solitamente dileggiate, a essa correlate. Prima tra tutte, la sua tanto adorata, e al contempo detestata, madre29.

La fuga dalle aspettative materne è quindi impossibile e, anche quando Adele sarà ormai defunta, Gadda non riuscirà mai a sentirsi completamente libero dai soliti obblighi morali e dal terribile senso di colpa: prova ne è senz'altro La cenere delle battaglie, un racconto datato 1951, raccolto ne Gli accoppiamenti giudiziosi, che ha quindi visto la luce ben quindici anni dopo la morte di Adele Lehr. In tale testo vediamo contrapposto Eucarpio Vanzaghi, patriarca borghese che trascorre un'agiata vita in una città “industre”, a Prosdocimo, il quale invece ha abbandonato la citata città assieme ad un lavoro remunerativo, per potersi occupare di alcune sue insulse quisquilie. Eucarpio incarna il modello di uomo che Adele avrebbe voluto per suo figlio: brillante nella sua mediocrità, contornato da una numerosissima famiglia di cui conosce a malapena i componenti, ma da cui si aspetta – e quasi pretende – incondizionato rispetto; una personalità le cui qualità sono attestate dall'orologio d'oro al polso e dalla sanissima appendice che si è fatto asportare solo per dimostrare a tutti di essere un uomo moderno e all'avanguardia. Prosdocimo invece è il modello d'uomo che a Gadda è capitato d'essere: un tipetto schivo e misantropo, nevrotico e afflitto da ricorrenti dolori di stomaco, il quale ha abbandonato da tempo l'idea di ammogliarsi e di metter su famiglia per ritirarsi nella solitudine di una misera soffitta: insomma, un povero pazzo. Così almeno lo definisce Eucarpio, uomo di cui abbiamo potuto apprezzare la comprovata perspicacia.

Il racconto narra dell'ultimo colloquio avuto tra i due, in cui il rispettabile borghese tenta di far tornare lo scriteriato amico sulla retta via; dall'altezza della sua insindacabile saggezza, egli non ammette ragioni che differiscano, anche solo minimamente, dal modus cogitandi della sua irreprensibile casta. La sequela di offese, mascherate da solleciti consigli che Eucarpio riserva a Prosdocimo, raggiunge il suo culmine quando gli rinfaccia di essere un “anomalo psichico”:

[Eucarpio a Prosdocimo] Gli disse: “Vergognati. Quello che stai combinando non lo so, non mi risulta: e non m'interessa di saperlo. So, comunque, che non è degno di un uomo,” così disse: “che non è degno del mio amico, del mio vecchio compagno. Consumi gli ultimi risparmi, e gli ultimi anni, senza concluder nulla. Morirai nella neve. I miei aiuti non possono continuare all'infinito. Il tuo contegno è quello di un demente. La tua anomalia psichica, che è indiscutibile...”

“Perché indiscutibile?...” chiese tristemente Prosdocimo.

“Perché sì. Lasciami dire. La tua anomalia psichica, dicevo, non interrompermi!, ti serve magnificamente a pretesto per gabbare il prossimo...”

“Una causa vera non può essere un pretesto...”

“È vera, ma è anche un pretesto. Tu sfrutti il tuo male per gabbare il mondo: per farti beffe di tutti...”

“Gabbare il mo...? E come, e chi ho mai gabbato?...”

Cercò invano, per entro lo strazio della sua memoria, un qualche cosa che si potesse chiamare aver gabbato qualcheduno.

“Hai gabbato un po' tutti: hai deluso tutti. Tutte le persone serie. Tutti quelli che t'hanno conceduto la loro stima: che avevano ragione di aspettarsi, in cambio, qualche cosa da te... e oggi se ne pentono!...”

“Male, se aspettavano,” ebbe la faccia di rispondere. “Io non aspetto niente da loro. Ho le ossa rotte... non sono responsabile della loro... serietà...” E guardò fuori. Scheletri di generalizie case apparivano, folgorate, sul sempiterno sfondo del colle: una torricella stupenda, in stile floreale, era il cacatoio dei colombi. Eucarpio guardò lui: s'infuriò. Tanta insolenza, davvero, passava il segno del credibile30.

Finita la discussione tra i due ormai ex-amici, Prosdocimo compra dugentocinquantasei lire di cognac, se le scola da solo e poi reagisce nell'unico modo che conosce: dando sfogo alla sua autodistruttiva scrittura:

Allora si risovvenne del cognac: lo tracannò d'un fiato, a garganella, come dal poppatoio un bambinaccio. Sedé al tavolo, accese la lampada: si diede una fregatina di mani: principiò a canterellare, tonitruando, mentre abbadava a riempir la penna malvagia: “Anomalo psichico, anomalo psichico...”

Tra le ceneri delle battaglie lontane31.

Gadda difatti non riuscirà mai a staccarsi dalla adorata letteratura, unica autentica soddisfazione della sua intera vita: essa difatti non è solamente l'espediente tramite il quale riesce a rapportarsi – più o meno funzionalmente – a degli animi affini, ma è anche l'unico strumento a sua disposizione tramite cui riesce ad aprirsi e a esprimere i sentimenti che giacciono intrappolati in quel coacervo di pulsioni che è il suo cuore. La scrittura di Gadda è sì universale e descrive le bizzarrie di interi ceti sociali (L'Adalgisa), oppure addirittura i comportamenti folli e viscerali di un intero popolo (Eros e Priapo), ma è indubitabile che essa – più o meno apertamente – presenta sempre una spiccatissima natura biografica. E quando Gadda scrive di sé, non si pone gli stessi problemi di quando parla di sé; tutt'altro: nelle sue pagine lascia conflagrare le sue rabbie che troppo spesso vengono represse nella vita di tutti i giorni a causa della sua innata timidezza, dà sfogo al più pungente e feroce dei sarcasmi e, soprattutto, esprime i suoi più reconditi sentimenti con una schiettezza che ha quasi dell'inverosimile. La cognizione del dolore è senz'alcun dubbio l'esempio più palese di questo consolidato modus operandi; non è certamente un caso che Gadda abbia cominciato a lavorarci subito dopo la morte della madre e la vendita della tanto odiata villa in Brianza. Lasciatesi alle spalle le due fredde “spoglie”, quella della madre appena morta e quella della famiglia da tempo ormai decaduta, Gadda riesce finalmente a dedicarsi alla sua passione con una crescente dedizione e decide di avviare questa trasformazione scrivendo proprio di colei che gli aveva sempre intimato di desistere dalla scrittura. Quindi La cognizione del dolore non è soltanto un capolavoro letterario, ma è anche un raffinatissimo, quanto spietato, autoritratto emotivo e psicologico, una confessione da cui noi lettori possiamo intravedere la valenza edipica alla base del loro contorto rapporto. Dopotutto non dobbiamo certo sorprenderci: Carlo Emilio Gadda non ha mai nascosto i suoi debiti coll'arte psicoanalitica, anzi, sotto certi aspetti si rappresenta come un autentico precursore tra i letterati del nostro paese:

[...] fenomeni«proibitissimi dal fascismo...venuti dal di fuori... “esterofilo”: parola cara al duce, carica di condanna...»[...] «Quando molti ritenevano l'idea volgare che Freud fosse un pervertito... e neanche a parlare di Breuer, Charcot....»[...] «A proposito di psicanalisi devo dire che mi sono avvicinato ad essa negli anni fiorentini dal '26 al '40 quando l'insieme delle dottrine e delle ricerche di questa grande componente della cultura moderna era visto popolarmente come operazione diabolica e quasi infame, per la crassa opaca ignoranza di molti grossi tromboni della moraloneria e della cultura ufficiale dell'epoca»32.

La veridicità della descrizione del rapporto figlio/madre nella Cognizione è confermata anche dai parenti: la sorella di Gadda medesimo, Clara, conferma in un'intervista l'inequivocabile somiglianza che lega “la fantasia” del romanzo alla realtà familiare:


Speaker: Lei li ha letti, i libri di suo fratello?

Clara Ambrosi: Sì, quasi tutti.

Speaker: E come li giudica? Li trova difficili?

Clara ambrosi: Eh, un poco sì.

Speaker: E qual è il libro che preferisce?

Clara Ambrosi: Forse La cognizione del dolore.

Speaker: Lei riconosce i luoghi e i personaggi del romanzo?

Clara Ambrosi: Sì.

Speaker: E i rapporti, per esempio, tra la madre e il figlio del romanzo assomigliano veramente ai rapporti tra suo fratello e sua madre, oppure no?

Clara Ambrosi: Sì, assomigliano33.


Emblematica la risposta di Carlo Emilio Gadda all'ultima delle domande di quella medesima intervista, che, è bene precisare, ha avuto luogo il 5 maggio 1972; quindi soltanto un anno prima della morte dello scrittore:


Speaker: E nella sua vita, qual è la persona che ha contato di più?

Gadda: Questa è una domanda molto difficile... Mia madre.

Speaker: Perché?

Gadda: Mi si polverizza la memoria...34


Pier Paolo e Susanna

Pasolini ha sempre palesato il profondo affetto che nutriva per la madre, sia nelle sue interviste sia, ancor di più, nelle sue opere: in alcune di esse idealizza la figura materna fino ad associarla a personalità che trasudano santità (due perfetti esempi di ciò sono Teorema, in cui ella interpreta una santona, e Il Vangelo secondo Matteo, in cui viene scelta dal figlio per interpretare addirittura il ruolo della Madonna), in altre Pasolini non si trattiene dall'esplicitare, anche in maniera assai palese e violenta, le proprie pulsioni edipico-erotiche che contraddistinguono l'inconfessabile subconscio del rapporto (ne sono esempio fin troppo evidente alcune celebri quanto disturbanti pagine di Petrolio).

Dal canto suo, Susanna, ritrovatasi intrappolata in un matrimonio infelice e privata del figlio Guido, morto in tragiche circostanze, alimenta (più o meno inconsciamente) gli aspetti ambivalenti del rapporto con Pier Paolo, riversando su di lui l'interezza del suo affetto e delle sue attenzioni. L'origine di questa loro reciproca adorazione ha però radici lontane, di molto precedenti al periodo in cui Pier Paolo diventa scrittore; riconoscendo l'innato talento di suo figlio, Susanna sprona il figlio a migliorarsi e alimenta le sue inclinazioni naturali: tali sforzi non sono però finalizzati solo alla gratificazione del fanciullo, ma anche a quella della madre, che vede in lui un mezzo con cui ottenere il successo che le è stato precluso in gioventù. Susanna fagocita il bimbo Pasolini per poterlo trasformare in una parte di sé, in un suo doppione-strumento tramite cui ottenere una rivalsa su una disastrosa situazione familiare che le aveva impedito di brillare.

Pasolini viene ricordato fin da bambino come uno studente modello, desideroso che sua madre fosse sempre partecipe dei suoi successi scolastici:

«Ho dei ricordi gloriosi. Ogni mese distribuivano le medaglie ai più bravi. Mi ricordo un meraviglioso fiocco verde. Tornavo a casa di corsa. Vedevo mia madre alla finestra e le indicavo col dito il fiocco sul petto»35.

Anche negli anni della maturità le reazioni legate ai suoi successi rimarranno sempre palesemente finalizzate ad attirare le attenzioni materne; è sufficiente ricordare che Pasolini, sebbene dedichi pubblicamente Poesie a Casarsa al padre, quattro giorni prima dell'uscita della raccolta dichiarò in una lettera a Serra: «Io sono poeta per lei»36. – riferendosi ovviamente a Susanna, madre-modello. Dopo tutto ad averlo spinto alla letteratura era stata proprio lei, la madre, e certamente non il padre, un prosaico fascista ancorato a un'idea di letteratura assai retorica37. Enzo Siciliano ci testimonia che Susanna aveva mostrato in gioventù di possedere una certa verve letteraria38, che si sarebbe manifestata nuovamente dopo la morte di Pier Paolo. Fin dalla gioventù di quest'ultimo, Susanna aveva l'abitudine di inventargli e narrargli storie e racconti, i quali dovevano certamente esser assai presi sul serio dal ragazzino, visto che ben presto le aveva chiesto di dedicargli una poesia. La madre iniziò tale compito con gioia, ma non riuscì mai a portarlo a compimento. Ricordando quei tempi, Pasolini afferma che sua madre per lui era come Socrate39. Probabilmente ispirato da lei, Pasolini scrive i suoi primi piccoli esperimenti poetici: colei che lo ha indirizzato su questa strada è al tempo stesso il soggetto delle precoci esperienze poetiche40.

La decisione di intraprendere la carriera d'insegnante è un'ovvia prova dello spirito di emulazione che animava Pasolini, ma non dobbiamo certo dimenticarci l'idealismo quasi volontaristico che lo spinse a intraprendere le sue prime vere esperienze di educatore: insieme a Giovanna Bemporad, accolse a Casarsa alcuni alunni a cui era impossibile per via della guerra raggiungere le scuole a Udine o a Pordenone e tenne loro (quasi) gratuitamente41 delle lezioni non solo sui classici greci, latini e italiani, ma anche sulla poesia in dialetto friulano. Una tale idealizzazione del ruolo dell'insegnante doveva senz'altro essere il prodotto indiretto di una mitizzazione ancor più radicata nella mente del giovane Pasolini: quella dell'adorata madre.

In questo periodo capita spesso al poeta friulano di avere discussioni di natura intellettuale con Giovanna e, visto il profondo e crescente interesse da lui nutrito per Leopardi, Pasolini tocca spesso l'argomento della morte. Infatti Susanna sta invecchiando davanti allo sguardo impotente di Pier Paolo ed egli non sa accettarlo: la inevitabile morte della madre è uno spunto foriero di riflessioni e di tormenti:

« “Altissimo è il senso della morte quando penso con affetto a mia madre.” Il tempo è passato, Susanna non è più giovanissima: “Che senso di morte io sento dentro di me, segnare tutte le ore! Sento tutte le ore che ho perduto; sopratutto il mio immenso amore di fanciullo per lei. Ho paura che muoia. Il mio amore è divenuto tutto pietà...”»42.

Anche il primo stile di Pasolini, stimolato dall'amore-nostalgia che egli prova così istintivamente per quel caldo dialetto friulano da lui stesso definito “lingua non sua, ma materna”, dev'essere stato senz'altro in parte condizionato dalle origini contadine di Susanna, dal dolce e al contempo morboso amore provato dal poeta per lei, e da ciò che il suo dialetto rappresenta in chiave ideologica:

Comunque egli [Pasolini] si trovava in presenza di una lingua da cui era distinto: una lingua non sua, ma materna, non sua, ma parlata da coloro che egli amava con dolcezza e violenza, torbidamente e candidamente: il suo regresso da una lingua a un'altra – anteriore e infinitamente più pura – era un regresso lungo i gradi dell'essere43.

Il saggio da cui deriva quest'ultima citazione è datato 1951, ma in queste parole (riferite sì ad uno stile di scrittura, ma non solo) si intravede già quello che sarà poi un Leitmotiv ricorrente in Pasolini: il desiderio di ritornare all'utero materno. La lingua-dialetto è rappresentata infatti come un'entità idealizzata, da cui il poeta proviene e con cui vorrebbe riconciliarsi, in cui vorrebbe perdersi, in nome di quella ingenuità, di quella beatitudine ancestrale, misteriosa e nullificante.

Una prova di quanto tale desiderio sia radicato in Pasolini è rilevabile nel finale del suo Edipo re, film che lo scrittore girerà ben 16 anni dopo la redazione dell'articolo sopracitato.

Nella versione pasoliniana Edipo troverà la morte e la conseguente pace nei pressi del prato dove era stato partorito dalla madre, dove egli l'aveva vista per la prima volta. Le sue ultime parole sono fin troppo rivelatrici: «O luce, che non vedevo più, che prima eri in qualche modo mia, ora mi illumini per l'ultima volta. Sono giunto. La vita finisce dove comincia». Gli occhi di Edipo da vivo sono ciechi, presto con la morte torneranno a vedere: si tratta di un'autentica nascita al contrario.

Significato e significante sono tutt'uno per Pasolini, così come letteratura e vita; ed essi sono sempre stati pesantemente condizionati dal suo rapporto con la madre. Questo nesso sarà valido sia per il periodo dialettale friulano che per il resto degli anni, fino alla tragica morte.

Questo fortissimo legame con Susanna emerge in tutta la sua evidenza quando Pasolini, a seguito dei fatti di Ramuscello e dello scandalo da essi scaturito, perse la possibilità di insegnare e nel 1950 si vide costretto a trovar rifugio a Roma. L'unica che lo seguirà in questa specie di forzato esilio sarà ovviamente Susanna, la quale, sebbene avesse quasi sessant'anni, s'improvviserà cameriera pur di contribuire alla precaria situazione economica del figlio44.

Susanna e Pier Paolo si erano lasciati indietro “il capo famiglia” Carlo Alberto e avrebbero vissuto per più di un anno soli sotto lo stesso tetto, quasi ad imitare una paradossale vita di coppia45.

Quando finalmente giungerà la notorietà artistica, seguita poi dal successo e infine dalla vera e propria fama, Pasolini si vide costretto a viaggiare per tutta l'Italia e in seguito per il mondo intero. Questa lontananza dalla madre è però solo apparente; l'indissolubile cordone ombelicale che unisce madre e figlio si dimostra resistente anche alle più grandi lontananze: la corrispondenza epistolare tra i due rimarrà infatti sempre fittissima e nelle lettere del figlio abbondano costantemente vezzeggiativi e nomignoli, più consoni ad una fidanzata che a una madre46, e in esse si rivela inoltre la costante apprensione che Pier Paolo prova per la salute di Susanna.

Divenuto un personaggio fin troppo pubblico, Pasolini in quegli anni si vedrà affibbiata – più o meno ironicamente – la nomea di “mammone”, insieme a quella infamante di criminale, di corruttore di giovani e di malato mentale. In questo lungo periodo di continui allontanamenti forzati dalla madre, Pasolini comincia anche a riflettere in modo approfondito sulla duplice natura del ruolo che Susanna ha involontariamente svolto e si rende conto dell'eccessiva influenza che ha avuto su di lui. Già nel 1962, quando era ancora agli inizi della sua carriera di regista, Pasolini, con la sua celebre Supplica a mia madre, esplicita le conseguenze dell'amore morboso che egli prova per lei; addirittura la sua omosessualità sarebbe il prodotto dell'amore per la madre, una passione tale da rendergli impossibile desiderare la compagnia di qualsiasi altra donna. Si rivela così un sentimento che lo rincuora e sgomenta allo stesso tempo, poiché da una parte gli fa apprezzare ogni momento vissuto assieme a lei e gliene fa desiderare ancora, dall'altra condanna il poeta a percepire la vita come l'infelice risultato di una congenita e inevitabile solitudine esistenziale:

[...]Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,

ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.

Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere:

è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

Sei insostituibile. Per questo è dannata

alla solitudine la vita che mi hai data.

E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame

d'amore, dell'amore di corpi senza anima.

Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu

sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

ho passato l'infanzia schiavo di questo senso

alto, irrimediabile, di un impegno immenso47.

La complessa relazione madre-figlio è certamente assimilabile a quel modello di rapporto descritto da Freud nella sua celebre Introduzione al narcisismo. Ritrovatasi ad allevare un figlio indiscutibilmente dotato dal punto di vista intellettuale, Susanna vede nelle qualità di lui un terreno fertile all'interno del quale instaurare un rapporto in cui entrambi, figlio e genitore, si adorano vicendevolmente. La sopravvalutazione di Susanna nei confronti di Pier Paolo diviene quindi un dato di fatto oggettivo e incontestabile ai suoi occhi: qualsiasi altra interpretazione che sottovaluti anche di poco la veridicità di tale deviata visione, viene ritenuta inconcepibile e faziosa, se non mossa addirittura dall'invidia. È interessante notare come Freud stesso affermi che tali distorte considerazioni possono ovviamente non solo comportare che il genitore dimentichi o copra ogni singola imperfezione del figlio, ma che allo stesso tempo egli possa anche non riconoscere – o addirittura negare a se stesso – ogni traccia di sessualità infantile naturalmente connaturata nel più o meno consapevole figlio48. Un elemento così tipico in questi generi di rapporti si rivelerebbe ovviamente interessante in una personalità come quella di Pasolini, visto che egli afferma di aver scoperto la propria omosessualità molto prematuramente, fin da quando era un bambino che osservava interessato gli incavi delle ginocchia degli altri ragazzi che giocavano a calcio49. Ci sarebbe da chiedersi se una madre come Susanna, del tutto votata alla realizzazione della componente intellettuale del figlio, potesse mai avere contezza delle sue precoci inclinazioni sessuali o piuttosto, come è più plausibile secondo l'ottica illustrata da Freud, ne facesse oggetto di negazione, in quanto atteggiamenti transitori durante una fase di crescita.

Freud continua la sua Introduzione affermando che il genitore narcisista desidera che suo figlio non sia limitato dagli stessi ostacoli posti dalla società che a lui hanno impedito di godere appieno della vita; qualsiasi mezzo che porti alla piena soddisfazione del fanciullo è quindi giustificato agli occhi del genitore:

La sorte del bambino dev'essere migliore di quella dei suoi genitori; egli non deve essere costretto a subire le necessità da cui, come i genitori sanno, la vita è dominata. Malattia, morte, rinuncia al godimento, restrizioni imposte alla volontà personale non devono valere per lui, le leggi della natura al pari di quelle della società devono essere abrogate in suo favore, egli deve davvero ridiventare il centro e il nocciolo del creato, quel “His Majesty the Baby”, che i genitori si sentivano un tempo50.

Questo profilo genitoriale sembra adattarsi perfettamente a quello di Susanna; una sola cosa differenzia la visione freudiana dalla realtà dei rapporti all'interno di casa Pasolini: i ruoli e le aspettative dei genitori sono infatti diversi da quelli delineati da Freud in chiave tradizionale:

«Il bambino deve appagare i sogni e i desideri irrealizzati dei suoi genitori: il maschio deve diventare un grand'uomo e un eroe in vece del padre, la femmina deve andar sposa a un principe in segno di riparazione tardiva per la madre»51.

Possiamo notare come la situazione familiare in casa Pasolini (tenendo conto del periodo storico di riferimento) sia da svariati punti di vista anomala: Susanna infatti, sebbene abbia vissuto una vita assai meno avventurosa di quella del marito e apparentemente sembri una figura molto passiva, incarna in realtà una personalità estremamente attiva nella quotidianità, soprattutto quando si parla dell'educazione dei suoi figli. Carlo Alberto invece, sotto questo aspetto, appare più passivo. È Susanna infatti che vuole che il figlio prediletto interpreti la parte del grand'uomo, del modello inarrivabile: è lei che vuole che egli si distingua sempre e comunque; addirittura quando egli si vedrà costretto a fare forzatamente coming out, ella lo seguirà fino a Roma, accettando la “particolare” (per allora) condizione del figlio senza battere ciglio. Ella non appare disorientata dalla innovativa vena artistica del figlio e tanto meno dalle sue propensioni in controtendenza con la realtà circostante. Carlo Alberto invece, sebbene sia un uomo d'azione e in gioventù abbia fatto dell'avventura il suo stile di vita, è un completo conformista e – almeno inizialmente – desidera che il figlio certamente si riscatti grazie alla letteratura, ma che lo faccia incarnando con la sua poesia e con la sua persona un ideale estremamente tradizionale di letterato; egli – nemmeno molto segretamente – desidererebbe avere come figlio un epigono di Carducci o di D'Annunzio, un intellettuale che sia in sintonia con la società del suo tempo, non in aperto contrasto con essa52. Inoltre il saggio di Freud presenta questa forma di narcisismo parentale in un'ottica di lotta contro Thanatos. Esattamente come nel mito, alla sconfitta di Prometeo segue la fine dell'età dell'oro umana; gli uomini a seguito della nascita di Pandora possono perseguire una parziale immortalità solo attraverso i figli:

Nel punto più vulnerabile del sistema narcisistico – l'immortalità dell'Io che la realtà mette radicalmente in forse – si ottiene sicurezza rifugiandosi nel bambino. L'amore parentale, così commovente e in fondo così infantile, non è altro che il narcisismo dei genitori tornato a nuova vita; tramutato in amore oggettuale, esso rivela senza infingimenti la sua antica natura53.

Purtroppo per Susanna quest'utopica illusione verrà violentemente troncata dalla morte di Pier Paolo a cui la donna sarà costretta a sopravvivere.


Eredità

Sebbene le relazioni di Gadda e Pasolini con le rispettive madri avessero una accentuata componente edipica (di cui entrambi i figli erano pienamente consapevoli) esse maturarono nel tempo in maniere assai diverse e produssero esiti diseguali. Difatti Pasolini, come abbiamo già potuto constatare, soprattutto dopo la drammatica fine di Guidalberto, diviene l'unico oggetto dell'affetto di Susanna ed egli risponde a tali attenzioni idealizzando la madre oltre misura. Tale idealizzazione è del tutto reciproca e Susanna afferma spesso come la sua intera vita giri intorno all'unico figlio rimastole:

La madre, rispondendo il 27 agosto 1950 [a una lettera del figlio], tra l'altro gli scrive: «Penso che tu ti sia messo a ridere a una frase della mia cartolina precedente a questa: – affronta tutte le cose con energia – dirai: da che pulpito viene la predica!... Però, pensandoci bene, non sono poi tanto debole, non ti pare? Tuttavia quel po' di forza che possiedo, come una piccola fiammella di candelina, mi viene da te. Io cammino sul tuo solco e ciò che mi tiene in vita mi viene da te»54.

Le dinamiche familiari della famiglia Gadda sono per certi versi simili, ma al contempo opposte: anche Carlo Emilio, a seguito della morte del fratello, diverrà “l'unico” parente vicino alla madre55, ma non riuscirà mai a canalizzarne l'affetto, anzi, il padre e il fratello saranno sempre primi nei pensieri d'Adele, anche quando ormai di loro non sarà già più rimasto niente se non tristi ricordi. Non accettando la perdita dei due cari, ella imprigionerà nel suo eterno lutto anche Carlo Alberto e sua sorella Clara, i quali a loro volta non riusciranno mai ad affrancarsi completamente da quelle ingombranti ombre, nemmeno quando anche la madre si sarà unita definitivamente ad esse.

Le due figure materne influenzarono pesantemente i figli scrittori anche dal punto di vista culturale e ideologico. In Pasolini la lingua non è quella standard imposta dallo Stato padre-padrone, ma il caldo dialetto frutto d'una materna realtà contadina; l'utilizzo di tale atipico, ma atavico, linguaggio non è soltanto un avvicinamento a un mondo idealizzato, ma anche un atto di rivalsa contro un sistema, una società, capace di fagocitare intere culture in nome dei disvalori economici.

L'amore per questa lingua è raffrontabile solo a quello che Pier Paolo prova per colei che per prima l'ha avvicinato a questo primigenio mondo. Anche quando egli ricorrerà alla lingua italiana (sia essa contaminata o no dal romanesco), Pasolini non scadrà mai in un linguaggio standard, magari soltanto di impronta letteraria, né tanto meno in quel sottoprodotto linguistico che si affermerà proprio negli anni del dopoguerra, cioè l'italiano televisivo; il poeta friulano, anche quando aprirà le sue opere a una ricezione più vasta rispetto a quella garantita dall'uso della “lenga furlana”, utilizzerà una lingua spontanea, in continua evoluzione, parlata per davvero da persone che abitano contesti tanto autentici quanto destabilizzanti per coloro che vorrebbero negare la loro problematica esistenza. Egli si farà quindi carico della lingua materna di altri, ma anche in questo caso la scrittura pasoliniana mostrerà di possedere per molto tempo un palese attaccamento agli stessi valori. La volontà di testimonianza trasmigrerà dalla poesia dialettale a quella in italiano, dal puro mondo contadino friulano a quello sporco e coatto delle realtà urbane della capitale.

La ricerca della cruda, ma pura, verità spesso trascende il medium di cui si serve.

«Una volta che venni in contatto col dialetto, esso inevitabilmente produsse i suoi effetti, sebbene inizialmente lo avessi adottato per ragioni puramente letterarie. Subito come cominciai a usarlo, capii che avevo sfiorato qualcosa di vivo e reale ed esso agì come un boomerang. Fu attraverso il friulano che arrivai a capire un po' del mondo reale contadino»56.

«Ubbidiente al canone del flaubertiano “sublime dal basso” invocato dal più acuto dei critici pascoliani, che frattanto Pasolini attuava scendendo con irreprensibile pulizia semplicemente sotto il livello umano, il Pasolini dei romanzi delle borgate si chiude rigorosamente entro un orizzonte di “monnezza”. Da notarsi che la conoscenza di questo cosmo depresso, di questo limite dell'umano è agevolata da glossarî perfettamente comparabili alle tavole lessicali allestite da Pascoli per la sua materia rustica garfagnina. È un distacco dalla norma, una divaricazione radicalmente affine a quella istituita dal dialetto...» (G. Contini)57.

«L'operazione mimetica è poi l'operazione che richiede le più abili e accanite ricerche stilistiche (data la necessaria contaminazione di linguaggi, quello del narratore e quello del personaggio, lingua e dialetto ecc.) … bisogna certo, lasciar parlare fisicamente, immediatamente le cose: ma per “lasciar parlare le cose” occorre “essere scrittori e anche perfino vistosamente scrittori”»58.

Anche quando intraprese la via dell'insegnamento nel tentativo di seguire le orme materne, Pasolini non vedeva certamente come suo unico fine l'insegnamento di un mero programma scolastico: egli tentava pure di iniziare i suoi studenti a una personale esperienza poetica e faceva tutto il possibile non solo per far sì che essi si riappropriassero della loro lingua natia, ma anche della loro identità culturale contadina, frutto di una realtà ancora apparentemente non toccata dal materialismo che sarebbe stato da lì a poco imperante.

I compiti scritti degli scolari sono vere esercitazioni di critica storica e stilistica condotte sui testi. Nel programma scolastico fanno una loro inusitata comparsa anche i poeti friulani studiati sull'antologia del Chiurlo, che susciteranno il disappunto degli esaminatori del ginnasio di Udine. Tutti gli scolari, una decina, sono trascinati da queste lezioni molto al di là dei programmi scolastici, fino al lieto fanatismo di diventare autori essi stessi, componendo poesie in italiano e in friulano, facendole leggere al loro maestro, inseguendolo nelle cose che lui stesso scrive e che vengono lette in classe alla pari con quelle dei ragazzi. Per tutti, maestro e allievi, è un apprendistato, in cui candidamente si sta formando l'“Academiuta di lenga furlana”. «I ragazzi accettarono da me con la necessaria suggestione i suggerimenti e le pressioni estetiche come fossero essenzialmente indubitabili: insomma trovarono lì la loro tradizione»59.

Sebbene in chiave laica, Pasolini ci appare quasi come un precursore di un altro famosissimo insegnante dei poveri e dei reietti: ci riferiamo ovviamente a Don Milani, il quale però, a differenza del poeta friulano, caratterizzava le sue lezioni nella parrocchia di Barbiana d'un maggiore pragmatismo, finalizzato sì a valorizzare la cultura popolare di partenza dei suoi alunni, ma al contempo, e soprattutto, a dotarli degli strumenti linguistici adatti e consoni al mondo industrializzato e sempre più moderno che si stava costruendo e da cui questi ragazzi erano drammaticamente esclusi:

«Perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende la espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli. [...] Diventare sovrani! Altro che medico o ingegnere»60.

Per quanto concerne Gadda, anche Adele Lehr ebbe su suo figlio un'influenza preponderante, ma quest'ultima fu soprattutto di natura psicologica, procurando in Carlo Emilio una infinita sequenza di traumi da cui egli non si riprese mai completamente. Questo però non vuol certo dire che la madre non lo abbia condizionato pure sotto un punto di vista prettamente culturale: ella, più involontariamente che volontariamente, stimolò in svariati modi le sue tendenze letterarie. Anche se nelle sue vene scorreva sangue magiaro, Adele seguì quasi dogmaticamente le tendenze culturali dei suoi tempi e fu una zelante sostenitrice del giovane regno dei Savoia, come certamente lo fu tutta la famiglia di Gadda61; ritenne sua premura trasmettere tali ideali di matrice risorgimentale alla prole, insegnandole, fin da un'età che a noi potrebbe apparire estremamente precoce, ad apprezzare una letteratura italica “alta e impegnata”:

La madre era «poco esperta alle fiabe con cui si chetano fascinandoli i bimbi e direi tutt'altro che incline a quei nursery rhymes e alle cantilene giocondamente rimate con cui le buone mamme e le ottime bambinaie si studiano addensare il sonno sulle palpebre ai nati. Le sole favole a cui in anni ulteriori ella m'invitò si accesero nel mio animo come stille di una gemmante rugiada, discese dall'autorità suasiva e dall'arte suprema di Jean de la Fontaine». […] «Mia madre secondò alle poche ore serene la lettura e la dizione di Fedro, mi dié a leggere (avevo sei anni) la finzione-verità dei primi canti di Dante subito acquisita come stupenda finzione, più tardi mi parlò di fatti anticamente manifesti nella storia d'Italia e delle Gallie»...62

Ma Adele non volle che il suo primogenito fosse amante e conoscitore della sola cultura italiana, ma, sicuramente spinta dalla sua professione d'insegnante di francese, volle iniziarlo anche alla letteratura d'Oltralpe. Tale prematura acculturazione ebbe notevoli risultati e Gadda mostrò sempre profondissimo interesse e rispetto per l'operato degli intellettuali francesi. A seconda dei casi li elogia mettendoli in rapporto contrastivo con la stagnante realtà culturale italiana; per Gadda la letteratura francese – e quindi, per proprietà transitiva, pure la Francia – è quasi un feticcio intoccabile, contro cui non è permesso muovere alcuna critica63. Grandissima è la sua ammirazione per gli storici francesi, di cui ammira, oltre alla grande tendenza al dettaglio, anche la propensione al pettegolezzo64. I Luigi di Francia, frutto delle sue fatiche come redattore radiofonico alla Rai, costituisce senz'alcun dubbio un'emulazione di questa modalità tipica della storiografia francese65.

Sebbene quindi le madri di Gadda e di Pasolini abbiano influenzato i figli in maniere estremamente diverse tra di loro, entrambe non solo li spinsero verso la scrittura, ma di essa forse furono le cause principali e fondanti: nel caso pasoliniano, Susanna spinse il figlio verso una scrittura con la quale poteva appagare anche il proprio anticonformismo, in modo tale da poter esprimere una, seppur indiretta, ribellione contro il marito, una rivalsa a tutti gli effetti; invece, nel caso di Gadda, il senso di colpa e l'inadeguatezza innescati in lui dalle “premure” di Adele (e dalle pianificazioni con cui ella voleva controllare la vita del figlio) ebbero un effetto contrario a quello da lei prefigurato e non fecero altro che spingere Carlo Emilio a maturare una crescente rabbia nei confronti delle ipocrisie borghesi proprie del mondo materno. Gadda probabilmente non riuscì mai ad affrancarsi dalla soggezione materna fin tanto che la madre fu in vita, ma certo prese la sua rivincita negli anni successivi scrivendo pagine su pagine contro il mondo tanto adorato e idealizzato da Adele: “El scior Pelegatta” è un doppione del marito di Adele, Francesco Ippolito66, “la Adelaide” de Gli accoppiamenti giudiziosi67 e la moglie insoddisfatta ed avvinazzata del marchese Pelegatta68, vogliono essere delle parodie della madre stessa. Anche La cognizione del dolore è ovviamente un perfetto esempio di questa tendenza a trasporre il dato autobiografico nella costruzione letteraria, ed è difatti il testo in cui Carlo Emilio mette più a nudo se stesso e l'immane importanza che il disfunzionale rapporto con la madre ha avuto sulla sua intera esistenza. La testardaggine materna a non voler vendere la villa in Brianza è un'ulteriore ossessiva tematica della Cognizione e l'edificio di per sé stesso diventa una macabra appendice della figura materna69. Certo però non dobbiamo dare per scontato che Adele avesse la completa responsabilità riguardo le difficoltà finanziarie in cui navigava la famiglia Gadda in seguito alla morte del padre. Infatti gran parte dei problemi economici di Gadda fu dovuta principalmente a Emilia Gadda, la sorellastra di primo letto, e al disastroso testamento di Francesco Ippolito. Quest'ultimo aveva stipulato un lascito che favorisse ogni componente della sua famiglia, fino a comprendere il risarcimento della controdote della prima moglie da corrispondere alla figlia Emilia. Pur di rispettare tali proibitive clausole, Adele e i suoi figli accumularono debiti con lei70. Il documento redatto in due fasi, la prima nel 1894, la seconda nel 1901, recitava così:

All'atto del mio decesso, di quanto si troverà di mia ragione dovrà essere ripartito in parti uguali fra mia moglie Adele Lehr, mia figlia Emilia ed i miei figli, nati e viventi e nascituri dalla nominata mia seconda moglie e cioè tutti per capo, salvo quanto segue: 1. Lego il mobiglio, biancheria, scorte ed effetti tutti alla mia moglie Adele Lehr avvertendo esser già in gran parte roba di sua proprietà. 2. A mia figlia Emilia spetta la controdote da me costituita a sua madre Emilia Ronchetti in L. 8000 (ottomila) giusta l'istrumento nuziale in atti D. Bolgeri, sulla quale controdote venne già liquidata la tassa. Il trapasso da pagarsi entro sei mesi dalla mia morte per cura e spese della mia figlia Emilia. Per i miei funebri nessun apparato, e la minima spesa. Questo e quanto retro dispongo la Dio mercé sano di mente e di corpo. Desidero che mia moglie in caso di bisogno per interesse suo e dei figli si consigli di preferenza con mio nipote Emilio Gadda.

Milano, 3 giugno 1894. Francesco Gadda

Milano 5 gennaio 1901. È mia volontà che a questo testamento sia fatta la seguente modificazione. Ai miei figli viventi della mia seconda moglie Adele Lehr lascio lire ottomila in compenso delle ottomila di controdote alla mia prima moglie che verrà ad avere la mia figlia Emilia. Dedotte dunque le due volte Ottomila, ossia L. 16.000, il resto sarà diviso come dal testamento qui sopra. I funerali da povero senza fiori.

Francesco Gadda71.

I Gadda riuscirono a ripagare il debito contratto con Emilia solo dopo il periodo argentino di Carlo Emilio, in cui egli guadagnò la somma necessaria per saldarlo. Ma questo avvenne dopo terribili anni in cui i familiari, pur di far fronte all'impegno, dovettero ipotecare perfino la villa72.

Se si confrontano la vera natura e l'origine dei debiti familiari con le accuse contro la madre e il risentimento verso di essa, a cui Gadda continuamente accenna, c'è da pensare che l'astio verso Adele non fosse tanto causato dalla mancata vendita della villa (cosa d'altronde impossibile, poiché a causa dell'ipoteca un evento del genere sarebbe stato economicamente disastroso), quanto piuttosto da irrisolti conflitti che avevano condizionato profondamente la psiche dello scrittore. Gadda non può ammettere apertamente di nutrire tali sentimenti per la madre, pena il senso di colpa, quindi utilizza dei fatti reali (la cui responsabilità in realtà sarebbe addossabile al padre) come pretesto per sfogare il suo risentimento nei confronti di Adele e la propria infelicità. Partendo da queste premesse psicologiche, possiamo guardare a La cognizione del dolore come a una vera e propria confessione, in cui gli elementi biografici sono trasferiti nella realtà letteraria. Anche gli elementi più visceralmente brucianti possono essere accettati e descritti in quanto vengono trasferiti su un personaggio che non è l'io dello scrittore, bensì Gonzalo.

In Pasolini la componente autobiografica è invece sempre evidente; sebbene egli non abbia mai scritto un'opera in cui lui e sua madre fossero i diretti protagonisti, egli non si pone alcun problema a rendere la sua vita accessibile a tutti, fino a raggiungere una autentica “nudità”, di carattere oblativo, fino al sacrificio. Purtroppo all'esito tragico della vita di Pier Paolo, che a tratti pare quasi ricercato, fa da contrappunto l'esistenza tragica di Susanna dopo la morte del figlio. Difatti, secondo la testimonianza di Nico Naldini73, la madre di Pasolini, venuta a conoscenza per caso tramite un quotidiano dei terribili e truculenti dettagli dell'assassinio del figlio, comincia a parlare di lui quasi come fosse un estraneo di cui compiange la morte violenta. Sempre secondo la testimonianza di Nico Naldini, Susanna non avrebbe mai più riaperto gli occhi; come Edipo si acceca dinanzi alla visione del cadavere appeso di Giocasta, così qui è Susanna ad assumere su di sé le stigmate di Edipo.

Note
  • 1

    Euripide 1982, p. 294 sgg.

  • 2

    Pasolini 2021, pp. 638-40: «[Roma], 11 febbraio 1950 Cara Silvana [Mauri], continuo la mia lettera di ieri, sempre più stranamente tranquillo. Il distacco improvviso dal mio mondo, mi ha isolato in un altro mondo che mi sembra vuoto e irreale. […] I romanzi che sto scrivendo sono tre. Non spaventarti. In questi ultimi mesi non ho fatto altro che scrivere, anche dieci ore al giorno. […] Infine c'è il romanzo su cui punto tutto: “La meglio gioventù”, che è molto diverso dagli altri due, è molto complesso: tanto per darti un'idea devi pensare a uno stranissimo incrocio – nel versante narrativo dostoiewskiano – tra Proust e Verga, non senza qualche elemento di quel linguaggio babilonico, eccentrico e composito che in Italia ha come magnifico esemplare C. E. Gadda».

    Ivi, p. 794: «[Lettera di Pasolini a Luciano Anceschi, 24 agosto 1953] Mio compagno in questa mia vacanza periferica è Penna: “assordito” dalla sua ossessione e sepolto sotto le rovine della sua persona, eppure misteriosamente terso. Vedo qualche volta anche il gran Gadda». Anche negli anni a seguire Pasolini manifesterà sempre il suo profondo rispetto per lo scrittore lombardo.

  • 3

    Bertolucci-Sereni 1994, p. 172.

  • 4

    Pasolini 1986, pp. 578-79: «Sono sempre più disperatamente ingolfato nel lavoro, tanto che mi sto prendendo uno di quegli “esaurimenti” che ho sempre tanto disprezzato, dallʼalto della mia salute, negli altri. Cʼè lʼantologia, ci sono gli articoli per il Giovedì; nuovi impegni per Paragone, due o tre pezzi per la radio (tra cui un racconto, che mi fa impazzire), e adesso si profila anche unʼaltra cosa (in altri tempi meravigliosa) cioè la sceneggiatura in collaborazione con Gadda di racconti del Bandello...»

  • 5

    Ivi, p. 535: «Lasciato un po' in disparte, tradito, Penna, sono ora molto amico di Caproni e Bertolucci […] e, benché con assai meno frequentazione, di Gadda (che ha in programma, con la buona stagione, una serie di visite alla periferia, con la mia casa arabo-italica di Ponte Mammolo come base, per condurre a termine il Pasticciaccio)».

    Siciliano 1978, p. 173.

  • 6

    Pasolini 1986, p. 618: «[25 novembre 1953] Gentile Seroni, sono settimane che le devo scrivere: è per Gadda, che non ha sentito il mio pezzo all'Approdo, e vorrebbe leggerlo; io non ne ho copia perché nel ricopiarlo ho messo a rovescio la carta carbone… Potrebbe provvedere lei?»

    Ivi, p. 629: «[12 gennaio 1954] [...] Se non ha ancora spedito a Gadda quella mia conversazione, meglio: la spedisca direttamente a me, se ha un momento di tempo, che vorrei rileggerla... Molti cordiali saluti dal suo Pier Paolo Pasolini».

  • 7

    Pasolini 1977, pp. 309-14: «Non ci sembra sproporzionato tener presente dietro il primo piano di questo grandissimo scrittore ch'è Gadda, l'intero paesaggio storico della prosa italiana. I problemi che la sua lingua propone sulla pagina non vi si esauriscono: tendono a divenire generali. Non si può pensare a Gadda senza pensare a tutto il Novecento letterario italiano, né a questo senza il particolare Ottocento che lo contiene in potenza. […] Gadda al tempo stesso appartiene pienamente e appartiene poco al nostro Novecento: forse il suo curriculum potrebbe fornirne le spiegazioni psicologiche e le determinanti circostanze: ma è un fatto che ci sono delle differenze sostanziali tra la sua “prosa d'arte” e quella dei suoi contemporanei. […] Pur rovesciando il rapporto per definizione realistico, egli corona nel Novecento il realismo verghiano; dà respiro “nazionale” al libellismo filologico e scapigliato, prodotto un po' provinciale del romanticismo; e attua in concreto, per mezzo del suo portentoso macchinario linguistico, la sua “ipertassi” (se possiamo, per simpatia, coniare questo nuovo vocabolo), le teorie dell'Ascoli in polemica col Manzoni teorico. Visto così, un po' forestiero al giro linguistico del suo tempo, in una più assoluta gerarchia storica, Gadda può dunque apparire un autentico “classico”: tanto che di certi suoi pezzi da antologia si potrebbe dire, proprio con una frase – che lo Schiaffini citandola chiama stupenda – inventata dall'Ascoli per il Manzoni, che sono stati scritti “con l'infinita potenza di una mano che non pare avere nervi.»

  • 8

    Pasolini 1988, p. 51: «[Lettera di Fortini indirizzata a Pasolini del 5 aprile 1955] [...] La sola cosa che mi sorprende un po' è la presenza di Gadda; non per la sua qualità di scrittore, naturalmente, che è fuori discussione, ma per il carattere, per gli armonici, direi, che evoca la sua prosa e il suo nome. È un tipo di patronato che non mi persuade troppo, per esser sinceri».


    Naldini 2014, p. 225: «La insuperabile problematicità della collaborazione di Gadda – che francamente pare quasi incredibile e assurda – pone (anche perché in tutte le cose umane c'è un limite alla capacità di assillo, preoccupazione, aspettazione) il problema di come rinunciarvi a malincuore o quanto meno poter nell'occorrenza sostituirla non male». Queste sono le parole con cui Leonetti, in una lettera del 19 dicembre 1955, descrive esasperato la collaborazione gaddiana.

  • 9

    Proverbiale è uno scambio di lettere tra Pasolini e i redattori della rivista, in cui consiglia a Leonetti e Roversi di comprarsi l'affetto di Gadda regalandogli del vino. Pasolini 1988, p. 115: «[...]Quanto a Gadda sarà un problema, perché è immerso nei suoi soliti pasticci, mandategli un regalo (qualche bottiglia di lambrusco e un libro...) che mi preceda nella richiesta...»

    Ibidem: «[risposta datata 8 settembre 1955] [...]A Gadda mandiamo il vino (un generoso sorbara, non contaminato da oste maligno); ma il nostro grosso e ineffabile amico deve subito spedire le sue pagine». Pasolini, alla lunga incapace di giustificare i ritardi di Gadda, tende a minimizzarli con l'umorismo.

    Ivi, p. 164: «[...] Gadda si è fatto vivo? Se no, sappiatemelo dire immediatamente, che salgo a Monte Mario armato».

  • 10

    Fin dall'inizio della collaborazione Gadda presenta delle atipiche richieste, come voler correggere da solo le proprie bozze e decidere – sempre da solo – il titolo del suo scritto in corso d'opera. Ivi, p. 48: «Carissimi, vi mando la prima puntata del “Libro” di Gadda. Il titolo che lui vuol darci “Autoerotia del Minchia” mi pare bello, anche se non come “Il libro delle furie”: quello che lui mi raccomanda è che vorrebbe correggersi le bozze da solo. Fate questa eccezione». Ivi, pp.50-51: «[...] Parlerò con Gadda del titolo; se lo cambia, bene, se no pazienza, in fondo anche “Autoerotia” è gaddiano (comunque io preferisco di molto, con voi, Le Furie)».

  • 11

    Ivi, pp. 275-76: «Carissimi, vivo da qualche giorno nell'angoscia per il bilancio. È veramente molto peggio di quanto mi aspettassi: che fare? Ditemelo  subito e chiaramente. Non so niente della torta di Parma cui mi accennate, né ho idea di cosa possa fare De Robertis se gli scrivo, come mi consigliate. L'unica soluzione che vedo è avere un poʼ di reclame, dataci da industriali mecenati: Olivetti, Barilla, Garzanti, Marchi. Dopotutto un poʼ di fogliettini verde pallido tra il grigio della copertina e il bianco sporco delle pagine non starebbero neanche male. Scrivetemi subito in proposito. (6 industriali a 10 000 lire l'uno pagherebbero quasi un numero). […] Inoltre, notizia folgorante: Calvino, visto a Torino, mi ha dato un suo romanzo breve I giovani del Po da pubblicarsi a puntate al posto di Gadda. Devo finire di leggerlo (i primi tre quarti sono estremamente interessanti e divertenti): ve lo spedirò fra due o tre giorni in modo da poter cominciare da questo numero. Vi abbraccio forte, con lacrime di angoscia e di speranza, vostro Pier Paolo».

  • 12

    Ivi, p. 340: «[Roma, 20 settembre 1957] Caro Nico, purtroppo per “Ruzzante” devo rispondere no; mi dispiace molto per il simpatico Monti. È un lavoro troppo lungo, e non ho assolutamente tempo. Per Gadda farò di tutto (e probabilmente, davanti alla grana, si convincerà: ma Garzanti?)»

  • 13

    Ivi, pp. 418-19.

  • 14

    Bonsanti-Gadda 2020, p. 248: «Noi “dialettali” attraversiamo un brutto periodo. Gli attacchi muovono dagli ambienti ben-pensanti per quanto malissimo parlanti nella loro cachettica monolingua del cavolo. Il quotidiano milanese, nella sua terza pagina, ospita Panfilo-Gentile critico letterario che vilipende Proust, e Virgilio Lilli ex-fascista che batte (2 e più volte in un articolo in taglio, 23 ottobre venerdì) sui romanzi pornografici in dialetto (Leggi: Testori, Pasolini, e forse Fenoglio, e forse me)».

    Ivi, p. 249: «Troppo mi annoiano, qui a Roma, con mille richieste, con piccole storie d'ogni genere. E molto mi ha amareggiato la campagna contro i dialetti e i libri pornogafici (Virgilio Lilli nel magno “Corriere” del 23 ottobre. Un somaro degno della greppia.), a cui sembra che anche il gruppo fiorentino (non tu, certo) consenta. I dialetti è un conto, la pornografia un altro: ed è piuttosto di alcuni lavori scritti, per modo di dire, in italiano».

  • 15

    Ivi, p. 270: «[Lettera datata 22 aprile 1963] [...] C'è infine Pier Paolo, ma io ormai ne ho un sacro terrore, dopo quanto ha voluto erogare alla presentazione del Pasticciaccio in sede Garzanti».

  • 16

    Pasolini 1988, p. 511: «[Aprile 1963] Caro Cases, Avevo deciso che la presentazione da Einaudi sarebbe stata il contrario esatto di quella da Garzanti. Ed era la minima trovata che potessi avere, dovendo fare due presentazioni a distanza di pochi giorni. Del resto l'avevo preannunciato, o fatto capire, nelle due parole di preambolo alla lettura. Quello che mi dispiace, non è il terrore di Gadda: ma la vostra rapidità nell'adeguarvi ad esso. Tanto più che, prima di correre a un così offensivo riparo, avevate un tentativo semplicissimo da fare: quello di sottoporre all'approvazione di Gadda il mio nuovo testo. Nello stato di angoscia e di “reiezione” in cui mi trovo in questi tempi, questo non ci voleva, e dubito che Lei, nel suo solido impianto morale di un operaio della Fiat, possa rendersene conto. Non sarebbe stato così sbrigativo. Comunque, grazie. Cordialmente, suo Pier Paolo Pasolini».

  • 17

    Pasolini 2021, p. 275: «Gadda è morto, e io sono pregato di farne un epicedio. Ho gli occhi asciutti, poco dolore. Probabilmente abbiamo avuto da lui tutto quello che dovevamo avere. E la sua morte ci mette anche in questo – nei suoi riguardi – la coscienza in pace. […] Questa sua mancanza del bisogno di altri, questa sua autosufficienza nella solitudine, e il suo bisogno, sconfinato, di solitudine, fanno sì che ora la sua morte non dia dolore, a nessuno: è questo un modo stupendo di morire. Non scomodare con faticosi pianti e sospiri parenti, amici e conoscenti. Togliere, letteralmente, il disturbo: che è stata l'aspirazione continua, affannosa e buffa di Gadda. Quando era vicino, presente, egli cercava di volatizzarsi, farsi piccino, sparire. La cosa era, appunto, buffa, in un uomo grosso come lui. Spesso, per attuare questa sua aspirazione, abbassava gli occhi; e se ne stava così, con le grosse palpebre chiuse, la bocca smorta, le mascelle cascanti, nel loro colore rossiccio dei golosi; magari con le mani intrecciate sopra la pancia. […]» In ogni frase di Gadda si può vedere un fulmineo compendio della storia linguistica – e quindi della storia tout court – d'Italia. C'è il Trecento, il Rinascimento, il barocco, il classicismo, il romanticismo e il Novecento: magari in sei righe. Ma lo spirito comico che presiede il giudizio che Gadda dà su di sé, presiede anche il giudizio che egli dà su tale storia: perché tutto è citato in funzione comica: lo stile sublime è attinto in pochi momenti, ma sempre con segnalazioni indubitabili di scetticismo, come un dovere ottemperato con tocchi di maestro, che lo fa con souplesse, tagliando corto subito: uno straziante intervento d'archi che subito si dilegua.


  • 18

    È rivelatore notare come le due si rapportino diversamente ai loro tempi:

    Cattaneo 1973, p. 94: «“La storia della mia famiglia è complicata e io solo potrei scriverla. C'è dentro il Risorgimento, la battaglia di Adua che mia madre sentì con dolore, da donna italiana. La mia infanzia è passata fra la musica della banda al Castello e le cartoline con le fotografie di Cavallotti”».

    Naldini 2014, p. 24: «Susanna è cattolica ma non praticante, anzi ha una manifesta insofferenza dell'untuosità religiosa […] Anche la sua avversione per la retorica politica è una delle cause che le rendono più difficile il rapporto col marito. A Belluno, durante una visita del re Vittorio Emanuele III, in mezzo a molta gente silenziosa e ostile, Susanna per dimostrare il suo antifascismo ha gridato: “Viva il Re!”»

  • 19

    Roscioni 1997, pp. 42-43. Roscioni in queste pagine scrive di una supposta delusione amorosa sofferta da Adele e da ella riportata sul suo personale zibaldone. Tale storia dovrebbe aver avuto luogo quattro anni e mezzo prima del matrimonio con Francesco Ippolito, in un periodo in cui Adele era “maestra aggiunta” nella Scuola Normale Inferiore di Castroreale, in Sicilia.

    Siciliano 1978, pp. 37-38: «Nei ricordi di famiglia, c'è un grande amore che la travolse, prima dell'incontro con Carlo Alberto: – un grande amore infelice (non si sa di che infelicità)».

    Naldini 2014, p. 24: «Negli anni di fidanzamento [Susanna] ha avuto un rapimento di cuore per un giovane impiegato di Casarsa, ma adesso, forse, è stato dimenticato».

  • 20

    Siciliano 1978, p. 34: «Il ragazzo [Carlo Alberto] aveva ereditato alcuni beni di famiglia, ma pare abbia dissipato tutto, – si parla di una irrefrenabile passione per il gioco».

  • 21

    Roscioni 1997, pp. 43-45.

  • 22

    Pasolini 1975: «Mio padre soffriva, ci faceva soffrire: odiava il mondo che aveva ridotto a due tre dati ossessivi e inconciliabili: era uno che batteva continuamente, disperatamente, la testa contro un muro. La sua agonia vera durò molti mesi: respirava a fatica, con un continuo lamento. Era malato di fegato, e sapeva che era grave, che solo un dito di vino gli faceva male, e ne beveva almeno due litri al giorno. Non si voleva curare, in nome della sua vita retorica. Non ci dava ascolto, a me e a mia madre, perché ci disprezzava. Una notte tornai a casa, appena in tempo per vederlo morire».

  • 23

    Siciliano 1978, p. 38: «Susanna nicchiava. Carlo Alberto insisteva. La sposò “per rapina”: -l'espressione si spiega col dire che Carlo Alberto forzò, con la sua irruenza anche sessuale, Susanna al matrimonio. D'altra parte, Susanna aveva ormai trent'anni: si avviava ad essere zitella […] In questa duplice forzatura fu la nascita di un rancore, dapprima latente, poi via via più esplicito, che segnò il rapporto di lei verso il marito, – e la conseguente disperazione di lui, il cercare altre donne, e le liti, gli abbandoni e i rientri in famiglia».

  • 24

    Naldini 2014, p. 19: «Del vecchio Pasolini – che un'antica diatriba araldica aveva riconosciuto discendente di un ramo dei conti Pasolini dall'Onda –, oltre alle proiezioni ancestrali del suo “nobile sangue ravennate”, è rimasto il ricordo di un patrimonio di “terre e palazzi” dilapidato durante l'adolescenza di Carlo Alberto; e quindi di un tutore che, dopo la sua morte, ne aveva amministrato ciò che restava per conto del figlio. Le rare e modeste somme che ancora in questi anni gli vengono rimesse, sono spese con molta generosità in regali per Susanna, fiori e gioielli; i gioielli però, trent'anni dopo, si riveleranno un mucchio di vernici dorate e vetrini colorati».

  • 25

    Roscioni 1997, pp. 78-79: «Ricordo che, inginocchiato al letto di mio padre morto, esclamai nel pianto: “Ho appena quindici anni!”, intendendo di dire: “Solo per questo breve periodo ti sono stato vicino, o babbo”. Questa frase fu invece interpretata, e forse ragionevolmente, nel senso egoistico: “O babbo, mi lasci in età nella quale il tuo aiuto m'era necessario”. Bisogna riconoscere che questo era il pensiero rispondente all'espressione, e che l'espressione non rispondeva invece al mio pensiero».

  • 26

    Ivi, pp. 165-66: «Ma i primi giornali a noi noti sembrano soddisfare anche un'altra, vecchia aspirazione, che possiamo far risalire al “culto” infantile per Giulio Cesare. Sappiamo quale passione nutrano, o nutrissero una volta, i bambini per le figure dei condottieri. Ma nella mente del piccolo Carlo, al sogno di imitare le gesta di Cesare, dovette presto sovrapporsene un altro, assai meno comune: quello di prendere a modello dal suo eroe, oltre che le imprese, le non meno celebri, nitidissime cronache. Lo lascia supporre quanto il Racconto italiano dice del Tenente Tolla, nella cui infanzia abbiamo già visto proiettate le esperienze scolastiche dell'autore: 'La lettura di Cesare lo aveva profondamente appassionato tanto che aveva pensato di scrivere lui pure dei commentari, ma gli mancavano le guerra delle Gallie'. Perfettamente comprensibile è dunque che Gadda, appena mobilitato nel '15, avverta l'esigenza di redigere una cronaca: è ancora nelle retrovie, a Edolo, ma che importa? la guerra delle Gallie è finalmente arrivata. L'impronta di Cesare, più che in qualche esplicita menzione (povero generale Cavaciocchi, confrontato con il proconsole delle Gallie!), si coglie nella progettata articolazione dei quaderni in libri e capitoli. […]  Ma anche nei quaderni di prigionia, dove la componente di riflessione personale del discorso finisce spesso per soverchiare il contenuto oggettivo, documentario, della cronaca, si ravvisano tracce della lettura di Cesare. È anzi nell'ultimo che una volta – del tutto imprevedibilmente in un libro di memorie moderno – la terza persona prende il posto della prima: 'Gaddus lascia Francoforte il 28 marzo 1918 mattina'. Può persino accadere, nelle stesse pagine, d'imbattersi in un incipit latino: 'Gaddus scribit'. Che è un modo di fare il verso agli antichi, ma anche un segno del complicato, quasi indiretto rapporto dell'autore con il proprio testo».

  • 27

    Ivi, p. 74: «Insieme ai fratelli e ad alcuni piccoli amici Carlo ridisegnò la mappa del frutteto attiguo alla villa, attribuendosi, all'interno della medesima, un immaginario ducato di Sant'Aquila. Il fatto è noto ai lettori dei quaderni di guerra perché nelle loro pagine questo titolo accompagna più d'una volta il nome del cronista, come se le esperienze della vita militare fossero in qualche modo collegabili a quella chimera infantile».

  • 28

    Le quali verranno rispettivamente pubblicate nel 1970 (solo alcune parti erano state precedentemente pubblicate negli anni Trenta) e nel 1974, un anno dopo la morte dell'Ingegnere.

  • 29

    Roscioni 1997, pp. 182-183: «Ben altri giudizi e umori riflettono invece gli appunti dedicati alla seconda missione tedesca. I “bei luoghi” attraversati per giungere a Berlino suscitano nel viaggiatore solo amari, desolati ricordi; anche se, più che alla prigionia, il suo pensiero va “a Mamma, Clara, Enrico”. Ma ecco le scheletriche annotazioni del 21 settembre: '[…] Ho paura: è la distanza, la solitudine. – Sento parlare sottovoce in anticamera. Mi rivesto e con la scusa di sentirmi poco bene, esco a ½ notteʼ. Finirà per non dormire, seduto su una branda nella hall di un albergo, preda di sconsolati pensieri: 'triste nostalgia dei miei cari, oppressione'. Si direbbe che unico effetto della tanto desiderata distanza sia l'insorgere, nel viaggiatore, del rimpianto di quello che resta, nonostante tutto, il suo vero, insostituibile mondo. 'Se mi pento? Se mi rincresce – D'aver lasciato la mia città?', si era chiesto in una poesia dell'anno precedente, dopo un altro, breve, distacco. La risposta ai due interrogativi, più che nei versi che seguono, par di coglierla in una lettera a Clara del 6 ottobre '22: 'Dalla Germania ti ho scritto tutti i giorni'... Ma proprio perché aveva una famiglia come la sua – con una sorella cui, se lontano, si sentiva in obbligo di scrivere quotidianamente – Gadda avvertiva ogni tanto, acutissima, la voglia di partire».

  • 30

    Gadda 2011, pp. 298-99.

  • 31

    Ivi, p. 300.

  • 32

    Arbasino 2008, pp. 44-45.

  • 33

    Gadda/Vela 2007, pp. 228-29.

  • 34

    Ivi, p. 232.

  • 35

    Naldini 2014, p. 27.

  • 36

    Siciliano 1978, p. 66.

  • 37

    Pasolini 1975: «Quando nel 1942 uscì il mio primo libretto, Poesie a Casarsa, (in friulano! Fatto assurdo per lui, che, ufficialetto di primo pelo, era capitato a Casarsa, e lì aveva conosciuto mia madre, impadronendosene subito, con la sua prepotenza infantile e centralistica): lo ricevette nel Kenia, dove era prigioniero. Ma, malgrado la assurdità del linguaggio usato, era dedicato a lui, e questo lo consolava, lo faceva gongolare».

  • 38

    Siciliano 1978, p. 38.

  • 39

    Naldini 2014, p. 24.

  • 40

    Ivi, p. 30: «L'anno successivo [1929] la famiglia Pasolini si riunisce a Sacile, ultima cittadina friulana alle porte del Veneto. Pier Paolo frequenta la terza elementare e scrive in un quadernetto, illustrandole con disegni, le prime poesie sulla natura e l'amore per la madre, in “stilus sublimis”, cominciando a riempire una cassapanca di manoscritti infantili. Dice alla madre: “Mamma, quando sarò grande voglio fare il capitano di marina e il poeta”, e il padre lo osserva con orgoglio ricordando che nella sua famiglia c'è stato un altro Pier Paolo poeta. Il quadernetto, conservato per tanti anni, andrà perduto durante gli spostamenti del periodo della guerra».

  • 41

    I ragazzi contribuivano giusto con una piccola tassa finalizzata a pagare l'affitto del locale.

  • 42

    Siciliano 1978, p. 81.

  • 43

    Pasolini 1977, p. 133.

  • 44

    Pasolini 2021, pp. 647-48: «[ lettera di Pasolini indirizzata a Luciano Serra, fine febbraio 1950] Caro Luciano, ho ricevuto una tua incredibile lettera: incredibile perché credevo tu sapessi che io sono a Roma, fuggito con mia madre da Casarsa. Prima di partire un mese fa, circa, infatti ti avevo scritto un biglietto per avvertirti: la cosa poteva anche finire molto male. E infatti sta finendo male. Mia madre è a servire: io non trovo lavoro, mi sento solo, incapace, in condizioni tremende. Per adesso mi mantiene mio zio. […] Ieri in uno dei miei sconclusionati e disperati tentativi di trovare lavoro, ho conosciuto un certo prof. Borrello, che dovrebbe trovarmi delle lezioni (lezioni che aspetto come un miracolo, consumandomi i nervi e devastandomi) questo Borrello aveva inviato a Convivium un saggio “Motivi pirandelliani”, e aveva ricevuto da Calcaterra una risposta affermativa: cerca di occupartene, te ne prego, così che io abbia la possibilità di ricambiare il favore e in un certo senso di costringerlo a darmi un effettivo aiuto. Se poi tu conoscessi qualcuno che qui a Roma potesse farmi trovare delle ripetizioni, fammelo sapere senza indugio, a stretto giro di posta. Non avrei mai creduto che si potesse essere così provati».

  • 45

    Ivi, pp. 627: «[ lettera di Pasolini indirizzata a Silvana Mauri, 27 gennaio 1950] [...] Tu non sai a cosa si è ridotta mia madre. Io non posso più sopportare di vederla soffrire in questo modo disumano e indicibile. Ho deciso di portarla domani stesso a Roma, allʼinsaputa di mio padre, per affidarla a mio zio; io non potrò stare a Roma, perché mio zio mi ha fatto capire che non può tenermici, ma spero che per mia madre la cosa sarà diversa».

  • 46

    Mammetta, cicciona e pitinicia sono tra i più ricorrenti.

  • 47

    Pasolini 1976, p. 25.

  • 48

    Freud 1975, p. 461.

  • 49

    Naldini 2014, p. 23: «Fu a Belluno, avevo poco più di tre anni. Dei ragazzi che giocavano nei giardini pubblici di fronte a casa mia, più di ogni altra cosa mi colpirono le gambe, sopratutto nella parte concava interna al ginocchio, dove piegandosi correndo si tendono i nervi con un gesto elegante e violento. Io ne ero soggiogato. Vedevo in quei nervi scattanti un simbolo della vita che dovevo ancora raggiungere: mi rappresentavo l'essere grande in quel gesto di giovinetto corrente. Ora so che era un sentimento acutamente sensuale. Se lo riprovo sento con esattezza dentro le viscere l'intenerimento, l'accoratezza e la violenza del desiderio. Era il senso dell'irraggiungibile, del carnale – un senso per cui non è stato ancora inventato un nome. Io lo inventai allora e fu “teta veleta”. Già nel vedere quelle gambe piegate nella furia del gioco mi dissi che provavo “teta veleta”; qualcosa come un solletico, una seduzione, un'umiliazione».

  • 50

    Freud 1975, p. 461.

  • 51

    Ibidem.

  • 52

    Naldini 2014, p. 50: «Anche Guido ottiene buoni risultati a scuola, specie nelle materie scientifiche, ma è su Pier Paolo che il padre continua a puntare. “Aveva intuito, pover'uomo, ma non aveva previsto, con le soddisfazioni, le umiliazioni. Credeva di poter conciliare la vita di un figlio scrittore col suo conformismo, deformato e pregresso fino al conformismo definitivo”».

  • 53

    Freud 1975, p. 461.

  • 54

    Pasolini 2021, p. 663.

  • 55

    “Unico” per modo di dire, visto che in realtà vi sarebbe anche Clara, la sorella. I rapporti tra Madre e figlia non furono però mai rosei, e, come si può evincere da diverse testimonianze, Adele non mostrò mai grande affetto nei suoi confronti. Da notare come Gadda associ il carattere della sorella al proprio, scorgendo quasi in questa antipatia materna un riflesso di quella che egli riteneva che Adele provasse anche per lui: Gadda/Vela 2007, p. 155: «Aveva dei fratelli? Un fratello e una sorella germana. Suo fratello è morto, vero? Sì, Enrico è morto durante la guerra 15-18 e precisamente il 23 aprile del '18. Io allora ero prigioniero di guerra e l'ho saputo solo al ritorno. Mia sorella vive ancora. Ha un temperamento simile al mio. Cioè? Non molto pronto, timido, chiuso».

  • 56

    Naldini 2014, p. 53.

  • 57

    Ivi, p. 187.

  • 58

    Ivi, p. 188.

  • 59

    Ivi, p. 88.

  • 60

    Scuola di Barbiana 2007, p. 96.

  • 61

    Cattaneo 1973, pp. 94-95: «“Un fratello del padre morì venticinquenne curando gli ammalati di tifo, come san Luigi Gonzaga. Il fratello del padre senatore Giuseppe Gadda ebbe carriera prefettizia nel nuovo Regno, fu ministro dei lavori pubblici nel ministero Lanza-Sella (destra storica); prefetto di Perugia ebbe a soccorrere i feriti di Mentana risalenti a Passo Corese e ad arrestare il generale Garibaldi per ordine del governo a Sinalunga (Siena). Lasciò delle memorie 1866-67.” Forti immagini risorgimentali e senso nazionale fino dall'infanzia, per tradizione familiare e soprattutto per l'intervento della madre».

  • 62

    Roscioni 1997, pp. 56-57.

  • 63

    Cattaneo 1973, pp. 91-92: «Il risveglio del Terzo Mondo non incontrò da parte sua comprensione né favore […]. Gli avvenimenti indocinesi, algerini, egiziani, congolesi e chi più ne ha più ne metta, lo portavano a questa conclusione: “L'Inghilterra e la Francia dovrebbero fare una dichiarazione comune: questa è roba nostra e intendiamo tenercela.” Si sentiva personalmente provocato se qualcuno gli diceva: “Pasolini va in Indocina a fare un film anticolonialista.” “Se mi tocca la Francia! Se mi tocca la Francia!” era la sua indignata risposta».

  • 64

    Ivi, p. 66: «[Gadda] Era sempre stato un lettore dei cronisti, dei memorialisti, degli storici francesi. Saint-Simon era uno dei suoi autori prediletti e anche il cardinale De Retz: guai a toccargli gli storici francesi soprattutto quando le critiche erano mosse da storici italiani, così noiosi al loro confronto, senza spirito, senza il gusto del pettegolezzo, senza 'l'amore, la ghiottoneria, la cupidigia del vero' che Cecchi proprio a Gadda attribuiva. Gadda amava la Francia, la sua cultura e il suo prestigio politico con la immutata passione del '14 quando la Francia affrontava e respingeva la marea tedesca».

  • 65

    Ibidem: «Il mondo dei Luigi, rivissuto attraverso i diari dei medici di corte, le memorie dei Grandi e delle cameriere, le relazioni degli storiografi dalle quali Gadda ritagliava, traducendoli stupendamente, superbi frammenti, era quanto vi poteva essere di più congeniale alla sua avida curiosità e al suo genio di storico».

  • 66

    Gadda/Pinotti 2007, p. 11: «Il signor Francesco Pelegatta credeva in Dio. Egli era un uomo sommamente morale, e mai non commise atto alcuno che la sua coscienza gli avesse vietato commettere. Aveva studiato al Collegio Longone, coi Barnabiti. Al tempo delle guerre d'indipendenza era stato “guardia nazionale”, a Bologna: il che ricordò, talora, con signorile e bonaria arguzia. Da giovane aveva viaggiato, per ragioni di studio e di lavoro: non aveva imparato quasi niente, ma insomma era stato ad Elberfeld, a Lione, a Londra. Conosceva “le lingue”, era “negoziant de seda”. Aveva perduto tutta la sua sostanza, il suo incubo erano “i framassoni”; però l'eleganza innata del portamento e l'ineccepibile candore del camicione inamidato potevano lasciar ancora pensare agli ingenui ch'ei possedesse qualche fortuna».

  • 67

    Gadda 2011, p. 332: «L'Adelaide Carpioni Golliati, non meno di sua zia, la Teresa Venarvaghi Molinò Tarabiscotti, era donna saggia, piena di buon senso, come dicono gli ottimisti, gli entusiasti, per dire attentissima al denaro, volitiva, pignola e stitica».

  • 68

    Gadda/Pinotti 2007, p. 23: «La Marchesana, seconda moglie del Signor Francesco, in quella salubrità e in quella luce, col caro fiasco nel caro armadio, era proprio ne' suoi regni».

  • 69

    La mancata vendita della villa di famiglia è spesso rimarcata come una colpa materna, sia nell'opera che nelle lettere: Roscioni 1997, pp. 296-97: «Il 15 febbraio del '27 aveva scritto a Clara: 'Il pensiero di Longone è sempre motivo di grande irritazione e di profondo scoraggiamento per me, è come la pietra di una tomba posta sulla nostra vita, sui nostri sacrosanti interessi e diritti. Esso è motivo di un graduale raffreddamento dei miei sentimenti migliori e una volta distrutta la personalità non c'è più nulla che valga a ricrearla. Non parlarmi quindi mai né di Longone né del sozzo contadiname a cui manteniamo una casa, mentre io devo lavorare come un cane e vivere al 4° piano in una camera fredda'. L'attaccamento di Adele a Longone e a via S. Simpliciano aveva oltretutto una componente misoneistica che irritava profondamente Carlo perché si manifestava un poʼ in tutti i campi. Frequenti erano, per esempio, le discussioni a proposito di quelle che egli chiamava le “stelle fisse”: i fornitori di casa Gadda, che per nessuna ragione al mondo la madre avrebbe consentito a cambiare. Significativo il fatto che nel discutere, tre anni prima, il possibile acquisto d'una casa di cooperativa Carlo sembri rivolgersi unicamente a Clara, come se con Adele il tema fosse tabù».

  • 70

    La quale, non a caso, in Villa a Brianza, viene denominata con il nomignolo “Madonna ipoteca”.

  • 71

    Gadda 2017, p. 293-294.

  • 72

    Ivi, p. 295: «[...] della qual somma la Sig. Lehr Ved. Gadda in proprio e per conto dei precitati di lei figli minori, colla assistenza del loro rappresentante e Curatore speciale avv. Gadda, si riconosce debitrice e si obbliga pagarla alla creditrice Sig.ra Emilia Gadda in Fornasini nel termine di anni 10 – dieci da oggi e così nel giorno 11 – undici ottobre 1920 – Millenovecentoventi – senza bisogno di preavviso e senza decorrenza di interessi di sorta sulla detta somma nel frattempo, come già era stato stabilito nel ricorso suallegato A ed ai quali interessi e sempre in via di transazione la creditrice Signora Gadda in Fornasini espressamente rinuncia [Emilia rinuncia infatti alla sua percentuale di proprietà della villa]. Nel caso però di vendita della Villa che va ad essere costituita in ipoteca a garanzia di questo credito, si riterrà, col solo fatto della vendita, cessata la convenuta dilazione al pagamento della somma che diverrà così esigibile in un termine non maggiore di un mese. Nel caso di ritardo a tale pagamento, sia alla convenuta sua scadenza di un decennio o prima nel detto caso di vendita, decorreranno allora dalla data dell'esigibilità del credito fino al giorno del pagamento ed a favore della creditrice gli interessi sulla somma stessa nella misura legale del 4% quattro per cento all'anno».

  • 73

    Costabile-Savonitto 2019.

Bibliografia
  • Arbasino 2008= Alberto Arbasino, L'Ingegnere in blu, Milano, Adelphi.

  • Bertolucci-Sereni 1994 = Attilio Bertolucci, Vittorio Sereni, Una lunga amicizia Lettere 1938-1982, a cura di Gabriella Palli Baroni, prefazione di Giovanni Raboni, Milano, Garzanti.

  • Bonsanti-Gadda 2020 = Alessandro Bonsanti, Carlo Emilio Gadda, «Sono il pero e la zucca di me stesso» Carteggio 1930-1970, a cura di Roberta Colbertaldo, premessa di Gloria Manghetti, con una testimonianza di Sandra Bonsanti, Firenze, Olschki.

  • Cattaneo 1973 = Giulio Cattaneo, Il gran lombardo, Milano, Garzanti.

  • Euripide 1982 = Euripide, Medea, traduzione di M. Valgimigli, Milano, Rizzoli.

  • Freud 1975 = Sigmund Freud, Opere 1912-1914, Torino, Boringhieri, VII.

  • Gadda 2011= Carlo Emilio Gadda, Accoppiamenti Giudiziosi, a cura di Paola Italia e Giorgio Pinotti, Milano, Adelphi.

  • Gadda 2017 = Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, a cura di Paola Italia, Giorgio Pinotti e Claudio Vela, Milano, Adelphi.

  • Gadda/Pinotti 2007 = Carlo Emilio Gadda, Villa in Brianza, a cura di Giorgio Pinotti, Milano, Adelphi.

  • Gadda/Vela 2007= Carlo Emilio Gadda, «Per favore, mi lasci nell'ombra» interviste 1950-1972, a cura di Claudio Vela, Milano, Adelphi.

  • Naldini 2014= Nico Naldini, Pasolini, una vita edizione riveduta e ampliata con documenti inediti, a cura di Simone Gianesini, Albaredo d'Adige (VR), Tamellini.

  • Pasolini 1975 = Racconto la mia vita uno scritto autobiografico di Pier Paolo Pasolini, L'Unità, 4 novembre 1975.

  • Pasolini 1976= Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa, Milano, Garzanti.

  • Pasolini 1977 = Pier Paolo Pasolini, Passione e ideologia, Milano, Garzanti.

  • Pasolini 1986 = Pier Paolo Pasolini, Lettere 1940-1954, a cura di Nico Naldini, Torino, Einaudi.

  • Pasolini 1988 = Pier Paolo Pasolini, Lettere 1955-1975, a cura di Nico Naldini, Torino, Einaudi.

  • Pasolini 2021 = Pier Paolo Pasolini, Le lettere, a cura di Antonella Giordano e Nico Naldini, Milano, Garzanti.

  • Roscioni 1997= Gian Carlo Roscioni, Il duca di SantʼAquila, Milano, Mondadori.

  • Scuola di Barbiana 2007 = Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, p. 96.

  • Siciliano 1978 = Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, Milano, Rizzoli.

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Filmografia
  • Costabile-Savonitto 2019 = Francesco Costabile, Federico Savonitto, In un futuro aprile. Il giovane Pasolini, Altreforme in associazione con Centro Studi Pier Paolo Pasolini, Cinemazero, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e Kublai Film.

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Informazioni
Cita come: Giorgio Ricciarelli, All'ombra delle madri: Gadda e Pasolini in DILEF. Rivista digitale del Dipartimento di Lettere e Filosofia - 2 (2022), pp. 213-240. 10.35948/DILEF/2023.4298